Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21542 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21542 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20300/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Pontedera (PI), al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana n. 375/04/2023, pubblicata il 21 aprile 2023;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto, si osserva che, a ll’esito di verifiche effettuate dall’Ufficio delle Dogane di Pisa, in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE
n. 20300/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
Agevolazioni fiscali – Sanzioni amministrative.
RAGIONE_SOCIALE legittimata a richiedere l’agevolazione fiscale sul gasolio commerciale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci ex art. 8 l. n. 448 del 1998, venivano riscontrate, per gli anni dal 2013 al 2017: a) illegittime compensazioni di crediti esistenti, in quanto realizzate prima del decorso di 60 (sessanta) giorni, termine utile per la formazione del silenzioassenso di cui all’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000 (nonché, a decorrere dal 3 dicembre 2016, anche dall’art. 24 -ter, comma 6, d.lgs. n. 504 del 1995, cd. TUA), per un importo complessivo di €. 233.449,91 (euro duecentotrentatremilaquattrocentoquarantanove/91); b) illegittime compensazioni di crediti inesistenti, per un importo pari a €. 16.582,17 (euro sedicimilacinquecentottantadue/17), successivamente riversato parzialmente dalla contribuente per l’importo di €. 10.227,68 (euro diecimiladuecentoventisette/68) attraverso compensazioni di crediti IRPEF.
Con specifico riguardo alla prima delle suddette contestazioni (unica a rilevare nel presente giudizio) , l’ amministrazione finanziaria procedeva all’emissione dell’atto sanzionatorio, ai fini dell’irrogazione della sanzione amministrativa per l’importo di €. 13.180,68 (euro tredicimilacentottanta/68), per gli anni dal 2013 al 2017.
Con ricorso-reclamo la società RAGIONE_SOCIALE contestava l’atto sanzionatorio, sull’assunto dell’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 50, comma 1, TUA, per le violazioni antecedenti al 1° gennaio 2016 e, per quelle successive, dell’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997. Tale reclamo veniva respinto.
La contribuente ricorreva dinanzi alla CTP di Pisa, la quale, con sentenza n. 126/03/2020, accoglieva parzialmente il ricorso, compensando le spese di lite. In particolare, il giudice di prime cure, accertato l’utilizzo del credito secondo modalità non conformi a quanto prescritto dalla normativa sopra menzionata, riteneva nondimeno trattarsi di una violazione formale, non produttiva di alcun danno erariale.
2.- La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, investita dall’appello proposto dall’amministrazione finanziaria , lo respingeva con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione . In particolare, la CGT-2 Toscana condivideva l’impostazione della qualificazione delle violazioni commesse come ‘ meramente formali ‘ e
affermava che: « non si è verificato, infatti, alcun danno ed il contribuente ha pagato gli interessi legali; non vi è stato alcun pregiudizio per l’esercizio delle azioni di controllo; non vi è stata alcuna incidenza sulla determinazione della base imponibile, dell’impost a e sul versamento del tributo. Ricorrono congiuntamente, pertanto, le condizioni negative previste dalla normativa di cui all’art. 6, comma 5bis, d.lgs. 472/1997, che consentono di escludere la punibilità. L’azione di controllo non è stata incisa dal momento che la parte, in fase di accertamento, è stata sottoposta ai doverosi controlli che, nel caso, hanno rilevato alcuni rilievi successivamente sanati. Il richiamo fatto dall’ufficio all’art. 50, comma1, d.lgs. 504/95 non appare particolarmente conferente in quanto riferibile ai produttori, distributori o depositi fiscali che non sono obbligati a versare le accise e a tenere i registri obbligatori oltreché provvedere alle comunicazioni prescritte. Nel caso di specie il credito di cui la parte ha beneficiat o è già stato introitato dall’erario con il pagamento delle accise avvenuto a monte sull’acquisto del carburante dai distributori. Ugualmente non conferente il richiamo fatto dall’Ufficio all’art. 15, comma 4, d.lgs. 158/2015, che si riferisce ai crediti inesistenti o a modalità degli stessi che comportano un danno erariale che nel caso non si è verificato in quanto il danno è riferibile solo agli interessi ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , l’Agenzia delle Dogane e Monopoli ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
4.- La contribuente società RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo l’amministrazione finanziaria denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000, 24-ter e 50 d.lgs. n. 504 del 1995, 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997 e 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 472 del 1997.
Sostiene, al riguardo, che la sentenza di secondo grado avrebbe ritenuto che alla violazione scaturente dalla compensazione anticipata del credito esistente debba essere ascritta natura di violazione meramente formale, sull’assunto dell’assenza di danno erariale e del mancato pregiudizio all’attività di controllo.
Sostiene altresì che il danno erariale non integrerebbe, in base alle norme sopra menzionate, un effetto essenziale, costitutivo, per l’applicabilità della sanzione.
L’errore dei giudici di seconde cure consisterebbe nell’aver trascurato il presidio sanzionatorio ex art. 50 TUA ed ex art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997, voluto dal legislatore a tutela del presupposto costitutivo del credito in esame che, ai sensi dei richiamati artt. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000 e 24-ter, comma 5, TUA, nasce soltanto a seguito del provvedimento di accoglimento o dello spirare del termine dilatorio dal ricevimento della dichiarazione. Prima di tale momento il credito, essendo privo dei caratteri della certezza e dell’esigibilità, non sarebbe riconoscibile mediante l’utilizzo in compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997.
In tal senso, l’amministrazione finanziaria evidenzia come la giurisprudenza propenda per la natura sostanziale da ascrivere alla violazione di cui si tratta. Ed invero, il legislatore, nel momento in cui introduce una norma agevolativa, alla quale va riconosciuto carattere eccezionale, di converso predispone presupposti rigidi e dettagliati, nel l’ intendimento di contrastare possibili ed eventuali abusi da parte di chi intenda effettuare pagamenti a mezzo compensazioni. In sostanza, secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, risulta chiaro come le disposizioni violate siano di carattere sostanziale e siano orientate teleologicamente proprio ad evitare un pregiudizio alle azioni di controllo.
La sentenza impugnata, dunque, erroneamente non avrebbe riconosciuto l’efficacia causale della compensazione anticipata sull’azione di controllo degli organi a ciò preposti e, in tal modo, avrebbe mostrato di omettere la differenza tra violazioni formali e meramente formali elaborata dalla giurisprudenza consolidata, riscontrabile attraverso un giudizio ex ante e in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato alla fattispecie giuridica cui va ricondotta la specifica trasgressione.
In tale ottica, la condotta di anticipata compensazione vanificherebbe ab initio la ragione e l’espletamento di qualsiasi controllo circa la tempestiva riconoscibilità del rimborso del credito.
Ancora, sempre alla stregua della prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, la sentenza impugnata avrebbe disconosciuto gli effetti pregiudizievoli per l’erario, laddove ha ritenuto non essersi verificato alcun danno, salvo poi, contraddittoriamente, afferma rne l’esistenza con riguardo ai soli interessi, che il contribuente avrebbe comunque provveduto a corrispondere nella misura del tasso legale. In questo modo, i giudici non avrebbero considerano che l’anticipazione del credito esistente comporta un deficit di cassa temporaneo a danno dello Stato, determinato – in modo esattamente speculare a quanto si verifica in sede impositiva con l’omesso versamento del tributo alla prescritta scadenza -dall’anticipata minorazione del gettito erariale compensato con somme non spettanti in quanto non ancora riconosciute a favore del contribuente.
D’altronde, chiarisce la ricorrente, l’applicazione della sanzione quale conseguenza di questa tipologia di violazione sarebbe soluzione ormai ampiamente condivisa dalla giurisprudenza di legittimità.
2.- La censura è fondata.
Ed invero, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 265 del 2000, convertito con modificazioni dalla legge n. 343 del 2000: « Al fine di compensare le variazioni dell’incidenza sul prezzo al consumo del gasolio per autotrazione, derivante dall’andamento dei prezzi internazionali del petrolio, (…) l’aliquota prevista nell’allegato I annesso al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, per il gasolio per autotrazione utilizzato dagli esercenti le attività di trasporto merci con veicoli di massa massima complessiva superiore a 3,5 tonnellate è ridotta (…) ». L’ art. 2 del predetto d.l. n. 265 del 2000 stabilisce, inoltre, che, per ottenere il rimborso di quanto spettante, anche mediante la compensazione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, i destinatari del beneficio di cui all’art. 1, comma 1, sono tenuti a presentare apposita dichiarazione con l ‘ osservanza delle modalità stabilite mediante il regolamento di cui art. 8, comma 13, della l. n. 448 del 1998 e successive modificazioni. Tale regolamento è stato emanato col d.P.R. n. 277 del 2000.
L’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000, prevede che «Decorsi i sessanta giorni dal ricevimento, da parte dell’ufficio, della dichiarazione
ovvero degli elementi mancanti senza che al soggetto sia stato notificato il provvedimento di diniego di cui al comma 1, l’istanza si considera accolta e il medesimo può utilizzare l’importo del credito spettante in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, qualora ne abbia fatto richiesta. In tali casi l’ufficio competente può annullare, con provvedimento motivato, l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro un termine prefissatogli dall’ufficio stesso. ».
L’art. 24 -ter, comma 5, d.lgs. n. 504 del 1995 (cd. TUA) stabilisce che « Il credito spettante ai sensi del comma 4 del presente articolo è riconosciuto, mediante la compensazione di cui all’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, entro il 31 dicembre dell’anno solare successivo a quello in cui il medesimo credito è sorto per effetto del provvedimento di accoglimento o del decorso del termine di sessanta giorni dal ricevimento della dichiarazione. ».
In proposito, è sufficiente ricordare che: a) l’istituto del silenzio assenso è previsto dal l’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000, prescrivendo la norma che decorsi giorni sessanta dal ricevimento della dichiarazione del contribuente (con la quale viene formulata la opzione per la compensazione in luogo del rimborso del credito d’imposta) corredata della documentazione necessaria, ove l ‘amministrazione finanziaria non abbia comunicato il provvedimento di diniego, « l’istanza si considera accolta» ed il contribuente «può utilizzare l’importo del credito spettante in compensazione ai sensi del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 247, art. 17 »; b) il decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione della dichiarazione con la documentazione allegata non esaurisce affatto, né tanto meno impedisce, l’esercizio del potere di controllo ed impositivo dell ‘a mministrazione finanziaria che, infatti, « può annullare con provvedimento motivato l’atto di assenso illegittimamente formato » salvo che il contribuente, nel termine assegnatogli, provveda a sanare i vizi riscontrati (art. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000), ove l ‘ infelice formulazione lessicale della norma non può evidentemente essere intesa come sdoppiamento di un potere di annullamento distinto dal potere di accertamento impositivo, tenuto conto che – in assenza di un formale atto viziato emesso dalla P.A. – manca lo stesso oggetto dell’annullamento ed
il « provvedimento motivato di annullamento », richiesto ex art. 4, comma 2, d.P.R. n. 277 del 2000, non può che coincidere con lo stesso « avviso di accertamento » con cui l ‘a mministrazione è legittimata a procedere al recupero del credito d’imposta indebitamente compensato o rimborsato (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 9562 del 19 aprile 2013, Rv. 626556-01); c) per costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice, « In tema d’IVA, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poiché comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997. » .
Peraltro, giova ricordare come questa Corte regolatrice abbia già più volte avuto modo di chiarire che la distinzione tra violazioni sostanziali, formali e meramente formali, sia ancorata alle seguenti caratteristiche:
le violazioni sono « sostanziali » se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento;
le violazioni sono « formali » se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento;
le violazioni sono « meramente formali » se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo.
Si è poi precisato, ai fini della concreta distinzione tra diverse ipotesi, che tra violazioni formali e violazioni meramente formali la valutazione « deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento » (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 28938 del 17 dicembre 2020, Rv. 659970-02) e, dunque, deve essere operato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato alla fattispecie giuridica cui va ricondotta la specifica trasgressione. Viceversa, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali « è necessario accertare in concreto se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo » (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 16450 del 10 giugno 2021, Rv. 661603-01).
Nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto erroneamente qualificabile in termini di violazione meramente formale e, dunque, non sanzionabile, la compensazione di un credito d’imposta – relativo all’agevolazione fiscale sul trasporto merci di cui al d.l. n. 265 del 2000 – in quanto effettuata in costanza di silenzio-assenso dell’amministrazione, senza considerare che l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, per gli anni 2013-2017, aveva comportato il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, con conseguente legittima applicazione della sanzione, ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 199 7.
3.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva, dunque, l’accoglimento del ricorso, in applicazione dei principi di diritto sopra enucleati.
4.Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può senz’altro essere decisa nel merito, con rigetto dell’originario ricorso proposto dalla società contribuente.
5.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società contribuente rimasta intimata e si liquidano come da dispositivo.
I n ragione dell’andamento del giudizio, sussistono, invece, motivi idonei a giustificare l’integrale compensazione delle spese relative ai gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’ originario ricorso della contribuente società RAGIONE_SOCIALE dichiara interamente compensate le spese relative ai gradi di merito; condanna la contribuente intimata al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in €. 2.400,00 (euro duemilaquattrocento/00) per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,