Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25564 Anno 2024
Oggetto: Tributi
Ires, Irap e Iva 2007
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25564 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME DI COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 15215 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 7255/35/2014, depositata in data 3 dicembre 2014.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2024 dal Relatore Cons. AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva accolto parzialmente l’appello proposto dalla suddetta società nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, e rigettato l’appello incidentale proposto da quest’ultima avverso la sentenza n. 52/01/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Rieti che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla contribuente, esercente l’attività di ‘noleggio di altri mezzi di trasporto terrestri’, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di Finanza di Rieti, per quanto ancora di interesse, per il 2007: 1) aveva contestato, con riferimento a diciotto fatture attive, maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Ires, Irap e Iva, in relazione a cessioni di autocaravan a prezzi fatturati inferiori a quelli che si assumevano effettivamente corrisposti dai clienti in base a quanto indicato nelle relative proposte d’ordine e nei contratti di finanziamento; 2) ripreso a tassazione costi di manutenzione e riparazione di veicoli – già ceduti da RAGIONE_SOCIALE– indebitamente dedotti ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette e detratti ai fini Iva, afferenti a nove fatture, ritenuti privi dei requisiti di certezza e inerenza; 3) irrogato sanzioni per violazione degli obblighi di registrazione di acquisti intracomunitari.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR – riformando la sentenza di primo grado che, nell’accogliere parzialmente il ricorso della contribuente, aveva ridotto l’importo dei maggiori ricavi accertati in relazione a diciotto operazioni di cessione di autocaravan, stante la ritenuta congruità di tre fatture (nn. 62, 124
e 125), e confermato l’accertamento per il resto ha osservato che: 1) in base alla documentazione prodotta ritualmente in sede di gravame dalla società, andavano ritenuto congrue due fatture (nn.205 e 218) -in aggiunta alle tre già rilevate tali dalla CTP -atteso che era plausibile in entrambe la concessione di uno sconto essendo, con riguardo alla prima, la vendita seguita ad un contratto di noleggio per il quale erano stati regolarmente versati i canoni e, con riguardo alla seconda, acquisito in permuta dalla società un veicolo per il quale era prevedibile un maggiore ricarico in sede di vendita; 2) andava annullata la ripresa relativa all’Iva su lavori effettuati sugli automezzi già venduti, essendo normale la pratica commerciale di prestazione di garanzia temporanea sull’efficienza dei veicoli con conseguente accollo da parte della società contribuente venditrice RAGIONE_SOCIALE spese relative al mantenimento dell’efficienza degli stessi nel periodo di garanzia; 3) era legittima l’irrogazione della sanzione per violazione degli obblighi di registrazione di acquisti intracomunitari atteso che la riscontrata omissione RAGIONE_SOCIALE due annotazioni (nel libro RAGIONE_SOCIALE fatture emesse e nel registro degli acquisti) concretava una violazione di carattere sostanziale.
3.Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La società contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis1 c.p.c. con richiesta di applicazione retroattiva, in forza del principio del favor rei di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 472/97, dello ius superveniens di cui agli artt. 1, comma 2, 5, comma 4, e 6, commi 1, e 6, del d.lgs. n. 471 del 1997, come modificati dal Dlgs. n. 158 del 2015.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio avendo la CTR – con riguardo al rilievo dei maggiori ricavi non dichiarati afferenti a diciotto operazioni di cessione di autocavaran effettuate nel 2007 (per le quali il prezzo fatturato sarebbe stato inferiore a quello effettivamente corrisposto dai clienti) – annullato parte della ripresa in relazione a cinque fatture (di cui tre di importo già ritenuto
congruo dalla CTP) confermandola per il resto, senza valutare la documentazione (dichiarazioni rese dai clienti, estratti conto bancari della società, documentazione relativa alle cessioni in permuta e quella attestante la concessione dei relativi finanziamenti) prodotta in giudizio dalla contribuente a dimostrazione della corrispondenza tra gli importi indicati nelle fatture contestate e quanto effettivamente corrisposto dai clienti, essendo lo scostamento tra il prezzo indicato nelle proposte d’ordine e n ei contratti di finanziamento da imputare a sconti praticati dalla società al momento del pagamento del prezzo e della emissione della fattura in ragione di differenti variabili (condizioni economiche dei clienti, variazione del prezzo dei camper usati ced uti in permuta, rinuncia all’acquisto di accessori e optional previsti nel contratto originario, mancata concessione dell’integrale finanziamento richiesto etc.). Peraltro, ad avviso della contribuente, la CTR avrebbe omesso di considerare la documentazione (fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE attestanti un prezzo di acquisto degli autocaravan inferiore a quello di rivendita degli stessi) prodotta dalla contribuente a dimostrazione dell’erroneità dell’assunto della CTP – condiviso dalla CTR nel confermare la ripresa relativa alle residue fatture ritenute incongrue -secondo cui la contribuente aveva addirittura indicato nelle dette fatture un prezzo inferiore quello di acquisto degli autocaravan.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. per omessa valutazione di elementi istruttori offerti dalla contribuente in entrambi i gradi di merito del giudizio, avendo la CTR -nell’annullare solo in parte (relativamente a cinque fatture) la ripresa relativa agli accertati maggiori ricavi non dichiarati relativi alle contestate diciotto operazioni di cessione di autocavaran, confermando per il resto il rilievo -omesso di valutare che la società contribuente aveva dimostrato attraverso la documentazione prodotta in giudizio (dichiarazioni rese dai clienti, estratti conto bancari della società, documentazione relativa alle cessioni in permuta e quella attestante la concessione dei relativi finanziamenti) la corrispondenza tra gli importi indicati
nelle fatture contestate e quanto effettivamente corrisposto dai clienti, essendo la differenza di prezzo indicato in fattura rispetto a quanto risultante dalle proposte d’ordine e nei contratti di finanziamento da attribuire ad un sconto praticato dalla contribuente al momento del pagamento del prezzo e della emissione della fattura in ragione di differenti variabili. Ad avviso della ricorrente, la stessa avrebbe altresì dimostrato -mediante la produzione RAGIONE_SOCIALE fatture, non oggetto di alcuna valutazione da parte della CTR, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE attestanti un prezzo di acquisto degli autocaravan inferiore a quello di rivendita degli stessi l’erroneità dell’assunto secondo cui la contribuente aveva addirittura ind icato nelle dette fatture un prezzo inferiore quello di acquisto degli autocaravan.
3.I primi due motivi- da trattare congiuntamente per connessione- si profilano inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
3.1. Nella sentenza impugnata, il giudice di appello – con riguardo al rilievo dei maggiori ricavi (non dichiarati) accertati in relazione alle contestate diciotto operazioni di cessione di autocaravan effettuate dalla contribuente nel 2007 ad un prezzo indicato nelle fatture inferiore a quello effettivamente corrisposto dai clienti avuto riguardo a quanto indicato nelle proposte d’ordine e nei contratti di finanziamento -ha annullato, in base alla documentazione ritualmente prodotta in sede di gravame, la ripresa con riferimento a complessive cinque fatture (in particolare due n. 205 e 218 – in aggiunta alle tre nn. 62, 124 e125 già ritenute congrue dalla CTP – essendo plausibile in entrambe la concessione di uno sconto atteso che, con riguardo alla prima, ‘la vendita seguita ad un contratto di noleggio per il quale erano stati regolarmente versati i canoni’ e, con riguardo alla seconda, ‘ acquis in permuta dalla società un veicolo per il quale era prevedibile un maggiore ricarico i n sede di vendita’ ), confermando per le restanti il rilievo dell’Ufficio ‘non avendo fornito la contribuente prove idonee a smontare la ricostruzione effettuata’.
3.2.Con riguardo al primo motivo, va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base al la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis ) concerne l’omesso esame di un fatto storico , principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’ art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). In particolare, il vizio specifico denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, richiede che il fatto asseritamente omesso sia un fatto storico, con la conseguenza che, a tali fini, non costituiscono fatti le deduzioni difensive e gli elementi istruttori (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. sez. 5, n. 18710 del 2022). Né, ovviamente, e a maggior r agione, l’apprezzamento giuridico del giudice, dissonante rispetto alle aspettative e prospettazioni della parte, può assurgere a omesso esame di un fatto controverso e decisivo (Cass. sez. 2, n. 29923 del 2023); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un ‘fatto storico’, ma peraltro con riguardo all’assunta mancata valutazione da parte della CTR della documentazione prodotta in giudizio (dichiarazioni rese dagli stessi clienti, estratti conto bancari della società, documentazione relativa alle cessioni in permuta e quella attestante la concessione dei relativi finanziamenti) comprovante la corrispondenza tra gli importi indicati nelle fatture contestate e quanto
effettivamente corrisposto dai clienti -di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione RAGIONE_SOCIALE quali è preclusa a questa Corte. Invero, la valutazione dei documenti e RAGIONE_SOCIALE altre risultanze istruttorie, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (così, Sez. 5, n. 15266 del 2023;Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097).
3.3.Con riguardo al secondo motivo, questa Corte ha chiarito che la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020). Peraltro, si è precisato che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad un vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Sez. 5, Ordinanza n. 24584 del 2023). Nella specie, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE
prove effettuato dal giudice del merito (‘vanno confermati nel resto i rilievi dell’Ufficio non avendo fornito la contribuente prove idonee a smontare la ricostruzione effettuata’), in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’evocazione dell’art. 116, c.p.c.
4. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia da parte della CTR sul motivo di appello relativo alla assunta illegittimità della ripresa dei costi ritenuti indebitamente dedotti, ai fini dell’Ires e dell’Irap, in quanto supportati da documenti mancanti dei requisiti di certezza e inerenza. In particolare, ad avviso della ricorrente, il giudice di appello -a fronte della contestazione dell’Ufficio della indebita deduzione, ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette, e detrazione ai fini Iva, in relazione a n. 9 fatture relative ad operazioni di riparazione e manutenzione di veicoli ceduti dalla contribuente in data anteriore a quella di emissione RAGIONE_SOCIALE fatture medesime e del motivo di gravame con il quale la contribuente assumeva la illegittimità di tale ripresa afferendo le operazioni fatturate a lavori di manutenzione in garanzia concessa ai clienti in relazione alla vendita di autocaravan- si sarebbe limitato a condividere integralmente le doglianze della società limitatamente all’addebito di indebita detrazione ai fini Iva, omettendo qualsiasi pronuncia – con riferimento alle medesime n. 9 fatture- in ordine alla ripresa dei costi dedotti ai fini Ires e Irap.
5.Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 109, comma 5, TUIR per avere la CTR -nell’ipotesi in cui si ravvisasse un rigetto implicito sul motivo di appello relativo all’illegittimità della ripresa a tassazione dei costi indebitamente dedotti ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette afferenti nove fatture relative ad operazioni di riparazione e manutenzione di veicoli già ceduti dalla contribuente -confermato, per mancanza di certezza e inerenza dei costi dedotti, la legittimità di tale addebito (annullando, relativamente alle medesime fatture, soltanto la ripresa dei costi detratti ai fini Iva) sebbene, come emergeva dal p.v.c. della G.d.F. e dalla stessa sentenza impugnata con riguardo alla ripresa ai fini Iva, le contestate fatture si riferissero a lavori di manutenzione e/o riparazione in garanzia eseguiti su autocaravan
venduti dalla contribuente essendo normale pratica commerciale la prestazione di garanzia temporanea sull’efficienza del veicolo con il conseguente accollo da parte del venditore RAGIONE_SOCIALE spese relative al mantenimento dell’efficienza degli stessi nel periodo di garanzia.
Premessa l’autosufficienza del terzo motivo avendo la contribuente riportato in ricorso , nelle parti rilevanti, l’atto di appello, al fine di permettere a questa Corte di verificare la fondatezza della censura, lo stesso è fondato con assorbimento del quarto.
6.1. Costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017 Cass. 28580-2021); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta RAGIONE_SOCIALE parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012); nella specie – a fronte della ripresa a tassazione dei costi ritenuti indebitamente dedotti ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette e detratti ai fini Iva in relazione a (nove) fatture (emesse nei confronti della contribuente da ditte esterne) afferenti a lavori manutenzione e riparazione di veicoli già ceduti da quest’ultima alla data di emissione RAGIONE_SOCIALE fatture, e del motivo di appello della società con cui si contestava l’illegittimità della detta ripresa a tassazione trattandosi, com e si evinceva dallo stesso p.v.c., di fatture riferite a lavori di manutenzione e/o riparazione in garanzia eseguite su autocaravan venduti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE (v. pag. 43-44)- la CTR si è limitata ad annullare la ripresa ai fini Iva ‘ essendo normale pratica commerciale la prestazione di garanzia temporanea sull’efficienza del veicolo con il conseguente accollo da parte del venditore RAGIONE_SOCIALE spese relative al mantenimento dell’efficienza stessa nel periodo di garanzia ‘, senza pronunciare sul motivo di appello con riguardo alla dedotta
illegittimità della ripresa dei costi -in relazione alle medesime fatture – anche ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette.
7. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 9bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 e 6, comma 5bis del d.lgs. n. 472 del 1997 per avere la CTR ritenuto legittime le sanzioni irrogate per la violazione degli obblighi di registrazione di acquisti intracomunitari in quanto la omissione della doppia annotazione (sul libro RAGIONE_SOCIALE fatture emesse e sul registro degli acquisti) concretava una violazione ‘ sostanziale ‘ sebbene, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia C590/13 dell’11 dicembre 2014, la violazione degli obblighi contabili in materia di reverse charge fosse da inquadrare come ‘violazione formale’ non in grado di pregiudicare il riconoscimento del diritto alla detrazione né tantomeno di determinare l’applicazione di una sanzione pari al 100% dell’imposta comunque, seppure irregolarmente, versata.
Con memoria la contribuente ha richiesto l’applicazione dello ius superveniens di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, che ha novellato lo specifico ambito.
7.1.Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.
7.2.Ha carattere preliminare, invero, la disamina dei seguenti tre profili: a) caratteristiche del regime dell’inversione contabile o reverse charge (cd. autofatturazione); b) distinzione tra violazioni sostanziali, formali e meramente formali; c) specificità della disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione.
7.3.Quanto al regime del reverse charge appare opportuno partire dalle modalità di assolvimento ordinario dell’imposta.
Nel sistema ordinario dell’Iva, infatti, il prestatore/cedente applica l’aliquota in fattura che addebita al committente/cessionario e poi versa la somma all’erario, mentre il secondo, che ha ricevuto la fattura e pagato l’Iva al primo, matura un corrispondente diritto di detrazione verso lo Stato. Tale modalità è derogata in alcuni casi, per i quali l’ordinamento interno e unionale ha previsto il diverso
sistema del reverse charge (o inversione contabile). Giova sottolineare che l’istituto, regolato, specialmente, dall’art. 17 d.P.R. n. 633 del 1972 (in particolare, dai commi 5 e 6), assolve, nella sua concezione originale e tradizionale, allo scopo di per mettere l’ingresso nel sistema contabile RAGIONE_SOCIALE operazioni rilevanti ai fini Iva in RAGIONE_SOCIALE realizzate da imprese non residenti (in ispecie, per operazioni intracomunitarie come quelle alla base della vicenda in giudizio) (cd. reverse charge esterno) Accanto a questa finalità, invero, si è progressivamente valutato il modello in questione come risposta alle esigenze di contrasto alle frodi perché idoneo ad evitare un incontrollato (ed abusivo) esercizio del diritto di detrazione (v. l’art. 199 quater della Di r. 2006/112/CE, introdotto con l’art. 1 Dir. 2018/2057/UE, che ha introdotto una più vasta applicazione dell’istituto). Orbene, il meccanismo così contemplato sposta sul cessionario l’onere di versare l’Iva: in particolare, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l’Iva in fattura e non è debitore verso l’erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge, è tenuto ad integrarla con l’Iva dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro RAGIONE_SOCIALE v endite. Per consentire, poi, il sorgere e l’esercizio del diritto di detrazione la norma prevede, quale modalità tecnica (integrativa rispetto alla condizione generale di cui all’art. 19, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972), l’annotazione della stessa ope razione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità. In termini essenziali, si può dire che il regime in questione addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell’imposta) l’onere di pagare l’Iva sull’operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione), riconosce agli stessi il diritto di detrazione per un pari importo. La peculiarità del meccanismo non interferisce, peraltro, con l’obbligatorietà e tempestività dell’emissione dell’autofattura che come la fattura -deve essere emessa, ai sensi dell’art. 21, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, «al momento di effettuazione dell’operazione determinata a norma dell’art. 6» del medesimo d.P.R., obbligo che, anzi, resta rafforzato dalla previsione, in caso di reverse charge, di specifici adempimenti (art. 17, quinto
comma) idonei a consentire la regolare e compiuta ricostruzione RAGIONE_SOCIALE operazioni effettuate, quali la duplice registrazione e l’integrazione della fattura ricevuta entro termini determinati (entro il mese del ricevimento o anche successivamente ma entro 15 giorni dal ricevimento). L’autofattura e il documento ricevuto dal cedente, debitamente integrato, vanno, infatti, annotati dal cessionario o committente sul registro RAGIONE_SOCIALE fatture emesse o in quello dei corrispettivi ex artt. 23 e 24 d.P.R. n. 633 del 19 72, mentre l’annotazione sul registro degli acquisti ex art. 25 rileva ai fini della successiva detrazione, sì da assicurare la neutralità dell’operazione.
7.4. Il secondo profilo -la distinzione tra le diverse tipologie di violazioni -è di rilievo decisivo nel presente giudizio.
Va dato atto, sul punto, che la distinzione tra le diverse situazioni, già oggetto di reiterati interventi di questa Corte (v. da ultimo Cass. n. 16450 del 10/06/2021; Cass. n. 28938 del 17/12/2020), deve ritenersi ancorata alle seguenti caratteristiche:
-le violazioni sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento;
le violazioni sono formali se pregiudicano l’esercizio RAGIONE_SOCIALE azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento;
le violazioni sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all’esercizio RAGIONE_SOCIALE azioni di controllo. Si è poi precisato, ai fini della concreta distinzione tra diverse ipotesi, che tra violazioni formali e violazioni meramente formali la valutazione «deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio RAGIONE_SOCIALE azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento» (Cass. n. 28938/2020 cit.) e, dunque, deve essere operato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato e la fattispecie giuridica alla quale va ricondotta la specifica trasgressione. Viceversa, per distinguere tra violazioni formali e sostanziali «è necessario accertare in concreto se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo
sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo» (Cass. n. 16450/2021 cit.).
7.5.Occorre tener conto, infine, della peculiarità della disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione e reverse charge -già oggetto di specifica considerazione da parte di questa Corte con la recente sentenza n. 1690 del 20/01/2022 -, la quale si c aratterizza per l’assenza, in linea di principio, di un omesso versamento dell’imposta e si interseca, nella sua evoluzione, con i principi affermati, a più riprese, dalla Corte di Giustizia.
La violazione degli obblighi di autofatturazione, infatti, era regolata, fino al 31.12.2007, dalla disposizione generale di cui all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 471 del 2007, per la quale «Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio».
L’art. 1, comma 155, l. n. 244 del 2007, peraltro, ha introdotto, con vigenza dal 1° gennaio 2008, il comma 9-bis all’art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, che, nella sua formulazione originaria, irrogava la medesima sanzione al cessionario o committente, nonché al cedente o prestatore, che «non assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile», e introduceva una sanzione meno gravosa (pari al 3%) ove l’imposta fosse stata assolta ancorché irregolarmente.
La materia è stata poi oggetto di un articolato intervento da parte del legislatore con il d.lgs. n. 158 del 2015 -qui in rilievo quale ius superveniens invocato in memoria e applicabile per il principio del favor rei -, per cui la disciplina in questione risulta oggi strutturata su una ipotesi di carattere generale (art. 6, comma 9 bis, oggetto di riformulazione e con un trattamento sanzionatorio più mite) e su alcuni regimi speciali (in particolare, i commi 9 bis.1, 9 bis.2 e 9 bis.3, non rilevanti ai fini del presente giudizio), con una sempre più chiara traslazione sul piano sanzionatorio della reazione dell’ordinamento all’illiceità della condotta
e con il contestuale riconoscimento della possibilità di detrazione dell’imposta. Giova sottolineare che tale assetto appare in linea con le pronunce della Corte di Giustizia che ha ritenuto il regime di ‘autoliquidazione’ (istituito già con l’art. 21, par. 1, lett. d), dir. n. 77/388/CEE) idoneo ad assicurare la neutralità dell’imposiz ione, senza perdita del diritto di detrazione, sempreché gli obblighi sostanziali siano soddisfatti, e ciò anche se taluni obblighi formali sono stati invece omessi dai soggetti passivi (v. Corte di Giustizia, sentenza 11 dicembre 2014, in C-590/13, RAGIONE_SOCIALE, sentenza 17 luglio 2014, in C272/13, Equoland; da ultimo, sentenza 18 marzo 2021, in C-895/19, RAGIONE_SOCIALE), restando però salva la possibilità per il legislatore nazionale di «corredare gli obblighi formali dei soggetti passivi di sanzioni tali da incoraggiare questi ultimi a rispettare detti obblighi al fine di assicurare il corretto funzionamento del sistema dell’IVA», ferma la necessaria osservanza di criteri di proporzionalità (Corte di Giustizia, sentenza 26 aprile 2017, in C-564/15, Tibor Farkas, par. 59 e ss.; sentenza 2 luglio 2020, in C835/18, RAGIONE_SOCIALE). L’intervento normativo, inoltre, ha regolato con autonomia la posizione del cessionario/committente (oggetto del comma 9 bis cit.) rispetto a quella del cedente/prestatore (oggetto del novellato comma 2 della norma), in precedenza regolato dal medesimo comma 9 bis. L’art. 6, comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997, attualmente vigente, prevede: «È punito con la sanzione amministrativa compresa fra 500 euro e 20.000 euro il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. Se l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi degli articoli 13 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, la sanzione amministrativa è elevata a una misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. Resta ferma
l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni previste dall’articolo 5, comma 4, e dal comma 6 con riferimento all’imposta che non avrebbe potuto essere detratta dal cessionario o dal committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti si applicano anche nel caso in cui, non avendo adempiuto il cedente o prestatore agli obblighi di fatturazione entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione o avendo emesso una fattura irregolare, il cessionario o committente non informi l’Ufficio competente nei suoi confronti entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all’emissione di fattura ai sensi dell’articolo 21 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o alla sua regolarizzazione, e all’assolvimento dell’imposta mediante inversione contabile».
I primi tre periodi del comma 9 bis disciplinano fattispecie che, pur distinte ed autonome, rivelano l’attenzione e la consapevolezza del legislatore per le conseguenze della violazione degli obblighi di autofatturazione ponendosi, in un certo qual modo, in un rapporto di progressione.
Il primo periodo, infatti, sanzione il fatto, oggettivo, di cui «omette di porre in essere gli adempimenti connessi all’inversione contabile». Qui, dunque, viene in rilievo l’inadempimento degli obblighi tutti quelli previsti attesa l’unitarietà del procedimento -stabiliti per l’esatta e corretta esecuzione dell’inversione contabile. La finalità, ben visibile, è quella di consentire all’Amministrazione finanziaria di poter esercitare le attività di controllo connesse alla puntuale osservanza della procedura di inversione contabile. La natura formale della violazione -non essendo prevista, né richiesta una effettiva lesione sull’imposta e/o sulla determinazione della base imponibile -è comprovata dalla irrogazione di una sanzione in misura fissa (da 500 a 20.000 euro).
Il secondo periodo considera la medesima condotta prevista dal primo periodo, caratterizzata, tuttavia, da un evento, peculiare, di danno in quanto relativo non all’Iva ma al reddito complessivo del soggetto, significativamente individuato dalla norma con la locuzione «se l’operazione non risulta dalla contabilità tenuta ai sensi dell’art. 13 e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973» (ossia ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi). Occorre considerare, difatti, che l’assolvimento dell’Iva con
la procedura di inversione contabile esclude, in linea generale, che vi sia un omesso versamento dell’imposta poiché, strutturalmente, viene attuata una sorta di ‘compensazione immediata’. Infatti, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servi zi non espone l’Iva in fattura e non è debitore verso l’erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge , è tenuto ad integrarla con l’Iva dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro RAGIONE_SOCIALE vendite. Come già detto, po i, per consentire il sorgere e l’esercizio del diritto di detrazione la norma prevede, quale modalità tecnica (integrativa rispetto alla condizione generale di cui all’art. 19, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972), l’annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità. In questa evenienza, dunque, la violazione degli obblighi relativi all’inversione contabile, ancorché non sia stata fonte di una sottrazione/perdita in materia di Iva, ha inciso sulla determinazione della base imponibile reddituale -ed è, dunque, ipotesi più grave e di natura sostanziale poiché l’operazione, inosservante degli obblighi connessi al reverse charge, resta occultata, ossia neppure risulta dalla contabilità tenuta ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, quale, ad es., il libro giornale o il registro degli acquisti.
Il terzo periodo, infine, individua l’ipotesi in cui la violazione degli obblighi ha inciso sulla detrazione Iva perché qui viene in rilievo «l’imposta che non avrebbe potuto essere detratta». La previsione, peraltro, concretizza una ipotesi di violazione sostanziale (con danno riferito alla medesima imposta) in concorso («resta ferma») con le precedenti. Infatti, oltre ad essere sanzionata la violazione degli obblighi in tema di reverse charge (in forza del primo o del secondo periodo del comma 9 bis a seconda dei casi), il terzo periodo ribadisce, con un rinvio all’art. 5, comma 4, e al successivo comma 6, che si applica anche la sanzione per l’indebita detrazione Iva che, in questi casi, sia stata in concreto effettuata (ad esempio, in caso di errata determinazione del pro-rata ). Dunque, la ratio della normativa è quella di prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un evidente pregiudizio all’esercizio RAGIONE_SOCIALE attività di controllo anche quando l’inosservanza degli ademp imenti non abbia in
concreto inciso sui versamenti -e sulla regolarità e tempestività degli stessi – e sulla determinazione dell’imponibile. E, del resto, come sopra evidenziato, la lesione del bene giuridico in questione va valutata non ex post, o in concreto, ma in astratto, ex ante, alla stregua della fattispecie normativa, irrilevante che, di fatto, l’Amministrazione possa aver ugualmente esperito i propri controlli. Tale conclusione, inoltre, trova riscontro anche nella previsione di una procedura di regolarizzazione in caso di fatturazione omessa od irregolare (prevista dal comma 8, richiamato dal comma 9 bis nel testo previgente e, attualmente, oggetto di specifica disciplina nello stesso art. 6, comma 9 bis), la cui effettività è strettamente correlata alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di un immediato controllo RAGIONE_SOCIALE operazioni. La presenza di eventi di danno -sul reddito complessivo o sull’Iva determina un trattamento sanzionatorio più grave, ma la loro mancanza è ininfluente ai fini dell’effettivit à e sussistenza, in ogni caso, della violazione (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24561 del 2022).
7.6. Nella sentenza impugnata la CTR ha ritenuto legittima l’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni per violazione degli obblighi di registrazione di acquisti intracomunitari concretando la omissione RAGIONE_SOCIALE due annotazioni (sul libro RAGIONE_SOCIALE fatture emesse e nel registro degli acquisti) una violazione di carattere sos tanziale (‘ le registrazioni assolvono senz’altro a una funzione sostanziale e non meramente formale; ciò in quanto annullandosi a vicenda comportano che non sorga alcun debito nei confronti dell’amministrazione fiscale… Nel nostro caso la contribuente aven do omesso le due annotazioni non si è dichiarata debitrice dell’Iva a monte; per conseguenza non si è verificato il presupposto dell’insorgenza del diritto di detrazione dell’Iva a valle ‘) ; ciò senza verificare, in ossequio alla giurisprudenza sopra richiamata, anche alla luce della normativa sopravvenuta, se le contestate violazioni avessero avuto riflessi sulla determinazione della base imponibile dell’imposta o del versamento del tributo, configurando, in caso contrario, violazioni di carattere formale.
8. In conclusione vanno accolti il terzo motivo, il quinto -nei termini di cui in motivazione- assorbito il quarto, inammissibili i restanti, con cassazione della sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti- con cassazione della sentenza
impugnata e rinvio anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie i motivi terzo e il quinto – nei termini di cui in motivazioneassorbito il quarto, inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata – in relazione ai motivi accolti – e rinvia, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 3 luglio 2024