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Vendite in nero: la Cassazione contro le fatture fittizie

Una società impugna un accertamento fiscale per vendite in nero, sostenendo di aver emesso solo fatture pro-forma per ottenere finanziamenti, senza reali cessioni di beni. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. L’esistenza di bonifici bancari da parte dei clienti, che indicavano gli estremi delle fatture, è stata ritenuta prova sufficiente delle operazioni commerciali reali, rendendo inverosimile la tesi difensiva della società.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Vendite in nero: la Cassazione contro l’uso di fatture pro-forma

L’ordinanza in esame affronta un caso significativo di presunte vendite in nero, mascherate dall’emissione di fatture pro-forma utilizzate per ottenere liquidità dalle banche. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha rigettato il ricorso di una società, confermando l’accertamento fiscale e stabilendo principi importanti sulla valenza probatoria degli elementi contabili e sulla natura delle operazioni commerciali.

I Fatti di Causa

Una società operante nel commercio di abbigliamento si è vista notificare un avviso di accertamento e due provvedimenti sanzionatori per le annualità 2014 e 2015. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’omessa dichiarazione di ricavi per oltre 1,6 milioni di euro, derivanti da vendite non contabilizzate, oltre ad altre violazioni fiscali.

La difesa della società si basava su un punto cruciale: le fatture in questione erano semplici documenti pro-forma, emessi al solo scopo di ottenere anticipazioni finanziarie dagli istituti di credito in un periodo di difficoltà economica. Secondo la tesi del contribuente, a tali fatture non corrispondeva alcuna reale cessione di beni né alcun pagamento da parte dei clienti.

Sia la Commissione Tributaria di primo grado che quella Regionale avevano però dato ragione all’Agenzia delle Entrate. I giudici d’appello, in particolare, avevano definito “evidentemente inverosimile” la perizia di parte presentata dalla società, che attestava la mancanza di incassi. A smentire tale ricostruzione vi erano, secondo i giudici, i dati contabili e, soprattutto, i bonifici dei clienti che riportavano esplicitamente data e numero delle fatture pagate.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulle Vendite in nero

La società ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di omessa pronuncia sull’eccezione relativa all’assenza di pagamenti. La Suprema Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, spiegando che la ricorrente non si confrontava con la sostanza della sentenza impugnata.

I giudici di secondo grado, infatti, avevano compiuto un accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, concludendo che le fatture erano state effettivamente pagate. L’esistenza di bonifici bancari effettuati dai clienti, con causali parlanti, e la circostanza che gran parte dei finanziamenti bancari fossero stati estinti proprio con le disponibilità derivanti da tali bonifici, costituivano un quadro probatorio solido a favore della tesi dell’Erario.

Il valore probatorio della perizia di parte

La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato: la perizia stragiudiziale di parte non ha un autonomo valore probatorio. Essa è un mero atto difensivo. Pertanto, il giudice non è tenuto a confutarla punto per punto, ma può semplicemente motivare la sua decisione enunciando considerazioni con essa incompatibili. Nel caso di specie, l’affermazione dei giudici d’appello sull’esistenza di pagamenti documentati rendeva di per sé irrilevante la perizia che ne sosteneva l’assenza.

Fatture per operazioni inesistenti e obblighi IVA

Un altro passaggio fondamentale dell’ordinanza riguarda la rilevanza ai fini IVA delle fatture emesse, anche se per operazioni inesistenti. La Corte ha ricordato il proprio orientamento secondo cui una fattura per operazioni inesistenti, scontata in banca per ottenere un’anticipazione, si considera comunque “messa in circolazione”. Di conseguenza, l’emittente è tenuto al versamento dell’IVA corrispondente, a meno che non fornisca la prova dell’eliminazione degli effetti pregiudizievoli per l’Erario derivanti dall’uso del documento.

Le Motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda principalmente sull’inammissibilità del ricorso, che tentava di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti operato dai giudici di merito. La Corte ha sottolineato come i giudici d’appello avessero logicamente dedotto la realtà delle operazioni commerciali e delle vendite in nero da una serie di elementi concordanti: i dati contabili, i bonifici specifici dei clienti e l’impossibilità logica per la società di onorare i finanziamenti bancari in totale assenza di ricavi. La prospettazione della società, che si basava su una perizia di parte, è stata giudicata insufficiente a scalfire un quadro probatorio così ben delineato dall’Amministrazione Finanziaria e recepito nelle sentenze dei gradi inferiori.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma la rigorosa linea della giurisprudenza in materia di accertamento fiscale. La presenza di prove documentali di pagamento, come i bonifici bancari, assume un peso decisivo nel dimostrare l’esistenza di ricavi non dichiarati. La tesi difensiva basata sull’emissione di fatture pro-forma per soli scopi finanziari non regge di fronte a prove concrete che attestano il flusso di denaro. Per i contribuenti, la lezione è chiara: la contabilità e i movimenti finanziari devono essere trasparenti e coerenti, poiché l’Amministrazione Finanziaria ha a disposizione strumenti efficaci per far emergere le incongruenze e contestare le operazioni simulate.

Una fattura pro-forma usata per ottenere un finanziamento è rilevante ai fini fiscali se l’operazione non avviene?
Sì. La Corte di Cassazione ha affermato che una fattura, anche se concernente operazioni inesistenti e scontata in banca per ottenere un’anticipazione, si considera emessa ai sensi della normativa IVA. L’emittente è quindi tenuto al versamento della relativa imposta, salvo che dimostri di aver eliminato gli effetti dannosi per l’Erario.

Che valore probatorio ha una perizia tecnica presentata dalla società per difendersi?
Secondo la Corte, una perizia stragiudiziale di parte è un mero atto difensivo e non ha autonomo valore probatorio. Il giudice non è obbligato a confutarla specificamente, essendo sufficiente che la sua motivazione si basi su considerazioni incompatibili con le conclusioni della perizia stessa.

Cosa ha reso inverosimile la difesa della società secondo i giudici?
I giudici hanno ritenuto inverosimile la tesi della società perché, a fronte della perizia che negava gli incassi, esistevano prove contrarie concrete: i bonifici bancari effettuati dai clienti che riportavano espressamente data e numero delle fatture pagate. Inoltre, sarebbe stato illogico per la società riuscire a rimborsare i finanziamenti bancari senza avere alcun ricavo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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