Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1603 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1603 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
Oggetto:
attività di impresa – vendita opere d’arte – accertamenti bancari –
Consigliere –
Consigliere –
CC – 04/07/2023
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17833 del ruolo RAGIONE_SOCIALE dell’anno 20 15 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore RAGIONE_SOCIALE pro tempore, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in INDIRIZZO INDIRIZZO, è domiciliata;
-ricorrente principale –
contro
NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO per procura speciale a margine del controricorso,
elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’indirizzo di quest’ultimo difensore;
-controricorrente e ricorrente incidentale – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, n. 36/22/2015, depositata il 7 gennaio 2015;
udita la relazione svolta in camera di consiglio del 4 luglio 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
considerato che:
d all’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’RAGIONE_SOCIALE aveva notificato a NOME COGNOME due avvisi di accertamento con i quali, relativamente agli anni di imposta 2004 e 2005, aveva richiesto il pagamento dell’ Irpef, Iva e Irap non versate in quanto lo stesso aveva svolto attività di commercio di opere d’arte; avverso i suddetti atti impositivi il contribuente aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati parzialmente accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado sia il contribuente che l’RAGIONE_SOCIALE avevano proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto parzialmente entrambi gli appelli, in particolare ha ritenuto che: il contribuente aveva svolto attività di impresa di commercio di opere d’arte; all’imponibile ai fini Irpef accertato dovevano essere dedotti i costi relativi all’attività svolta , da quantificarsi nella misura dell’80 per cento dell’am montare dei ricavi; ai fini Iva, doveva trovare applicazione il regime del margine con determinazione della base imponibile nella misura del 60 per cento del prezzo di vendita e con applicazione dell’aliquota ordinaria; era legittima la pretesa ai fini Irap; per quanto concerneva le sanzioni, era legittima la pretesa, con applicazione del
cumulo giuridico trattandosi di violazione della stessa indole commessi in diversi periodi di imposta;
l’RAGIONE_SOCIALE ha quindi proposto ricorso principale per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito il contribuente depositando controricorso contenente ricorso incidentale affidato a quattro motivi di censura;
ritenuto che:
in primo luogo, con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso principale della sussistenza di un errore materiale della pronuncia del giudice di appello, va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui la speciale disciplina dettata dagli artt. 287, cod. proc. civ., e segg., per la correzione degli errori materiali incidenti sulla sentenza, la quale attribuisce la competenza all’emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da correggere, mentre non è applicabile quando contro la decisione stessa sia già stato proposto appello dinanzi al giudice del merito, in quanto l’impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da osservarsi rispetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione, atteso che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera legittimità e la Corte di cassazione non può correggere errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta l’istanza di correzione, anche dopo la presentazione del ricorso per cassazione (Cass. civ., 19 maggio 2021, n. 13629; Cass. civ., 27 luglio 2001, n. 10289; Cass. civ., 20 agosto 2004 n. 16353); con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, consistente nella circostanza che, relativamente all’anno 2005, i maggiori ricavi erano stati determinati facendo riferimento sia agli importi ricavati dalle dichiarazioni di vendita reperite presso la società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) sia alle movimentazioni bancarie non giustificate;
evidenzia parte ricorrente che il giudice del gravame ha erroneamente determinato i ricavi sulla base dei soli dati rilevati presso la società rivenditrice, avendo ritenuto che le indagini bancarie fossero servite solo per dare certezza agli esiti dell’attività di verifica, mentre le stesse, dopo essere state depurate di tutte le transazioni che non rilevavano dal punto di vista reddituale, erano state considerate solo nella misura in cui non erano giustificate dalla rilevazione analitica presso il cliente; con il secondo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, per avere erroneamente escluso, ai fini della rideterminazione dei ricavi e del volume di affari, gli importi desumibili dalle risultanze RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono fondati; va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di specificità per non avere indicato, in sede di esposizione dei fatti, gli atti di causa e le prove documentali: invero, il ricorso contiene la compiuta indicazione degli elementi posti a base della pretesa tributaria, RAGIONE_SOCIALE ragioni di contestazione prospettate dal contribuente e della decisione del giudice di primo grado; inoltre, risulta adeguatamente compiuto il richiamo agli atti e documenti in modo da consentire a questa Corte di apprezzare le ragioni RAGIONE_SOCIALE censure prospettate;
va altresì disattesa l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso in quanto gli stessi prospetterebbero una nuova valutazione di merito in ordine alla esatta quantificazione dei maggiori redditi accertabili a carico del contribuente: invero, quel che la ricorrente principale lamenta è la mancata considerazione, ai fini della determinazione del
maggior reddito non dichiarato, anche del valore presuntivo RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie del contribuente, il che si traduce, in primo luogo, nella prospettazione di un omesso esame di un fatto decisivo, nonché, in secondo luogo, di una conseguente violazione di legge per mancata applicazione della presunzione legale relativa in tema di accertamenti bancari del contribuente;
né può dirsi, come invece sostiene la difesa del contribuente, che la questione prospettata attiene al metodo della ricostruzione dell’imponibile in quanto, invece, si tratta di non avere tenuto conto del fatto, rilevante ai fini della decisione, che la pretesa dell’amministrazione finanziaria era basata non solo su quanto risultante dalle dichiarazioni rinvenute presso la società rivenditrice ma anche sulla valenza di prova presuntiva RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie del contribuente;
ciò precisato, si evince dal ricorso che la pretesa dell’amministrazione finanziaria si era fondata oltre che su quanto riscontrato in sede di verifica presso la società RAGIONE_SOCIALE, cioè sul contenuto RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni sottoscritte dal cedente, anche sulle movimentazioni bancarie relative al contribuente, sicché le stesse costituivano un elemento presuntivo di accertamento ulteriore rispetto a quello ricavabile dalle dichiarazioni (vd. pag. 15);
tale circostanza trova riscontro nel controricorso del contribuente, che ha riportato la tabella nella quale sono state specificamente indicate le diverse voci considerate come ricavo e dalla quale si evince che, effettivamente, la pretesa era basata non solo sulle dichiarazioni di vendita reperite presso RAGIONE_SOCIALE ma anche in relazione a operazioni fuori conto in entrata e in uscita nonché a RAGIONE_SOCIALE e uscite bancarie non collegate con la dichiarazione di vendita;
rispetto a tali elementi fattuali il giudice del gravame si è limitato alla considerazione che i ricavi imponibili dovevano essere determinati con
riferimento ai dati rilevati presso le imprese rivenditrici RAGIONE_SOCIALE opere d’arte cedute dal contribuente, ‘ che sono state anche controllate con le movimentazioni bancarie, in quanto costituiscono degli elementi certi di valutazione dell’attività espletata’ ;
in sostanza, il giudice del gravame ha preso in considerazione, ai fini della determinazione del maggiore reddito imponibile e del maggiore volume di affari, unicamente gli importi risultanti dalle dichiarazioni rinvenute presso le imprese rivenditrici, senza tenere conto della circostanza che le movimentazioni bancarie costituivano elementi di prova presuntiva ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quella già inerente al contenuto RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni;
sotto tale profilo, il giudice del gravame è incorso in un vizio di motivazione, per non avere tenuto conto del fatto decisivo per cui le movimentazioni bancarie costituivano elementi di prova presuntiva distinti e diversi rispetto a quelli, unicamente presi in considerazione, consistenti nelle dichiarazioni rinvenute;
lo stesso, inoltre, è in corso in un vizio di violazione di legge, avendo sostanzialmente svalutato la rilevanza di prova presuntiva che le movimentazioni bancarie possono avere, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51, comma 2, d.P.R. n. 633/1972 , essendosi limitato a ritenere che avessero unicamente funzione rafforzativa del valore di prova presuntiva RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni;
con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 55 TUIR e degli artt. 2082 e 2195, cod. civ., per avere erroneamente ritenuto che lo stesso rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale;
in particolare, evidenzia il ricorrente incidentale che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, lo stesso non aveva mai svolto l’attività di compravendita di opere d’arte, avendo sempre agito quale
collezionista privato, e che le vendite erano state solo il frutto della dismissione del suo patrimonio;
sotto tale profilo, secondo parte ricorrente, la sua attività non poteva essere ricondotta a quella di impresa, in quanto non ha svolto alcuna operazione di intermediazione tra produttore e consumatore e, inoltre, difettava l’autonoma o rganizzazione di mezzi per svolgere la suddetta attività;
il motivo è infondato;
questa Corte (Cass. civ., 8 marzo 2023, n. 6874) ha precisato che la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti: l’art. 2082, cod. civ., considera imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l’art. 55 TUIR non richiede il requisito dell’organizzazione, ma il mero esercizio professionale e abituale RAGIONE_SOCIALE attività di cui all’art. 2195 cod. civ., anche se non svolte in modo esclusivo;
invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche sulla base della normativa e della giurisprudenza unionale in materia di iva, la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell'”organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile ma non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professionalità abituale dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa (v. sul piano normativo l’art. 55, già art. 51, TUIR, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4; nella giurisprudenza di questa Corte, Cass. civ., 7 novembre 2012, n. 19237; Cass. civ., 5 dicembre 2014, n. 25777; Cass. civ., 6 aprile 2017, n. 8982; Cass. civ., n. 36502/2022);
è stato in più occasioni ribadito che l’art. 55 del T.U.I.R. intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, RAGIONE_SOCIALE attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in
forma d’impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorché non esclusiva (Cass. civ., 16 dicembre 2022, n. 36992; Cass. civ., 20 dicembre 2006, n. 27211);
ciò va precisato anche con riferimento all’iva, atteso che il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 1, così come l’analogo art. 55, comma 1, del T.U.I.R., intende come tale “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”, RAGIONE_SOCIALE attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva;
in sostanza, l’ espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa, più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale. Occorre, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità (cfr. Cass. 6853/2016, in motivazione);
sotto questo profilo, nello specifico ambito RAGIONE_SOCIALE attività inerenti la vendita di opere d’arte, si è affermata da questa Corte la seguente differenziazione: è da qualificarsi come mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore RAGIONE_SOCIALE medesime opere; è speculatore occasionale chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile; è mero collezionista, infine,
chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre;
il discrimine su cui fondare la diversa qualificazione è stato individuato da questa Corte nel requisito dell’abitualità, di cui all’art. 55 TUIR sopra richiamato in tema di reddito d’impresa, sicché si è rinvenuta l’esistenza di un’attività commerciale in ragione di elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa: numero RAGIONE_SOCIALE transazioni effettuate, importi elevati, quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti, varietà della tipologia di beni alienati, non assumendo rilievo, ai fini impositivi, il fatto che il profitto conseguito sia stato capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto (Cass. 31 marzo 2008, n. 8196);
ciò posto, non può essere seguita la linea difensiva del controricorrente che postula la non corretta qualificazione dell’attività svolta quale impresa commerciale;
la circostanza che, secondo l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame, la suddetta attività è stata svolta ‘ nel tempo’ e in forma ‘ non occasionale ‘, esclude che possa ragionarsi in termini di attività non professionale, secondo i parametri sopra delineati;
né è corretto ritenere che , poiché l’attività è stata svolta in modo non organizzato, la stessa debba essere tratta fuori dall’ambito dell’attività di impresa, poiché, come detto, l’organizzazione dell’attività non costituisce requisiti essenziale per il riconoscimento dell’attività di impresa;
con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 36 e 61, d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., e dell’art. 118, disp. att., cod. proc. civ., per non avere motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto di dovere riconoscere la deduzione dei costi nella misura dell’80 per cento dei ricavi accertati piuttosto che in quella maggiore richiesta dal contribuente; il motivo è infondato;
il giudice del gravame ha espresso le ragioni del proprio convincimento in ordine alla deducibilità dei costi nella misura dell’80 per cento dei ricavi avendo dato atto della circostanza che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto di applicare la suddetta misura in altro avviso di accertamento relativo all’anno 2009 e, diversamente da quanto ritenuto da parte ricorrente, in questo risiede il ragionamento logico espresso dal giudice del gravame;
il quale, peraltro, come si evince in sede di svolgimento del processo, è stato parametrato agli studi di settore per il commercio al dettaglio di oggetti d’arte, in linea, sotto tale profilo, con quanto evidenziato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 2023, secondo cui il costo è desumibile in via presuntiva, anche con riferimento alle ‘medie’ elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento;
con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 36, d.l. n. 41/1995, per avere erroneamente ritenuto applicabile, al caso di specie, il regime del margine commisurando l’imposta in modo forfettario anziché analitico;
secondo parte ricorrente, poiché, nel caso di specie, i costi sostenuti sono stati oggetto di accertamento giudiziale, non si sarebbe potuto procedere ad una determinazione dell’imponibile ai fini iva in modo
forfettario che, invero, trova applicazione solo quando il costo di acquisto manca, o è privo di rilevanza ovvero non è determinabile; il motivo è infondato;
in materia di regime speciale del margine di cui all’art. 36, d.l. n. 41/1995, applicabile anche al caso di commercio di oggetti d’arte, il comma 1 prevede che, per il commercio di beni mobili usati, suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione, nonché degli oggetti d’arte, degli oggetti d’antiquariato e da collezione, indicati nella tabella allegata al decreto, acquistati presso privati nel territorio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE o in quello di altro RAGIONE_SOCIALE membro dell’Unione europea, l’imposta relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato RAGIONE_SOCIALE spese di riparazione e di quelle accessorie; il successivo comma 5 prevede, poi, che la base imponibile ai fini iva è determinata in misura pari al 60 per cento del prezzo di vendita, per le cessioni di oggetti d’arte dei quali il prezzo di acquisto manca o è privo di rilevanza, ovvero non è determinabile;
in termini generali, va osservato che con questo regime speciale, l’iva viene calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita dei beni e quello di acquisto maggiorato dei costi di riparazione e accessori, sicché la base imponibile sulla quale va applicata l’aliquota iva prevista per la cessione dei beni non è determinata sull’intero prezzo di vendita, ma solo sull’utile (o ‘margine’) che risulta a favore dell’operatore economico dopo la rivendita del bene che avev a già scontato l’iva in via definitiva;
il metodo ordinario per l’applicazione dell’imposta è quello della determinazione analitica del margine, e, in particolare, la base imponibile sulla quale calcolare l’imposta viene determinata per ogni singolo bene tenendo conto, come detto, della differenza positiva tra il prezzo di vendita di ciascun bene e quello relativo al suo acquisto,
aumentato RAGIONE_SOCIALE spese di riparazione e accessorie imputabile al medesimo bene;
la disciplina di riferimento prevede, poi, che, ove il prezzo di acquisto manca, o è privo di rilevanza o non è determinabile, si applica il regime forfettario, secondo cui il margine è determinato forfettariamente nella misura del 60 per cento del prezzo di vendita;
il dato di riferimento, dunque, è costituito dal prezzo di acquisto, sicché è la sua incertezza o indeterminabilità al momento in cui l’imposta è esigibile che si deve accedere alla determinazione della base imponibile secondo il regime forfettario;
in questo ambito, in cui è certo che il contribuente non ha in alcun modo provato quale fosse l’esatto importo degli acquisti RAGIONE_SOCIALE opere cedute, non è corretta la decisione nella parte in cui ha ritenuto che la determinazione del prezzo di acquisto sarebbe quello accertato;
si tratta di due profili di per sé differenti, in quanto quest’ultimo ha riguardo alla valutazione dei costi di impresa genericamente intesi e accertati al fine di procedere all’accertamento impositivo che sia conforme al principio della capacità contributiva; il primo, invece, ha riguardo al mero prezzo di acquisto di ogni singola opera d’arte, la cui mancanza, secondo la specifica previsione di legge, comporta l’applicazione del regime forfettario di determinazione della base imponibile nell’ambito del regime speciale dell’iva in considerazione; quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2, d.lgs. n. 446/1997, per avere erroneamente ritenuto applicabile l’Irap l’attività non fosse stata esercitata mediante un’autonoma con il 360, comma primo, n. nonostante organizzazione;
il motivo è fondato;
va osservato, a tal proposito, che, secondo questa Corte (Cass. civ., 17 giugno 2022, n. 19634), alla luce del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2,
per il quale presupposto dell’Irap è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (primo periodo) e ” costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ” (secondo periodo), solo l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce ex lege il presupposto dell’imposta, senza necessità di accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione (Cass. Sez. U. 14.04.2016, n. 7371: ” presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, – comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione “).
diversa è, invece, la conclusione della giurisprudenza di legittimità laddove l’attività di natura imprenditoriale sia svolta, come nel caso di specie, in forma individuale, ed in particolar modo laddove ricorra la figura del cd. piccolo imprenditore, in relazione al quale si è affermato che ” In tema di Irap, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre
quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui ‘ (Cass. n. 21122/10, con riguardo alla figura del coltivatore diretto; n. 21113/10, con riguardo all’attività di tassista; n. 21124/10, con riguardo all’artigiano; Cass. n. 4490/12, con riguardo all’esercente di fornitura di software e di consulenza informatica; Cass. n. 1162/12 e n. 24515/2016 con riferimento a un piccolo imprenditore esercente commercio al dettaglio di prodotti del tabacco);
la sentenza censurata ha fatto derivare l’applicabilità dell’ Irap avendo accertato l’esistenza di una forma di organizzazione strumentale da parte del contribuente che è stato ritenuto avere svolto attività di impresa e, sotto tale profilo, si è proceduto secondo un procedimento di derivazione necessaria tra lo svolgimento dell’attività di impresa e la esistenza di una struttura diretta alla conservazione dei beni oggetti di attività, valorizzando, in questo ambito, il fatto che le opere erano conservate in tre strutture diverse;
in tal modo, non si è proceduto a verificare se e in che modo anche la presenza di tre magazzini potesse assumere valore ai fini della valutazione della sussistenza di una autonoma organizzazione secondo i parametri sopra indicati , in particolare l’utilizzo di beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione;
in conclusione, sono fondati il primo e secondo motivo di ricorso principale, è fondato il quarto motivo di ricorso incidentale, con conseguente accoglimento del ricorso principale e del ricorso
incidentale per il motivo accolto e cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, anche per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M. La Corte:
accoglie il ricorso principale e il quarto motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il giorno 4 luglio 2023.