Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2509 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2509 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
IRPEF ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27054/2015 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, presso il quale ultimo è elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv ocatura AVV_NOTAIO dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 450/2017, depositata il 4 aprile 2017;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO nella pubblica udienza del 12 dicembre 2023;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito l’AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
L’Amministrazione finanziaria notificò a NOME COGNOME due avvisi di accertamento con i quali riprendeva a tassazione, oltre ad irrogare sanzioni, i maggiori redditi che erano derivati alla predetta dalla vendita di alcuni oggetti d’arte e antiquariato, costituiti dal relativo corrispettivo, che costei aveva incassato negli anni di imposta 2007 e 2008.
Secondo l’Ufficio il ricavato della vendita costituiva reddito conseguito nell’esercizio di attività commerciale non esercitata abitualmente, ai sensi dell’art. 67, comma primo, lett. i ), del d.lgs. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
La contribuente impugnò vittoriosamente gli atti impositivi innanzi alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza di primo grado venne parzialmente riformata con la decisione indicata in epigrafe, resa all’esito del giudizio d’appello promosso dall’Amministrazione.
Secondo i giudici regionali, la pretesa impositiva doveva ritenersi fondata nel merito, in quanto:
-nel corso RAGIONE_SOCIALE operazioni di verifica prodromiche all’emissione degli atti impositivi, la COGNOME aveva dapprima dichiarato che gli oggetti venduti erano stati da lei acquistati nel tempo, a partire dal 1974, e le erano in parte pervenuti dalla propria famiglia d’origine; solo in una fase successiva del contraddittorio la predetta aveva invece dichiarato che i beni le erano stati donati dal proprio compagno, ma tale assunto non era credibile, risultando smentito dalle prime affermazioni e non sufficientemente dimostrato dalla produzione di una scrittura privata di donazione, non avente data certa;
dalla stessa verifica era emerso che la contribuente aveva posto in essere una serie coordinata di atti finalizzati al conseguimento di un’unica operazione speculativa, idonea a connotare la vendita, quantunque occasionale, come attività commerciale;
né assumeva rilievo il fatto che gli avvisi fossero stati emessi dopo una proposta di archiviazione sottoscritta da alcuni funzionari della direzione RAGIONE_SOCIALE (circostanza, detta ultima, valorizzata dai giudici di primo grado), poiché tale atto aveva mera rilevanza interna all’Ufficio;
-il corrispettivo della vendita, pari a complessivi € 600.000,00, era stato interamente percetto dalla contribuente.
Nondimeno, poiché la contribuente aveva allegato di aver acquistato personalmente una parte dei beni venduti, pur senza
quantificare i relativi costi, i maggiori redditi accertati andavano rideterminati con deduzione dell’importo corrispondente, che la C.T.R. determinava, in via equitativa e ricavata dalle controdeduzioni della contribuente, nell’importo di € 53.556,58.
Infine, gli atti impositivi meritavano conferma anche in punto alle sanzioni irrogate, non sussistendo alcuna incertezza in relazione all’imponibilità del maggior reddito accertato e avuto riguardo al comportamento tenuto dalla contribuente nel corso del procedimento.
La sentenza d’appello è stata impugnata dalla COGNOME con ricorso per cassazione affidato a dodici motivi, illustrati da successiva memoria.
L’RAGIONE_SOCIALE ha depositato una richiesta di partecipazione all’udienza di discussione. Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 1), cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza d’appello per motivi attinenti alla giurisdizione.
In tal senso, osserva che la C.T.R., quantunque gli atti impositivi avessero espressamente ripreso a tassazione i proventi della vendita di beni che essa aveva ricevuto dal proprio compagno «per eredità, donazione o altre forme non meglio identificate», ha dichiarato la legittimità di tali atti sul diverso presupposto che detti beni fossero invece stati da lei acquistati personalmente e successivamente rivenduti, in termini idonei a configurare l’esercizio occasionale di un’attività commerciale.
Secondo la ricorrente, così statuendo i giudici d’appello avrebbero violato la competenza giurisdizionale RAGIONE_SOCIALE
Commissioni tributarie, limitata al sindacato sui vizi propri degli atti impugnati; essi, infatti, si sarebbero sostituiti all’Amministrazione nell’individuazione degli elementi essenziali del rapporto tributario, in particolare modificando i presupposti in fatto per l’esercizio della potestà impositiva.
Il secondo mezzo d’impugnazione agita la medesima questione facendone derivare la nullità della sentenza; la ricorrente assume, infatti, che la RAGIONE_SOCIALE.T.R., valutando fatti diversi da quelli posti a fondamento degli atti impositivi, avrebbe statuito su circostanze estranee alla materia del contendere.
Il terzo motivo ha identico contenuto; nella parte criticata, ad avviso della ricorrente, la sentenza d’appello sarebbe altresì nulla per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La modifica dei fatti posti all’origine degli accertamenti fonda anche il quarto motivo di ricorso, con il quale è denunziata la violazione dell’art. 42, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212.
Ad avviso della ricorrente, infatti, i giudici d’appello non avrebbero «preso atto della motivazione degli avvisi di accertamento», facendo invece riferimento a circostanze di fatto ad essi estranee.
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente denunzia nullità della sentenza per motivazione apparente.
Assume, al riguardo, che la RAGIONE_SOCIALE.T.R. avrebbe dapprima ritenuto decisiva la circostanza dell’acquisto dei beni da parte sua fin dal 1974 per affermare la sussistenza di un’attività commerciale occasionale da assoggettare a imposizione, quindi espressamente rilevato che «ai fini dell’imposizione l’aspetto dirimente non è la provenienza dei beni»; siffatto contrasto argomentativo non
renderebbe comprensibili le argomentazioni che hanno indotto i giudici d’appello a ritenere fondata la pretesa impositiva.
Il sesto motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 67, comma 1, TUIR.
La ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui, ricostruendo le condotte da lei poste in essere, la ha assimilate ad un’attività commerciale pur in difetto di una pluralità di atti e del carattere di ‘commercialità’ dell’unico atto realizzato.
Con il settimo motivo la ricorrente deduce «nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992» sotto il duplice profilo della «mancata considerazione RAGIONE_SOCIALE eccezioni sollevate» e della «inesistenza di un collegamento tra gli elementi valorizzati dal giudice e la conclusione cui lo stesso addiviene».
Con tale censura, la contribuente si duole del fatto che la RAGIONE_SOCIALE.T.RRAGIONE_SOCIALE abbia «accolto le deduzioni dell’Amministrazione finanziaria senza prendere in considerazione le contrastanti deduzioni della contribuente».
Con l’ottavo motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevante, ai fini della decisione, la proposta di archiviazione sottoscritta da alcuni funzionari dell’Ufficio, assumendo che i giudici d’appello avrebbero dovuto limitarsi a valutarne l’utilizzabilità ai fini della decisione, senza entrare nel merito della fondatezza della stessa.
Con il nono motivo, denunziando «omesso esame di un fatto decisivo per sussistenza di motivazione apparente», la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui,
decidendo sulla sua eccezione inerente alla possibile riconduzione dell’operazione al proprio compagno quale soggetto interponente, e quindi effettivo percettore del corrispettivo di vendita, ne ha ritenuta la non pertinenza, poiché l’Ufficio non aveva formulato tale ipotesi accusatoria, trascurando il fatto che, invece, detta circostanza risultava richiamata nel testo degli avvisi di accertamento.
Con il decimo motivo, di tenore analogo al precedente, la ricorrente assume che la C.T.R. avrebbe comunque omesso di pronunziarsi sull’eccezione da lei formulata, con conseguente nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
L’undicesimo motivo denunzia violazione dell’art. 5 del d.lgs. 18 settembre 1997, n. 472.
La ricorrente lamenta che la RAGIONE_SOCIALE, nel confermare gli atti impositivi per la parte relativa alle sanzioni, ha ritenuto la legittimità di queste ultime nonostante la carenza del requisito della colpevolezza.
Anche il dodicesimo motivo, infine, attiene alle sanzioni irrogate con l’atto impositivo; la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello non ne abbiano ritenuto l’illegittimità pur nella sussistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo dell’art. 67, comma 1, lett. i ), del TUIR.
I primi quattro motivi possono essere scrutinati congiuntamente in quanto appaiono connessi; tutte le censure, infatti, si riferiscono, seppur con la prospettazione di vizi differenti, alla medesima parte della sentenza impugnata, concernente il profilo della provenienza dei beni oggetto dell’affermata operazione commerciale.
13.1. Al riguardo, mette conto premettere che la sentenza impugnata ha anzitutto ricostruito il contenuto degli atti impositivi, osservando (p.to 2.3., pag. 3) che essi illustravano dettagliatamente le ragioni dell’imputazione alla De COGNOME dei maggiori redditi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. i ), TUIR, ed in particolare contenevano la precisazione RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali l’Amministrazione non aveva ritenuto «plausibili le giustificazioni fornite nella fase endoprocedimentale, anche perché contraddittorie rispetto a quanto dichiarato alla RAGIONE_SOCIALE» nel corso RAGIONE_SOCIALE verificazioni prodromiche all’emissione degli avvisi.
Successivamente, nella parte motiva (p.ti 12.1.1., pagg. 89), la C.T.R. ha precisato che la COGNOME aveva dapprima dichiarato agli operanti di polizia tributaria di aver acquistato i beni «nel tempo, dal 1974 in poi», confermando tale indicazione agli stessi militari nel prosieguo RAGIONE_SOCIALE operazioni; quindi, nel successivo contraddittorio e a distanza di alcuni mesi, che la stessa aveva «ritrattato la versione originaria e dichiarato che le opere d’arte le erano pervenute tramite donazione ai sensi dell’art. 783 cc da parte del proprio compagno NOME COGNOME», ribadendo tale versione nei propri atti difensivi.
Sulla base di tale aporia nella ricostruzione degli eventi da parte della contribuente, infine, la sentenza d’appello ha desunto la volontà di quest’ultima «di ostacolare l’attività di verifica», ritenendo, in particolare, non credibile la tesi della donazione, invece condivisa dai giudici di primo grado che ne avevano inferito l’inidoneità della successiva rivendita a configurare attività commerciale.
13.2. Così riassunto il percorso argomentativo della sentenza d’appello in relazione ai presupposti di fatto degli avvisi di accertamento, tutti i motivi disvelano la loro infondatezza.
Il primo motivo, per vero, appare anche inammissibile per come formulato; i giudici d’appello, infatti, scrutinando l’impugnazione di due atti impositivi, hanno esercitato la giurisdizione che appartiene al giudice tributario.
13.3. In ogni caso, erra concettualmente la ricorrente nell’affermare che la sentenza impugnata ha modificato i presupposti di fatto della pretesa impositiva; al contrario, la C.T.R. ha vagliato la tesi dell’Ufficio secondo cui la vendita dei beni effettuata dalla COGNOME costituiva attività commerciale non abituale, soggetta ad imposta, e ne ha condiviso le ragioni all’esito di un percorso argomentativo rappresentato con chiarezza e coerenza.
Non sussistono, dunque, né la lamentata ‘sostituzione di sé all’Amministrazione’ da parte del giudice tributario, né la denunziata nullità della sentenza per extrapetizione o violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, né, infine, la dedotta violazione di legge per omessa considerazione RAGIONE_SOCIALE motivazioni degli atti impositivi.
13.4. Il fatto, poi, che i giudici d’appello non abbiano ritenuto credibile la circostanza che i beni venduti dalla De COGNOME le fossero stati precedentemente donati dal compagno NOME COGNOME non assume il valore decisivo che la ricorrente pretende di attribuirvi.
Dallo stralcio degli avvisi di accertamento riportato a pag. 11 del ricorso si evidenzia, infatti, che tale circostanza era richiamata in termini puramente narrativi, nella ricostruzione
della fattispecie, onde rafforzare l’argomento in base al quale si trattava di beni personali della contribuente; e tale ultima, fondamentale valutazione, come si è detto, è stata condivisa dai giudici d’appello nell’esercizio del potere di libera valutazione RAGIONE_SOCIALE prove sottoposte al loro apprezzamento.
Il quinto motivo è inammissibile e, in ogni caso, manifestamente infondato.
L’inammissibilità discende dal fatto che la ricorrente, pur riconducendola al paradigma della ‘motivazione apparente’, denunzia in realtà un’ipotesi di motivazione contraddittoria; la quale ultima, com’è noto, non è più configurabile come vizio autonomo della sentenza, atteso che il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, senza consentire che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del num. 4) del medesimo art. 360 (così Cass. Sez. U., n. 8053/2014, Cass. n. 13298/2015 e numerose altre seguenti).
La censura è comunque infondata, poiché nella motivazione della sentenza impugnata non sussiste alcune contraddittorietà.
Come si è detto, infatti, i giudici d’appello hanno dapprima ritenuto non credibile la tesi difensiva della contribuente circa la provenienza dei beni, quindi osservato, nel ricondurre il ricavato della vendita a reddito soggetto ad imposta, che le circostanze decisive a tal fine erano altre e, segnatamente, i diversi fatti idonei a significare l’approntamento di mezzi e fattori significativi
della commercialità dell’operazione, tutti analiticamente riportati in sentenza (pag. 11).
Di tali fatti, peraltro, la ricorrente chiede a questa Corte un riesame mediante il suo sesto motivo di impugnazione.
La censura è, pertanto, inammissibile; dietro l’apparente denunzia della violazione dell’art. 67, comma 1, TUIR, la stessa sollecita, infatti, l’esercizio di un sindacato estraneo al perimetro del giudizio di legittimità.
Anche il settimo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
La ricorrente, infatti, veicola in forma di denunzia della mancanza assoluta di motivazione una censura sul merito della statuizione impugnata, laddove, in particolare, si duole del fatto che i giudici d’appello avrebbero «accolto le deduzioni dell’Amministrazione finanziaria senza prendere in considerazione le contrastanti deduzioni della contribuente, né individuare le ragioni per le quali l’operazione posta in essere avrebbe il carattere dell’attività commerciale occasionale».
Ed invero, posto che, come si già osservato, la sentenza impugnata indica in modo ampio e dettagliato gli elementi dai quali desume la fondatezza della pretesa, per il resto ciò di cui la ricorrente si duole è il fatto che la sentenza d’appello abbia ritenuto persuasivi gli argomenti dell’Amministrazione; ma ciò non vale a configurare alcun vizio nella motivazione della sentenza.
Analoghe considerazioni valgono per l’ottavo motivo, con il quale è dedotta la nullità della sentenza per ultrapetizione nella parte concernente la proposta di archiviazione.
Anche in questo caso la censura ha in realtà ad oggetto il merito della statuizione; la stessa ricorrente, comunque, osserva espressamente che le considerazioni svolte dalla C.T.R. sul merito della proposta di archiviazione hanno costituito un quid pluris rispetto all’unico punto dirimente della decisione, costituito dal rilievo del fatto che tale proposta aveva mera natura interna e non poteva essere valutata nell’ambito del sindacato sulla fondatezza della pretesa impositiva (pag. 37 del ricorso).
18. Il nono e il decimo motivo, passibili di esame congiunto per la loro connessione, sono inammissibili e, comunque, infondati.
18.1. La ricorrente afferma che gli atti impositivi menzionavano, quale indice della commercialità dell’operazione, la possibilità che essa, nella specie, avesse proseguito in modo ‘mascherato’ l’attività del compagno NOME COGNOME, dedito al commercio al dettaglio di oggetti d’arte e bigiotteria; sostiene di aver contestato detto assunto, osservando che, in tal caso, la pretesa impositiva doveva essere diretta al predetto convivente, quale effettivo percettore del reddito; lamenta, quindi, il fatto che la RAGIONE_SOCIALE abbia ritenuto ‘non pertinente’ tale questione, osservando che l’Erario non aveva mai «formalizzato una tale ipotesi accusatoria».
18.2. Ciò di cui la ricorrente si duole è, pertanto, l’omessa considerazione di una sua deduzione difensiva.
Ed invero, nell’ottica del nono motivo va qui richiamato l’orientamento pacifico di questa Corte secondo cui il fatto decisivo non esaminato va inteso necessariamente come «un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o
“argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità RAGIONE_SOCIALE censure irritualmente formulate» (così, fra le altre, Cass. n. 2268/2022).
In ogni caso, è la stessa ricorrente a dar conto del fatto che la sentenza d’appello ha preso in considerazione la sua deduzione difensiva, seppur affermandone l’irrilevanza; con il che, perciò, deve escludersi che sussistano tanto il lamentato omesso esame quanto l’eccepito difetto di pronunzia.
Sono inammissibili, infine, anche i due motivi attinenti alle sanzioni.
L’undicesimo motivo ha infatti ad oggetto la valutazione operata dalla C.T.R. sulla complessiva condotta della COGNOME, nel cui ambito i giudici d’appello hanno enucleato alcune circostanze significative della consapevolezza e della volontarietà della violazione; di tale valutazione la ricorrente pretende, in questa sede, un riesame, in termini che, nuovamente, sfuggono all’ambito proprio del giudizio di legittimità.
Quanto, poi, al dodicesimo motivo, lo stesso è formulato in modo tautologico, senza alcun riferimento alle circostanze sintomatiche di una possibile situazione di incertezza normativa dalla quale desumere l’illegittimità RAGIONE_SOCIALE sanzioni applicate; basti osservare che la ricorrente afferma che la stessa disposizione dell’art. 67, comma 1, lett. i ), TUIR «non individua in modo preciso e chiaro cosa si intende per attività commerciale non esercitata abitualmente», in termini che, per se stessi considerati, designerebbero l’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni per ogni ipotesi di violazione di tale norma tributaria.
Il ricorso è dunque complessivamente meritevole di rigetto.
Nulla sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’Amministrazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023.