Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14921 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14921 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 152/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA-SEZ.DIST. LECCE n. 1665/2019 depositata il 28/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel dicembre 2011, la contribuente soc. RAGIONE_SOCIALE era attinta da avviso di accertamento sull’anno di imposta 2006 per operazioni
intercorse con Paesi a fiscalità privilegiata, nonché per rinuncia a riscuotere gli interessi su prestito da una propria controllata in operazione infragruppo, cui seguivano sanzioni.
Nello specifico, le contestazioni riguardavano la deducibilità di costi per operazioni intercorse con gli Emirati Arabi, in assenza della prova delle condizioni esimenti di cui all’art. 110 d.P.R. n. 917/1986; veniva poi contestata l’omessa imputazione a reddito di ricavi pari agli interessi attivi maturati su crediti verso una società controllata; infine, venivano contestate violazione in tema di Iva, specificamente la mancata emissione di fattura su operazioni reverse charge e illegittima detrazione d’imposta.
Esperito senza esito il tentativo di accertamento con adesione, i gradi di merito erano parzialmente favorevoli alla parte contribuente, affermando -per quanto maggiormente interessa il prosieguo- che fosse stata data la prova esimente per le operazioni con Paesi black list , ovvero la tenuità di altri acquisti portati in deduzione, la discrezionalità imprenditoriale nell’esigibilità (o meno) degli interessi creditori ed il carattere meramente formale delle violazioni, tali da non comportare l’irrogazione di sanzioni.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, affidandosi a quattro strumenti di impugnazione, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.
In prossimità dell’adunanza, il Pubblico Ministero -in persona del sost. Procuratore generale, dott. NOME COGNOME– ha depositato requisitoria, in forma di memoria, concludendo per l’accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri.
CONSIDERATO
Vengono proposti quattro motivi di ricorso.
1.1 Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile, per violazione e
falsa applicazione dell’art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. n. 917/1986.
In altri termini, il collegio d’appello avrebbe mal governato le disposizioni che regolano la prova liberatoria nelle operazioni con Paesi black list , poiché non avrebbe sindacato l’effettiva esistenza ed operatività dell’imprenditore straniero.
1.2. Con il secondo motivo si propone censura a sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 del codice di procedura civile, per violazione dell’art. 112 del medesimo codice di rito. Nello specifico si lamenta che il collegio d’appello non siasi pronunciato sul rilievo di recupero di €.3.941,60 per operazioni intercorso con Paesi black list .
1.3. Con il terzo motivo si profila censura ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile, per violazione dell’art. 96 del d.P.R. n. 917/1986. Nel concreto si lamenta sia stata annullata la ripresa a tassazione relativa al credito per interessi su prestito a società controllata.
1.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione in parametro all’art. 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile, per violazione dell’art. 6, commi 1, 6 e 9 bis , del d.lgs. n. 471/1997, nonché dell’art. 6, comma quinto, d.lgs. n. 472/1997. Nello specifico, si lamenta che la sentenza in scrutinio abbia ritenuto meramente formali le violazioni in tema di Iva, omessa fatturazione in reverse charge , ritenendo non applicabili le sanzioni, proprio per questa ragione.
Il primo motivo non può essere accolto.
In linea di principio è stato affermato che nella determinazione del reddito d’impresa l’abolizione del regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. “black list”), prevista dall’art. 1, commi 301, 302, e 303, della l. n. 296 del 2006, ha carattere retroattivo, con conseguente deducibilità di tali costi subordinata alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente nonché
della effettività della transazione commerciale, mentre il requisito dello svolgimento effettivo di attività commerciale non è più richiesto a decorrere dall’anno di imposta 2015, a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche di cui al d.lgs. n. 417 del 2015 (cfr. Cass. V, n. 5264/2019).
Non di meno, nel caso in esame, la sentenza in scrutinio dà atto (pag. 3, primo capoverso della motivazione) che la società contribuente siasi munita delle certificazioni delle autorità competenti, arabe ed italiane, relative all’operatore straniero con cui stava intessendo rapporti. Nello specifico, si è munita della certificazione resa da società di informazioni riconosciuta dalla Banca d’Italia. In altri termini, il collegio di merito ha verificato nello specifico che è stata adottata la massima diligenza esigibile da un imprenditore accorto. Né ulteriore sindacato può essere richiesto a questa Suprema Corte di legittimità.
Ed infatti, sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019).
Con il secondo motivo si lamenta mancata pronuncia su un capo di domanda, in ordine alla ripresa a tassazione per €.3.941,60, connessa ad operazioni intercorse con Paesi black list .
Il motivo è fondato. Il Patrono erariale riporta gli stralci degli atti processuali di merito (pag. 23 del ricorso per cassazione) dove ha denunciato il malgoverno del primo giudice che ha annullato la ripresa a tassazione, ritenendo bagatellare l’operazione e, quindi, priva di intento fraudolento.
Dall’esame della sentenza in scrutinio non si riscontra alcun passaggio motivazionale ove ci si confronti con siffatta rituale
censura. Donde è fondato il motivo di omissione di pronuncia su capo di domanda.
Con il terzo motivo si lamenta sia stata ritenuta legittima la rinuncia agli interessi su credito per prestito a società infragruppo, trattandosi di profilo che rientra nell’autonomia strategica di impresa, giustificata dallo scopo di non gravare ulteriormente la società controllata a cui è stato fatto il prestito.
Sul punto è ben argomentata la sentenza in scrutinio, con ponderazione di ragioni che superano il confine entro cui è circoscritto il controllo di questa Suprema Corte di legittimità. Ed infatti, in limine , è già stato sancito che in tema di imposte sui redditi di capitale, la rinuncia, operata dal socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una partecipata, in ragione di quanto previsto dagli artt. 88, comma 4-bis, 94, comma 6, e 101, comma 5, T.U.I.R. a seguito delle modifiche di cui all’art. 13 della l. n. 147 del 2015, non comporta l’obbligo di sottoporre a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi dell’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta” di cui al precedente regime (cfr. Cass. V, n. 16595/2023), con l’effetto che la rinuncia al credito non crea discrasie fiscali e, pertanto, ben rientra nell’autonomia imprenditoriale della società controllante.
Con il quarto motivo si lamenta aver riconosciuto carattere meramente formale alle violazioni in tema di Iva e, per l’effetto, aver annullato le sanzioni.
Sul punto si può convenire con quanto afferma il Pubblico Ministero, per cui si tratta di violazioni consistenti nella mancata emissione dell’autofattura in operazioni soggette al regime del reverse charge ai sensi dell’art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 633 del
1972, nella mancata integrazione e annotazione di fatture dovuta secondo gli artt. 46 e 47 del d.l. n. 331 del 1993 e nell’illegittima detrazione, attraverso l’emissione dell’autofattura prescritta dall’art. 17 cit. e la registrazione nei registri IVA RAGIONE_SOCIALE, dell’IVA relativa a operazioni esenti. Al proposito, infatti, si legge che nella giurisprudenza della Corte che «in tema di IVA, l’obbligo di autofatturazione, di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, esteso anche a chi assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile (cd. reverse charge), soddisfa l’esigenza di evitare un pregiudizio, da valutarsi con giudizio ex ante, all’esercizio delle attività di controllo da parte degli organi all’uopo preposti, sicché la sua violazione può ritenersi sussistente anche quando l’inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti e sulla determinazione dell’imponibile» (Cass. n. 8283 del 2022 ); e, in termini analoghi, che «la violazione consistente nel trattare l’operazione come se fosse fuori campo IVA, con omissione dell’autofattura e delle conseguenti registrazioni e dichiarazioni, non costituisce una violazione meramente formale, atteso che, determinando un vulnus all’azione di controllo, impedisce all’amministrazione finanziaria di verificare l’applicazione del regime dell’inversione contabile, esclude il tempestivo assolvimento dell’imposta, sia pure mediante il meccanismo di compensazione proprio dell’inversione contabile, ed incide sui tempi di esercizio del diritto alla detrazione» (Cass. Ord. n. 37754 del 2022). Alla luce delle violazioni concretamente contestate e dei principi sanciti dalla Corte non risulta dunque condivisibile la conclusione della CTR di ritenere applicabile nel caso in esame la causa di non punibilità dell’art. 6, comma 5 -bis, del d.lgs. n. 472 del 1997.
6. In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal secondo e quarto motivo, la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché si attenga ai sopra indicati principi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza in ragione dei motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia -sezione staccata di Lecce, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20/05/2025.