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Vendite online: quando diventano attività d’impresa?

Un contribuente che effettuava numerose vendite online di scarpe è stato oggetto di un accertamento fiscale che ha qualificato la sua attività come reddito d’impresa. La Corte di Cassazione ha confermato che l’elevato numero di transazioni è un indicatore di abitualità e professionalità, sufficiente a configurare un’attività d’impresa ai fini fiscali, anche in assenza di una complessa organizzazione. Tuttavia, la sentenza ha accolto i ricorsi del contribuente su due punti specifici: ha annullato la decisione per mancata motivazione sul requisito dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP e ha chiarito che, per gli acquisti non fatturati, il cessionario è soggetto a sanzioni per mancata autofatturazione ma non al pagamento dell’IVA.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Vendite online: quando un hobby diventa un’attività d’impresa per il Fisco?

Con la crescita esponenziale del commercio elettronico, sempre più persone utilizzano piattaforme digitali per vendere beni. Ma dove si traccia la linea di confine tra una vendita occasionale e una vera e propria attività commerciale? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema, analizzando il caso di un contribuente specializzato in vendite online di calzature e chiarendo quando scattano gli obblighi fiscali tipici di un’impresa.

I Fatti del Caso: Dalle Scarpe Online all’Accertamento Fiscale

Il caso riguarda un contribuente che, nel corso di due anni, ha effettuato un numero molto elevato di vendite di scarpe attraverso una nota piattaforma online (oltre 1200 transazioni in un anno e più di 400 nel successivo). L’Agenzia delle Entrate, sulla base di accertamenti bancari e delle informazioni disponibili, ha ritenuto che tale attività non potesse essere considerata occasionale. Di conseguenza, ha emesso avvisi di accertamento qualificando i proventi come reddito d’impresa, con tutte le conseguenze in termini di imposte dirette, IVA e IRAP.

Il contribuente ha impugnato gli atti, sostenendo che l’attività fosse priva dei requisiti di professionalità e organizzazione tipici dell’impresa. La controversia è arrivata fino alla Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla corretta qualificazione fiscale di queste vendite.

Le Vendite Online e la Nozione di Attività d’Impresa

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda la definizione di attività d’impresa ai fini fiscali. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: per qualificare delle vendite online come attività d’impresa, l’elemento decisivo è l’abitualità.

I giudici hanno chiarito che, a differenza della nozione civilistica di imprenditore (che richiede anche il requisito dell’organizzazione), la normativa fiscale (art. 55 del TUIR) si concentra sulla professionalità intesa come esercizio abituale e sistematico di un’attività, anche se non esclusivo. L’elevatissimo numero di transazioni poste in essere dal contribuente è stato considerato un elemento sintomatico inequivocabile di tale abitualità, sufficiente a far scattare la presunzione di esercizio di un’attività commerciale.

La Motivazione dell’Atto e il Diritto di Difesa

Un’altra doglianza del contribuente riguardava un vizio di motivazione dell’atto impositivo. Egli lamentava che l’avviso di accertamento faceva riferimento a un “tabulato” delle transazioni online che non era stato allegato, ledendo così il suo diritto di difesa. La Corte ha respinto questa censura, affermando che la motivazione è valida quando il contribuente è comunque in grado di comprendere la pretesa fiscale. Nel caso specifico, il contenuto essenziale di quel documento era già stato comunicato al contribuente tramite un questionario precedente e, inoltre, egli stesso aveva la piena conoscenza delle operazioni da lui effettuate.

Questioni Fiscali Specifiche: IRAP e IVA nella Sentenza

Se la Corte ha dato ragione al Fisco sulla qualificazione generale dell’attività, ha però accolto due specifici motivi di ricorso del contribuente, relativi a IRAP e IVA, annullando con rinvio la sentenza d’appello.

L’IRAP e il Requisito dell’Autonoma Organizzazione

Per l’assoggettamento a IRAP di un imprenditore individuale, non è sufficiente l’esercizio di un’attività commerciale, ma è necessaria la presenza di un'”autonoma organizzazione”. Il contribuente aveva contestato questo punto, ma la Corte d’appello aveva omesso di motivare la sua decisione al riguardo. La Cassazione ha ritenuto questa omissione un vizio della sentenza, accogliendo il motivo e rinviando la causa a un nuovo giudice per una valutazione specifica sulla sussistenza di tale requisito.

L’IVA sugli Acquisti non Documentati

L’Agenzia aveva recuperato l’IVA anche sui prelievi bancari, presumendo che si trattasse di acquisti “in nero”. La Cassazione ha chiarito che, in base alla normativa vigente (art. 6, co. 8, D.Lgs. 471/1997), il cessionario che effettua un acquisto senza ricevere fattura e non provvede a regolarizzare l’operazione tramite autofatturazione è soggetto a una sanzione, ma non è tenuto al pagamento dell’imposta al posto del venditore. Pertanto, la pretesa dell’Erario di riscuotere l’IVA direttamente dal compratore è stata ritenuta infondata.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte Suprema tracciano una linea netta tra la disciplina fiscale e quella civilistica dell’impresa. Ai fini delle imposte sui redditi, ciò che conta è la sistematicità e la regolarità delle operazioni economiche, che trasformano una serie di atti di compravendita in un’attività commerciale strutturata, a prescindere dall’esistenza di una sede fisica, di dipendenti o di un’organizzazione complessa. Il numero di transazioni è l’indice principale di questa trasformazione. Per quanto riguarda l’IRAP, invece, la Corte ribadisce la necessità di un quid pluris, l’autonoma organizzazione, che deve essere concretamente provata. Infine, in tema di IVA, la decisione riafferma il principio secondo cui gli obblighi di versamento e le sanzioni sono distribuiti in modo preciso tra venditore e acquirente, e l’omissione di uno non può tradursi automaticamente in un obbligo di pagamento per l’altro.

Conclusioni: Cosa Imparare da questa Sentenza sulle Vendite Online

Questa sentenza offre importanti spunti pratici per chiunque venda prodotti online. Primo, l’attività cessa di essere occasionale e diventa commerciale quando assume carattere di sistematicità e abitualità, indipendentemente dai volumi di fatturato. L’elevato numero di vendite è un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Secondo, anche se l’attività è qualificata come d’impresa, l’applicazione dell’IRAP non è automatica e dipende dalla dimostrazione di un’autonoma organizzazione. Terzo, le regole sull’IVA sono specifiche: l’acquirente ha l’obbligo di regolarizzare gli acquisti non fatturati, ma il suo inadempimento è punito con una sanzione, non con l’obbligo di versare l’imposta dovuta dal venditore. Chi opera nel mondo delle vendite online deve quindi prestare la massima attenzione non solo al numero delle transazioni, ma anche alla corretta applicazione dei diversi tributi.

Quando le vendite online vengono considerate un’attività d’impresa dal Fisco?
Secondo la sentenza, le vendite online diventano un’attività d’impresa quando sono caratterizzate da abitualità, ossia quando vengono effettuate in modo sistematico e continuativo. L’elevato numero di transazioni (nel caso di specie, centinaia in un anno) è considerato un elemento sintomatico sufficiente per qualificare l’attività come commerciale ai fini fiscali, anche senza un’organizzazione complessa.

Per applicare l’IRAP a un venditore online individuale, cosa è necessario?
Non è sufficiente dimostrare che l’attività sia d’impresa. Per l’applicazione dell’IRAP è richiesto il requisito aggiuntivo dell'”autonoma organizzazione”, ovvero la presenza di una struttura organizzativa che ecceda il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività e si avvalga di fattori produttivi esterni. La sentenza ha annullato la decisione precedente proprio perché mancava una motivazione su questo specifico punto.

Se un acquirente non riceve la fattura per un acquisto, deve pagare l’IVA al posto del venditore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il cessionario (acquirente) che non riceve la fattura e omette di regolarizzare l’operazione tramite il meccanismo dell’autofatturazione è soggetto a una sanzione amministrativa, ma non è tenuto a versare l’imposta che era a carico del cedente (venditore). L’obbligo di versamento dell’IVA rimane in capo al venditore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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