Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5070 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5070 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2628/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in CASERTA CORSO TRIESTE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 5069/2021 depositata il 16/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con atto di compravendita in data 22 giugno 2011, la Società RAGIONE_SOCIALE vendeva ai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, in regime di comunione legale, la piena proprietà di un immobile e gli acquirenti, previa dichiarazione della sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di cui alla nota II bis, articolo 1, tariffa allegata al T.U. 131/86, ottenevano in fase di registrazione le agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della c.d. ‘prima casa’. I medesimi acquirenti, in pari data, al fine di ottenere la provvista necessaria per il pagamento del corrispettivo dell’atto de quo , stipulavano con la Barclays Bank Plc un contratto di mutuo fondiario, ai sensi degli articoli 38 e seguenti del D.lgs. n. 385 del 01/09/1993, sempre ai rogiti del Notaio COGNOME, registrato a Sessa Aurunca (CE) il 30 giugno 2011 al n. 1942, Serie 1T, con le agevolazioni di cui agli articoli 15 e seguenti del d.P.R. 29.09.1973 n. 601 e successive modificazioni. Successivamente, in data 7 aprile 2016, con atto pubblico di ‘ compravendita con riserva di proprietà in parte a favore proprio ed in parte a favore di terzo’ i predetti, dichiaravano di cedere a favore della signora NOME COGNOME l’usufrutto vitalizio, ed in favore del terzo NOME COGNOME ai sensi dell’ art. 1411 c.c., la nuda proprietà della casa di abitazione di cui sopra, al prezzo di Euro 145.000,00, da pagarsi in maniera dilazionata, secondo quanto dettagliatamente indicato all’articolo sesto dell’atto medesimo. I venditori, dunque, a garanzia della parte di prezzo dilazionato, si riservavano il dominio sull’immobile in questione e, pertanto, gli effetti della vendita venivano subordinati all’ effettivo e totale pagamento del prezzo. Corrisposto, dunque, integralmente il prezzo d’acquisto da parte deg li acquirenti, in data 23 novembre 2017, veniva stipulato, a ministero del Notaio NOME COGNOME
atto di accertamento di avveramento della condizione (registrato in data 24 novembre 2017), con il quale gli acquirenti conseguivano il possesso legale e, dunque, la proprietà dei cespiti in oggetto. L’Agenzia delle Entrate di Caserta, in data 30 novembre 2018, notificava ai signori NOME COGNOME e NOME l’avviso di liquidazione dell’imposta ed irrogazione delle sanzioni n. NUMERO_DOCUMENTO, attraverso il quale revocava l’agevolazione fiscale ‘prima casa’, concessa in sede di registrazione, sul presupposto che gli stessi, con l’atto di vendita con riserva della proprietà per Notar Santomauro del 7 aprile 2016 avessero ceduto l’abitazione de qua, prima del decorso dei cinque anni dalla data di acquisto, senza, tra l’altro, aver acquistato, entro il termine perentorio di un anno, altro immobile da adibire a propria abitazione. Conseguentemente, l’A.F. procedeva al recupero delle imposte ordinarie (comprensive degli interessi maturati fino alla data di notifica dell’atto di accertamento) ed alla irrogazione delle previste sanzioni, richiedendo il pagamento della complessiva somma di euro 10.384,58.
A seguito dell’impugnazione dell’atto impositivo da parte dei contribuenti la C.T.P. con la sentenza n. 4966/02/2019 accoglieva il ricorso assumendo che non vi era ragione sostanziale e giuridica per ritenere che il programma negoziale iniziato con il primo atto e concluso solo al saldo del prezzo avesse implicato la perdita del diritto al beneficio fiscale accordato.
La C.T.R. della Campania con la sentenza n. 5069/17/21, depositata il 16.06.2021, non notificata, in accoglimento del gravame dell’Ufficio ed in riforma di primo grado, confermava l’atto impositivo condannando i contribuenti al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio. Più specificatamente, i giudici di appello affermavano che in tema di vendita con riserva di proprietà degli immobili con pagamento a rate, ai fini dell’imposta di registro, l’effetto traslativo della vendita a rate è immediato, ai sensi dell’art. 27 comma 3 d.P.R. 131/86, e l’imposta va corrisposta al momento
della registrazione dell’atto sicché, nel caso in esame, la cessione dell’immobile doveva considerata come effettivamente avvenuta in data di sottoscrizione dell’atto notarile del 7 aprile 2016 e, quindi, prima del decorso del quinquennio previsto dalla normativa agevolativa invocata nell’atto di acquisto del giugno 2011, con conseguente decadenza della agevolazione acquisto prima casa (ex art. 1 nota 2-bis della Tariffa, parte prima allegata al DPR n. 131/1986), per aver rivenduto prima dei cinque anni dal l’acquisto, come nel caso di specie, implicante anche la perdita delle agevolazioni sulle imposte sostitutive.
Contro detta sentenza propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi i contribuenti.
L’ufficio è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in merito all’eccezione d’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. e 53 del d.lgs. n. 546/1992 atteso che i giudici di appello avevano omesso di pronunciarsi sull’eccezione sollevata in secondo grado dai contribuenti circa l’inammissibilità del gravame dell’ufficio, per mancata specificazione dei motivi ex art. 342 c.p.c. e 53 del d.lgs. 31/12/92 n. 546.
Con il secondo motivo lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art.53 del d.lgs. n. 546/1992, assumendo che, anche a ritenere che i giudici territoriali avevano implicitamente rigettato l’eccezione d’inammissibilità dell’appello dell’agenzia fiscale, risultava evidente la violazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’ art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 non avendo la C.T.R. considerato che la motivazione dell’appello deve con tenere, a pena di inammissibilità l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e
delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado nonché l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata, requisiti totalmente carenti nell’atto di impugnazione dell’ufficio.
Tali motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi, sono da ritenere privi di fondamento.
Occorre premettere che avendo i giudici di appello esaminato nel merito le censure di cui all’atto di impugnazione implicitamente hanno disatteso l’ eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dai contribuenti appellati di cui vi è, del resto, cenno nella parte espositiva.
Per altro verso va rilevato che nell’escludere l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 53 d.lgs. n. 546/92, la Commissione tributaria regionale ha correttamente applicato, nella concretezza del caso, il fermo indirizzo di legittimità secondo il quale, vista anche la natura impugnatoria ab origine rivestita dal processo tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (vedi, ex plurimis, Cass. n. 32954/18)
Si è, ancora, condivisibilmente osservato che nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in
quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 (vedi Cass. n. 6302/22).
Nel caso di specie questo indirizzo appare tanto più calzante ove si consideri che l’intera controversia poggiava esclusivamente sul dato della stretta interpretazione giuridica del regime impositivo di registro applicabile, ai fini della decadenza dal c.d. beneficio prima casa, in ipotesi di cessione a terzi del contratto di vendita, con riserva della proprietà, prima della conclusione del quinquennio; sicché la riproposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate delle tesi da essa già svolte nel primo grado di giudizio e, ancor prima, a motivazione e fondamento dell’avviso di liquidazione opposto, lungi da risultare generica e non mirata sulla diversa ragione decisoria dei primi giudici, dava invece conto in maniera puntuale e circostanziata della tesi giuridica di cui l’Amministrazione chiedeva l’accoglimento in riforma della decisione appellata. E ciò è stato fatto, come risulta dalle censure di appello qui trascritte dalla stessa parte ricorrente, proprio attraverso l’illustrazione degli elementi interpre tativi fondamentali che, secondo l’Agenzia delle Entrate, denotavano l’errore dei primi giudici, dal momento che l’interpretazione più coerente dal punto di vista sistematico era nel senso di ritenere che la cessione del contratto era intervenuta al momento della stipula, ancorché l’effetto traslativo non si era ancora verificato.
Con il terzo motivo i contribuenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile e 1, nota 2bis , della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, violazione ed erronea applicazione dei principi relativi al divieto di applicazione analogica di norma speciale ed eccezionale quale è l’art. 27, comma 3, del TUR. Assumono che sebbene nel propr io atto di appello l’ufficio non aveva mosso alcuna critica alle argomentazioni contenute nella sentenza di
primo grado, richiamando principi afferenti a una normativa differente non applicabile alla fattispecie in esame vista la propria specialità ed eccezionalità, la C.T.R., del tutto illogicamente, aveva fatto proprie tale prospettazione. Rilevano che i giudici di appello, nell’ avallare quanto operato dall’Agenzia delle entrate che aveva applicato in modo erroneo il comma 3 dell’art. 27 del d.P.R. 131/1986, non avevano considerato che: – il regime di tassazione degli atti a efficacia differita, nel cui novero rientra la vendita con riserva della proprietà, è dettato dall’art. 27 (Atti sottoposti a condizione sospensiva, approvazione od omologazione) del d.P.R. 131/1986; – in pendenza della condizione, le parti si trovano in una situazione di aspettativa e gli effetti finali dell’atto si produrranno solo al verificarsi dell’avvenimento dedotto in condizione, il primo comma dell’articolo 27 dispone che, al momento della registrazione, gli atti sottoposti a condizione sospensiva scontano l’imposta di registro in misura fissa; allorquando la condizione si verifica o l’atto produce i suoi effetti prima dell’avverarsi di essa, tali eventi dovranno essere denunciati ex art. 19 del TUR e, conseguentemente, l’ufficio procederà a riscuotere la differenza tra l’imposta d ovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto e quella pagata in sede di registrazione dello stesso; – nel caso di specie non si verteva in ipotesi di una condizione meramente potestativa, ma la condizione apposta al contratto di vendita con riserva di proprietà era collegata non ad una mera volontà dell’ acquirente ma ad un suo preciso inadempimento, con conseguenza che anche sotto il profilo economico la condizione apposta non poteva mai essere classificata come meramente potestativa, motivo per il quale correttamente i giudici tributari del primo grado avevano accertavano la correttezza della tassazione in misura fissa da cui discendeva lo spostamento dell’efficacia del contratto, sia sotto il profilo tributario che civilistico, alla data di avveramento della condizione. Lamentano che la C.T.R. non aveva nemmeno valutato
che, nonostante ai sensi dell’art. 27, comma 3, TUR il contratto, secondo l’impostazione dell’Ufficio, andava registrato con l’applicazione dell’imposta proporzionale, la disamina dei documenti prodotti agli atti da parte ricorrente dimostrava come ciò non era avvenuto nel caso di specie ed, infatti, l’atto era stato tassato in misura fissa ed il regime fiscale concretamente applicato attestava, secondo quanto correttamente affermato nella sentenza di primo grado, che l’Ufficio aveva qualificato l’atto di vendita con riservato dominio come una comune vendita condizionata, dando risalto, dunque, alla clausola. In sostanza il pagamento dell’imposta proporzionale era stato rinviato al momento in cui la condizione si è verificata, ovvero, all’atto del trasferim ento del diritto di proprietà, il che era avvenuto dopo il quinquennio, conformemente alle prescrizioni della normativa agevolativa.
Anche tale motivo è privo di fondamento.
Parte contribuente lamenta che i giudici del gravame nell’affermare la legittimità della revoca delle agevolazioni fiscali per l’acquisto di prima casa ed anche di quelle sulle imposte sostitutive sul mutuo acceso, per aver gli stessi stipulato l’atto di v endita con patto di riservato dominio prima della scadenza del quinquennio dall’acquisto, avrebbero violato l’art.14 delle Preleggi al codice civile, che pone il divieto del ricorso all’analogia nel diritto penale, avvalorato dagli artt. 1 e 199 c.p. e 25 Cost., nonché nella legislazione speciale ed eccezionale. Tali censure non colgono nel segno.
L’art 27, comma 3, TUR espressamente prevede che” non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva le vendite con riserva di proprietà e gli atti sottoposti a condizione che ne fanno dipendere gli effetti dalla mera volontà dell’acquirente o del creditore … “.
Nella specie è pacifico che ci si trova in presenza di una vendita con patto di riservato dominio, rapporto che, sotto il profilo squisitamente civilistico, aggancia il momento di
trasferimento della proprietà alla data di pagamento dell’intero prezzo, mentre per il legislatore tributario conta la più rapida anticipazione della materia imponibile, in considerazione della preminenza dell’interesse erariale. Così, ai fini dell’imposta di registro, il d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 27, comma 3, espressamente stabilisce che “non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva le vendite con riserva di proprietà…”, di guisa che non si applica ad essi il regime fiscale proprio delle vendite sottoposte a condizione sospensiva, il quale prevede, in base alla medesima norma, il pagamento dell’imposta in misura fissa al momento della registrazione ed il pagamento “della differenza tra l’imposta dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione detratto e quella pagata in sede di registrazione” al momento del verificarsi della condizione. La ratio di questa previsione comunemente si rinviene nel fatto che, in questo tipo di vendita, l’effetto traslativo dipende da una condotta dell’acquirente e non già dal verificarsi di un evento estraneo alla volontà delle parti, tanto che la vendita con riserva di proprietà è accomunata, nel trattamento fiscale, agli “atti sottoposti a condizione che ne fanno dipendere gli effetti dalla mera volontà dell’acquirente o del creditore”. Il che significa, ha precisato questa Corte, che “ai fini della legge di registro, diversamente dalla disciplina civilistica, il contratto in questione produce l’immediato trasferimento della proprietà all’acquirente” (Cass. 5075/1998); con la conseguenza che il contratto, con il quale le parti sciolgono una vendita con riserva di proprietà in conseguenza del mancato pagamento del prezzo, non costituisce per la legge di registro un negozio ricognitivo di un effetto già verificatosi in conseguenza di detto inadempimento, ma produce esso stesso l’effetto di risolvere il precedente contratto, ponendone nel nulla gli effetti, con la conseguente retrocessione del bene all’originario proprietario. Ed anche in precedenza con riguardo all’INVIM, questa Corte ha ravvisato il momento in cui sorge il debito
fiscale, il presupposto del quale è la sussistenza di una alienazione a titolo oneroso, in quello della stipula del contratto, quand’anche la vendita sia avvenuta con riserva di proprietà; con la conseguenza che, qualora tale tipo di vendita sia avvenuta anteriormente all’introduzione dell’ INVIM l’imposta non è dovuta (Cass. 23469 2007).
Invero il diritto tributario riserva alla figura in questione una disciplina speciale, segnata dall’anticipazione del momento in cui si reputa verificato l’effetto traslativo, dinanzi illustrata; e la ratio generale che ne è a sostegno, già evidenziata, è volta ad evitare che rimanga a lungo sospeso il rapporto tributario.
Sulla scorta dei principi sopra richiamati deve concludersi nel senso che non sussiste la paventata violazione art. 27 TUR perché la vendita con riserva di proprietà è, di per sé, equiparata alla vendita ordinaria ai fini dell’imposta di registro.
Va recisamente escluso, infine, che nel pervenire alle proprie conclusioni la C.T.R. ritenendo legittima la revoca l’agevolazione fiscale concessa in sede di registrazione dell’atto di mutuo, sul presupposto che i contribuenti, con l’atto di vendita con riserva della proprietà per Notar Santomauro del 7 aprile 2016, avessero ceduto l’abitazione de qua , prima del decorso dei cinque anni dalla data di acquisto, abbia operato una interpretazione analogica vietata in contrasto con il dettato di cui alla norma citata, ponendosi invece l’interpretazione qui applicata nel solco della normativa di riferimento.
Il suddetto motivo va, dunque, respinto sulla scorta del seguente principio di diritto: ‘ Il soggetto che abbia beneficiato ai fini dell’imposta di registro del beneficio prima casa decade da detto beneficio ove entro il quinquennio aliena il medesimo bene riservandosi, a garanzia della parte di prezzo dilazionato, il dominio sull’immobile, rilevando il momento della conclusione della vendita
come stabilito dall’art. 27 TUR e non già il momento successivo del pagamento integrale del prezzo ‘.
6. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’ art. 91 c.p.c. assumendo che i giudici di appello avevano erroneamente liquidato le spese del giudizio (nella misura di euro 292,00, per il primo grado e di euro 585,00, per il grado d’appello, oltre accessori di legge, se dovuti), pur in mancanza di costituzione dell’Agenzia delle Entrate a mezzo dell’Avvocatura dello Stato o di un legale. Anche tale motivo non coglie nel segno.
In relazione alla liquidazione da parte della Commissione Tributaria Regionale delle spese di primo e secondo grado in favore dell’Ufficio ancorché costituitosi soltanto a mezzo funzionari, questa Corte ha chiarito che in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2bis , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionari medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario ‘rispetto a quella del difensore abilitato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24675 del 23/11/2011; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23055 del 17/09/2019; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27634 del 11/10/2021). Privo di pregio, appare, dunque il richiamo a quella giurisprudenza di legittimità che con riferimento al Codice della Strada e alla rappresentanza in giudizio dell’ente pubblico (nelle fasi di merito) da parte di un funzionario appositamente delegato, come consentito dall’art. 23, c. 4, della Legge 24 novembre 1981, n. 689, ha affermato che il contribuente non può essere condannato al pagamento delle spese legali se l’ente pubblico si è difeso con un suo
funzionario, precisando che gli enti pubblici non possono chiedere il pagamento dei compensi e dei diritti dei procuratori e degli avvocati se si sono difesi da propri dipendenti, trattandosi di controversia non riguardante le cause tributarie (quale quella in esame) per le quali opera, per espressa previsione normativa, una diversa disciplina. Occorre, infine, precisare che la parte abbia dedotto la violazione delle regole tariffarie.
In conclusioni il ricorso va rigettato; nulla va disposto in ordine alle spese di lite essendo l’ufficio rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data