Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1610 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1610 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
Oggetto:
attività di impresa – vendita opere d’arte – accertamenti bancari –
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO –
CC – 04/07/2023
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24770 del ruolo RAGIONE_SOCIALE dell’anno 20 15 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore RAGIONE_SOCIALE pro tempore, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in INDIRIZZO INDIRIZZO, è domiciliata;
-ricorrente principale –
contro
NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO per procura speciale a margine del controricorso,
elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’indirizzo di quest’ultimo difensore;
-controricorrente e ricorrente incidentale – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, n. 491/5/2015, depositata il giorno 11 marzo 2015; udita la relazione svolta in camera di consiglio del 4 luglio 2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
considerato che:
d all’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che:
l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva notificato a NOME COGNOME un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2006, aveva richiesto il pagamento dell’ Irpef, Iva e Irap non versate in quanto lo stesso aveva svolto attività di commercio di opere d’arte; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia; avverso la pronuncia del giudice di primo grado sia il contribuente che l’RAGIONE_SOCIALE avevano proposto appello; la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto parzialmente l’appello del contribuente , in particolare ha ritenuto che: il contribuente aveva svolto attività di impresa di commercio di opere d’arte ma, non sussistendo i presupposti di una autonoma organizzazione, non era legittimo l’assoggettamento a Irap ; all’imponibile ai fini Irpef accertato dovevano essere dedotti i costi relativi all’attività svolta da quantificarsi nella misura dell’80 per cento dell’am montare dei ricavi; non poteva trovare accoglimento il motivo di appello relativo alla violazione del contraddittorio preventivo e di illegittimità dell’attività istruttoria; ai fini Iva, doveva trovare applicazione il regime speciale del margine; erano corrette le sanzioni applicate;
l’RAGIONE_SOCIALE ha quindi proposto ricorso principale per la cassazione della sentenza affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito il contribuente depositando controricorso contenente ricorso incidentale affidato a tre motivi di censura;
ritenuto che:
con l’unico motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/1973, per avere erroneamente escluso che la presunzione di cui alla norma in esame non potesse applicarsi ai prelevamenti riscontrati sui conti del contribuente e, inoltre, per avere ritenuto di potere applicare, in via forfettaria, la riduzione di costi nella misura dell’8 0 per cento dei ricavi; in particolare, evidenzia parte ricorrente che il giudice di primo grado aveva erroneamente accolto la prospettazione difensiva del contribuente di esclusione dei prelevamenti ai fini della determinazione presuntiva del maggior reddito dichiarato e che avverso la suddetta decisione aveva proposto appello, contestando la mancata applicazione della presunzione legale relativa ai prelevamenti; inoltre, evidenzia che non legittimamente è stata operata una deduzione forfettaria dei costi, essendo a carico del co ntribuente l’onere della prova;
il motivo è fondato solo in parte;
va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di specificità per non avere indicato, in sede di esposizione dei fatti, gli atti di causa e le prove documentali: invero, il ricorso contiene la compiuta indicazione degli elementi posti a base della pretesa tributaria, RAGIONE_SOCIALE ragioni di contestazione prospettate dal contribuente e della decisione del giudice di primo grado; inoltre, risulta adeguatamente compiuto il richiamo agli atti e documenti in modo da consentire a questa Corte di apprezzare le ragioni RAGIONE_SOCIALE censure prospettate;
va altresì disattesa l’eccezione di inammissibilità de l motivo di ricorso in quanto contiene una doppia censura nell’ambito dell’unico motivo dedotto: in realtà, il motivo di ricorso è stato prospettato per violazione di legge in relazione al duplice percorso motivazionale seguito dal giudice del gravame sia in relazione alla esclusione dei prelevamenti ai fini dell’accertamento del maggior reddito non dichiarato sia in relazione alla deduzione forfettaria dei costi, profili entrambi riconducibili alla rite nuta violazione dell’art. 32, cit.;
è parimenti da disattendersi l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del motivo di ricorso in quanto prospetterebbe una nuova valutazione di merito in ordine alla esatta quantificazione dei maggiori redditi accertabili a carico del contribuente: invero, quel che la ricorrente principale lamenta è la mancata applicazione, ai fini della determinazione del maggior reddito non dichiarato, anche del valore presuntivo RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie del contribuente, il che si traduce in una censura per violazione di legge per mancata applicazione della presunzione legale relative in tema di accertamenti bancari del contribuente;
né può dirsi, come invece sostiene la difesa del contribuente, che la questione prospettata attiene al metodo della ricostruzione dell’imponibile in quanto, invece, si tratta di fare corretta applicazione della disciplina in tema di presunzione legale relativa quando la contestazione deriva dagli accertamenti bancari;
ciò precisato, si evince dal la sentenza censurata che ‘ alla luce dell’entità RAGIONE_SOCIALE ope razioni di vendita poste in essere dallo stesso -sia in termini numerici che di valore economico -e della rilevante durata temporale in cui tali operazioni si sono svolte in maniera pressoché continuativa, si debba concludere che effettivamente si è in presenza di una attività di carattere imprenditoriale di vendita di oggetti d’arte (dipinti), svolta in maniera professionale ‘ e che ‘ la sussistenza di
un’attività di imprenditore commerciale comporta obbligatoriamente la tenuta di una contabilità e l’adempimento degli obblighi fiscali, concernenti le dichiarazioni ai fini Ires, Iva e Irap, qualora ne sussistano i presupposti’, sicchè ‘ Ill collegio ritiene quindi che il contribuente abbia svolto un’attività di carattere professionale e imprenditoriale’ ;
dunque, il giudice del gravame ha chiarito che l’attività svolta dal contribuente doveva essere qualificata in termini di attività di impresa consistente nel commercio di opere d’arte;
rispetto a questo accertamento fattuale, basato sugli elementi fondanti l’attività di impresa (continuità e professionalità dell’attività svolta) secondo i canoni interpretativi più volte affermati da questa Corte (Cass. civ., 8 marzo 2023, n. 6874), è da considerarsi un mero passaggio irrilevante la precisazione successivamente compiuta dal giudice del gravame in ordine al fatto che tale attività ‘ appare più assimilabile ad un’attività di tipo professionale che non ad una impresa commerciale tout-court ‘ , posto che tale passaggio è stato compiuto nell’ambito della diversa questione, affrontata dal giudice del gravame, in ordina alla applicabilità anche dell’Irap ;
è in questo contesto, dunque, in cui il giudice del gravame ha affrontato la questione della sussistenza della autonoma organizzazione, che va colto il senso di questa ulteriore precisazione, essenzialmente finalizzata a porre in luce il fatto che, per l’appunto, l’attività di impresa era svolta senza quell’autonoma organizzazione che costituisce il presupposto dell’applicabilità dell’Irap;
ciò precisato, una volta dunque che il giudice del gravame ha accertato che il contribuente svolgeva attività di impresa, non correttamente lo stesso ha ritenuto non fondata la ragione di appello dell’RAGIONE_SOCIALE con la quale aveva contestato che erroneamente il giudice di primo grado aveva, da un lato, escluso la computabilità dei
prelevamenti e, dall’altro, ritenuto di dovere comunque dedurre i costi, anche se in via forfettaria;
invero, la corretta interpretazione della previsione dell’art. 36, cit., in particolare la legittimità della applicazione del regime di presunzione legale relativa ai prelevamenti dai conti correnti bancari del contribuente è stata compiuta sulla base di successivi arresti sia di questa Corte che della Corte costituzionale;
in particolare, la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 10/2023, ha precisato: la non manifesta irragionevolezza della “doppia presunzione” che dai prelevamenti bancari ingiustificati, eseguiti dall’imprenditore, inferisce costi e ricavi occulti e pertanto reddito imponibile, oggetto di rettifica e di accertamento da parte del fisco; presunzione che si iscrive nel più ampio contesto della normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari e sulla regolamentazione limitativa della circolazione del danaro contante al fine di contrastare l’evasione o l’elusione fiscale; in caso di accertamento induttivi ‘puro’, l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio, cui la Corte costituzionale ha fatto riferimento nella sentenza n. 225 del 2005, secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria. E anzi, nel caso di accertamento induttivo “puro”, è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi (Corte di cassazione, sezione quinta tributaria, ordinanza 29 settembre 2017, n. 22868 e sentenza 28 novembre 2014, n. 25317); in caso di accertamento con metodo analitico o “misto”, in cui è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali, la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure di
incostituzionalità in quanto si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi “occulti”, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analiticoinduttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la “incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati” (sentenza n. 225 del 2005); la presunzione in esame, quanto ai prelievi bancari recuperati a reddito d’impresa quali ricavi “occulti”, si porrebbe in contrasto con il principio della capacità contribuiva poiché, in mancanza di alcuna deduzione di costi, desumibile in via presuntiva, anche con riferimento alle “medie” elaborate dall’amministrazione finanziaria per il settore di riferimento, finirebbe per tassare, in parte, una ricchezza inesistente laddove, invece, ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza (ex plurimis, sentenze n. 156 del 2001, n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 179 del 1985 e n. 200 del 1976);
ciò precisato, non correttamente, dunque, il giudice del gravame, una volta accertato che il contribuente svolgeva attività di impresa, ha ritenuto di dovere escludere i prelevamenti ai fini della determinazione del maggior redditi di impresa non dichiarati e, sotto tale profilo, sussiste la prospettata violazione di legge;
d’altro lato, non correttamente parte ricorrente ritiene che il giudice d el gravame ha errato nell’applicare la deducibilità dei costi in misura forfettaria, proprio in considerazione del fatto che la ripresa, nel caso in esame, è avvenuta con metodo induttivo puro, attesa la assoluta mancanza di contabilità da parte del contribuente;
con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 55, TUIR e degli artt. 2082, 2195 e 2222,
cod. civ., per avere erroneamente ritenuto che lo stesso rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale;
in particolare, evidenzia il ricorrente incidentale che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, lo stesso non aveva mai svolto l’attività di compravendita di opere d’arte, avendo sempre agito quale collezionista privato e che le vendite erano state solo il frutto della dismissione del suo patrimonio;
sotto tale profilo, secondo parte ricorrente, la sua attività non può essere ricondotta a quella di impresa, in quanto non ha svolto alcuna operazione di intermediazione tra produttore e consumatore e, inoltre, non aveva alcuna organizzazione di mezzi per svolgere la suddetta attività;
il motivo è infondato;
questa Corte (Cass. civ., 8 marzo 2023, n. 6874) ha precisato che la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti: l’art. 2082, cod. civ., considera imprenditore chi svolge un’attività economica organizzata in modo professionale, mentre l’art. 55 TUIR non richiede il requisito dell’organizzazione, ma il mero esercizio professionale e abituale RAGIONE_SOCIALE attività di cui all’art. 2195 cod. civ., anche se non svolte in modo esclusivo;
invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche sulla base della normativa e della giurisprudenza unionale in materia di iva, la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per un aspetto essenziale, ossia quello della necessità dell'”organizzazione”, essendo tale requisito indispensabile per il diritto civile ma non indispensabile per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professionalità abituale dell’attività economica, anche senza l’esclusività della stessa (v. sul piano normativo l’art. 55, già art. 51, TUIR, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4; nella giurisprudenza di questa Corte, Cass. civ., 7 novembre 2012, n. 19237; Cass. civ., 5 dicembre
2014, n. 25777; Cass. civ., 6 aprile 2017, n. 8982; Cass. civ., n. 36502/2022);
è stato in più occasioni ribadito che l’art. 55 del T.U.I.R. intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, RAGIONE_SOCIALE attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in forma d’impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo che costituisce, invece, elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale ancorché non esclusiva (Cass. civ., 16 dicembre 2022, n. 36992; Cass. civ., 20 dicembre 2006, n. 27211);
ciò va precisato anche con riferimento all’iva, atteso che il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 1, così come l’analogo art. 55, comma 1, del T.U.I.R., intende come tale “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”, RAGIONE_SOCIALE attività indicate dall’art. 2195, cod. civ., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, anche se non esclusiva;
in sostanza, l’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa, più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale. Occorre, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità (cfr. Cass. 6853/2016, in motivazione);
sotto questo profilo, nello specifico ambito RAGIONE_SOCIALE attività inerenti la vendita di opere d’arte, si è affermata da questa Corte la seguente differenziazione: è da qualificarsi come mercante di opere d’arte colui
che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore RAGIONE_SOCIALE medesime opere; è speculatore occasionale chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile; è mero collezionista, infine, chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre;
il discrimine su cui fondare la diversa qualificazione è stato individuato da questa Corte nel requisito dell’abitualità, di cui all’art. 55 TUIR sopra richiamato in tema di reddito d’impresa, sicché si è rinvenuta l’esistenza di un’attività commerciale in ragione di elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa: numero RAGIONE_SOCIALE transazioni effettuate, importi elevati, quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti, varietà della tipologia di beni alienati, non assumendo rilievo, ai fini impositivi, il fatto che il profitto conseguito sia stato capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto (Cass. 31 marzo 2008, n. 8196);
ciò posto, non può essere seguita la linea difensiva del controricorrente che postula la non corretta qualificazione dell’attività svolta quale impresa commerciale;
come già evidenziato, l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame si è basato sulla considerazione della entità RAGIONE_SOCIALE operazioni di vendita poste in essere (sia in termini numerici che di valore economico) e sulla rilevante durata temporale in cui tali operazioni erano state svolte in maniera pressoché continuativa, il che esclude
che possa ragionarsi in termini di attività non professionale, secondo i parametri sopra delineati;
né è corretto ritenere che, poiché l’attività era svolta in modo non organizzato, la stessa debba essere tratta fuori dall’ambito dell’attività di impresa, poiché, come detto, l’organizzazione dell’attività non costituisce requisiti essenziale per il ricon oscimento dell’attività di impresa;
con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione de ll’art. 7, comma 1, l. n. 212/2000, nonché dell’art. 42 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 163, TUIR;
evidenzia parte ricorrente di avere prospettato già con il ricorso introduttivo l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto basato su documentazione e informazioni non portate a sua conoscenza e che, non essendo stata tale ragione di contestazione accolta dal giudice di primo grado, l’aveva riproposta in appello;
lamenta quindi che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, la censura prospettata non aveva avuto riguardo, in modo generico, al procedimento accertativo, bensì al profilo specifico consistente nel fatto che i verbalizzanti avevano affermato di avere impiegato le risultanze dei rapporti bancari riconciliando le dichiarazioni di vendita con le movimentazioni bancarie acquisite alle indagini e di avere applicato le presunzioni di cui all’art. 32, cit., ai restanti movimenti bancari ma che, tuttavia, non era stato allegato alcun documento da cui poteva verificarsi quali erano stati i movimenti riconciliati, essendo stati allegati solo i movimenti non giustificati; il motivo è infondato;
questa Corte ha più volte precisato che l’obbligo di allegazione degli atti presuppone che l’atto presupposto, ancorché non trascritto, non sia conosciuto né agevolmente conoscibile con l’ordinaria diligenza da
parte del contribuente, posto che l’obbligo di allegazione, al fine del rispetto dell’obbligo di motivazione imposto all’Amministrazione finanziaria per gli atti ai quali l’atto impositivo faccia rinvio, senza riprodurli, riguarda solo gli atti non conosciuti nè agevolmente conoscibili dal contribuente, se non attraverso una ricerca complessa, realizzandosi in tal caso un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (Cass. civ., 7 aprile 2022, n. 11283; Cass. civ., 15 gennaio 2021, n. 593; Cass. civ., 12 dicembre 2012, n. 21127; Cass. civ., 24 novembre 2017, n. 28060; Cass. civ., 17 giugno 2011, n. 13321);
nel caso di specie, quel che parte ricorrente lamenta è la mancata allegazione del contenuto integrale dei rapporti bancari dai quali risultavano i movimenti che i verificatori avevano affermato di avere riconciliato: si tratta, tuttavia, di una documentazione bancaria che, essendo relativa ai conti correnti del contribuente, era allo stesso conosciuta sicché, invero, era suo onere verificare ed eventualmente contestare, proprio in base alle movimentazioni, la non correttezza del la pretesa dell’amministrazi one finanziaria sia per la parte in cui si era basata unicamente sulle dichiarazioni rinvenute sia sulla restante parte basata sulle movimentazioni bancarie non riconducibili alle suddette dichiarazioni;
la pronuncia del giudice del gravame, che ha escluso la violazione del diritto di difesa del contribuente, non è pertanto viziata da violazione di legge;
con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 32, TUIR, dell’art. 2729, cod. civ., e dell’art. 53, Cost., per non avere riconosciuto la deduzione dei costi in misura maggiore rispetto a quella dell ’80 per cento accertata dal giudice del gravame;
il motivo è inammissibile;
il giudice del gravame ha espresso le ragioni del proprio convincimento in ordine alla deducibilità dei costi nella misura dell’80 per cento dei ricavi, ed ha argomentato in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto di non potere seguire la line a difensiva del contribuente secondo cui avrebbe dovuto riconoscersi una percentuale del 98 per cento;
in particolare, ha evidenziato che questa percentuale si basava su stime dichiarate della redditività di RAGIONE_SOCIALE d’arte , situazione non concretamente riconducibile a quella del contribuente che aveva svolto l’attività priv a di strutture;
con tale passaggio motivazionale non si confronta in alcun modo il presente motivo di ricorso, risolvendosi in una generica e non specifica ragione di contestazione in ordine alla valutazione espressa dal giudice del gravame;
in conclusione, è fondato in parte il motivo di ricorso principale, sono infondati il primo e secondo motivo di ricorso incidentale e inammissibile il terzo, con conseguente accoglimento del ricorso principale e rigetto di quello incidentale e cassazione della sentenza per il motivo accolto con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, anche per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie come in motivazione il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il giorno 4 luglio 2023.