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Verbale di verifica fiscale: la firma salva l’atto?

I soci di una società di trasporti hanno impugnato per falsità un verbale di verifica fiscale, sostenendo che alcune firme fossero apocrife. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5617/2024, ha stabilito che la presenza di anche una sola firma autentica di un verificatore è sufficiente a garantire la validità formale dell’atto e la sua provenienza da un pubblico ufficiale. Tuttavia, ha cassato la sentenza precedente perché il giudice d’appello non ha valutato un aspetto cruciale: l’eventuale assenza del verificatore (la cui firma era autentica) durante le operazioni di controllo. Tale assenza, se provata, inficerebbe l’efficacia probatoria del verbale riguardo ai fatti attestati.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Verbale di verifica fiscale: una sola firma autentica basta a salvarlo dalla nullità?

Un verbale di verifica fiscale può essere considerato valido anche se contiene firme false? E cosa succede se chi ha apposto la firma autentica non era presente durante le operazioni di controllo? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5617 del 1° marzo 2024, offre importanti chiarimenti su questi temi, delineando i confini tra validità formale dell’atto e la sua efficacia probatoria.

I Fatti di Causa: La contestazione delle firme

Il caso nasce dalla querela di falso promossa dai soci di una società di trasporti contro alcuni processi verbali di verifica redatti dalla Guardia di Finanza. I ricorrenti sostenevano la falsità di diverse sottoscrizioni apposte sui verbali, che erano poi confluiti in un verbale di constatazione e successivi avvisi di accertamento.

La Corte d’Appello aveva respinto l’impugnazione, ritenendo che la presenza di una firma autentica, quella del maresciallo capo, fosse sufficiente a garantire la riferibilità dell’atto al pubblico ufficiale e a renderlo valido, considerando quindi irrilevante la falsità delle altre firme. I soci, non soddisfatti, hanno portato la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la violazione delle norme sull’efficacia probatoria dell’atto pubblico e l’omessa pronuncia su un punto decisivo: la presunta assenza del maresciallo stesso durante le verifiche.

La Decisione della Cassazione e il verbale di verifica fiscale

La Suprema Corte ha analizzato la questione sotto due profili distinti, giungendo a una decisione che accoglie parzialmente il ricorso e chiarisce principi fondamentali.

La validità del verbale con una sola firma autentica

I Giudici hanno confermato un principio consolidato: per la validità di un verbale di verifica fiscale, è sufficiente la sottoscrizione di uno solo dei verificatori incaricati. Questo perché le norme in materia non richiedono l’esercizio congiunto delle funzioni né configurano il gruppo di verificatori come un organo collegiale. Di conseguenza, la firma di un singolo funzionario basta ad attribuire all’atto l’efficacia di piena prova ai sensi dell’art. 2700 c.c. per quanto riguarda la sua provenienza.

Su questa base, la Corte ha concluso che, se la genuinità di almeno una firma è incontestata, l’eventuale falsità delle altre diventa irrilevante ai fini della validità dell’atto. Il documento è comunque riconducibile a un pubblico ufficiale e, pertanto, formalmente valido.

L’importanza della presenza fisica del verbalizzante

Il punto di svolta della decisione risiede però nell’accoglimento del terzo motivo di ricorso. I ricorrenti avevano lamentato che la Corte d’Appello non si era pronunciata sulla loro specifica allegazione secondo cui il maresciallo, pur avendo apposto una firma autentica, non era fisicamente presente durante le operazioni giornaliere di verifica.

La Cassazione ha ritenuto questo motivo fondato. Ha sottolineato che l’atto pubblico fa piena prova dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. Se si dimostra che il verbalizzante non era presente, viene meno l’efficacia probatoria del verbale riguardo alle dichiarazioni delle parti e ai fatti accaduti durante l’accesso. La firma, seppur autentica, non può ‘sanare’ la mancanza del presupposto fondamentale su cui si basa la fede privilegiata dell’atto: la diretta percezione dei fatti da parte del pubblico ufficiale.

La legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate

Infine, la Corte ha accolto anche il motivo relativo alla legittimazione passiva. Contrariamente a quanto stabilito dalla Corte d’Appello, la Cassazione ha affermato che nel giudizio di querela di falso, la legittimazione passiva spetta al soggetto che intende avvalersi del documento contestato (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate, che ha usato i verbali per emettere gli avvisi di accertamento), e non necessariamente all’autore materiale dell’atto (la Guardia di Finanza).

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si articola su un doppio binario. Da un lato, si preserva la stabilità degli atti amministrativi, evitando che vizi formali minori, come la mancanza di alcune firme, possano invalidare l’intero operato dell’amministrazione, purché sia garantita la riconducibilità dell’atto a un pubblico ufficiale. Dall’altro, si tutela il diritto di difesa del contribuente, riaffermando che l’efficacia probatoria di un verbale di verifica fiscale non è assoluta. Essa è strettamente legata alla presenza fisica del verbalizzante, unico presupposto che giustifica la fede pubblica attribuita alle sue attestazioni. L’omessa valutazione di questo aspetto da parte del giudice di merito costituisce un vizio di procedura che impone l’annullamento della sentenza.

Conclusioni

La sentenza stabilisce un importante principio di equilibrio. Un verbale di verifica fiscale non è automaticamente nullo solo perché alcune firme sono false, se almeno una è autentica. Tuttavia, il contribuente può ancora contestarne il contenuto probatorio dimostrando che il pubblico ufficiale che lo ha sottoscritto non era presente ai fatti che attesta. La decisione, inoltre, chiarisce che l’azione di falso va correttamente intentata nei confronti dell’ente impositore che utilizza il verbale, ovvero l’Agenzia delle Entrate. Il caso è stato quindi rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Un verbale di verifica fiscale è nullo se alcune firme dei verificatori sono false?
No. Secondo la Corte, se almeno una delle sottoscrizioni apposte sul verbale è autentica e appartiene a un pubblico ufficiale incaricato, l’atto è formalmente valido e riconducibile all’amministrazione. La falsità delle altre firme diventa irrilevante ai fini della validità del documento.

Chi deve essere citato in giudizio in una causa di falso contro un verbale di verifica fiscale?
La legittimazione passiva spetta al soggetto che intende utilizzare il documento per fondare una propria pretesa. Nel caso specifico, è l’Agenzia delle Entrate, che ha utilizzato i verbali per emettere gli avvisi di accertamento, e non necessariamente la Guardia di Finanza che ha materialmente redatto l’atto.

Cosa succede se il pubblico ufficiale che firma il verbale non era presente durante le operazioni di verifica?
Se si dimostra che il pubblico ufficiale, pur avendo apposto una firma autentica, non era presente durante le operazioni, il verbale perde la sua efficacia di piena prova riguardo ai fatti e alle dichiarazioni che il funzionario attesta essere avvenuti in sua presenza. La firma non può sanare l’assenza, che è un requisito sostanziale per la fede privilegiata dell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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