Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29299 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29299 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23600/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in INDIRIZZO (domicilio digitale), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE DIREZIONE INDIRIZZO UFFICIO LEGALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1083/33/17 depositata il 15/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1083/33/17 del 15/03/2017, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello principale dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate (di seguito AE) e rigettava l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 9686/05/14 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente il ricorso della società contribuente nei confronti di quattro avvisi di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative agli anni d’imposta 2006 -2009.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione dell’emissione, da parte di EGS, di fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE).
1.2. La CTR confermava integralmente gli avvisi di accertamento impugnati evidenziando che: a) sussistevano le condizioni per il raddoppio dei termini con riferimento agli anni d’imposta 2006 e 2007; b) l’IVA indicata in fattura era dovuta anche in caso di oggettiva inesistenza dell’operazione sottostante, come previsto dall’art. 21, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA); c) il cessionario aveva utilizzato le fatture fittizie e non vi era prova che l’Ufficio avesse recuperato l’IVA inde bitamente detratta dal cessionario stesso, con conseguente obbligo del cedente di versare l’IVA indicata in fattura; d) con riferimento alla pretesa di AE per IRES e IRAP (profitto non dichiarato pari alla metà dell’indebito risparmio fiscale) era ragionevole ritenere, in via presuntiva, che il risparmio fiscale derivante dall’emissione di fatture
per operazioni oggettivamente inesistenti fosse stato diviso equamente tra cedente e cessionario.
NOME impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per avere la CTR erroneamente ritenuto la legittimità del raddoppio dei termini con riferimento agli anni d’imposta 2006 e 2007.
1.1. Il motivo è parzialmente fondato nei termini di seguito precisati.
1.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati » (Cass. n. 16728 del 09/08/2016; Cass. n. 22337 del 13/09/2018; Cass. n. 11620 del 14/05/2018; Cass. n. 26037 del 16/12/2016; Cass. n. 11171 del 30/05/2016; Cass. n. 22587 del 11/12/2012).
1.3. Il superiore indirizzo giurisprudenziale, ormai consolidato, ha ampiamente tenuto conto di Corte cost. n. 247 del 2011 (richiamata nella sentenza impugnata), ed è stato correttamente applicato dalla CTR, non avendo alcun rilievo la circostanza che la denuncia non sia stata effettivamente presentata o presentata dopo la scadenza dei termini ordinari di accertamento, né la circostanza che il reato fosse prescritto (questione, quest’ultima, la cui valutazione spetta al giudice penale).
1.4. Peraltro, « il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali » (Cass. n. 10483 del 03/05/2018; conf. Cass. n. 14204 del 24/05/2019; Cass. n. 10973 del 18/04/2019; Cass. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 28713 del 09/11/2018).
1.5. Entro questi limiti (formulazione subordinata), il motivo di ricorso va accolto.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 21, settimo comma, del decreto IVA, nonché del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e all’art. 163 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR), per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’Ufficio non abbia recuperato l’IVA dal cessionario GEA.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il cedente che abbia emesso fattura per un’operazione inesistente ha diritto al rimborso dell’imposta versata quando sia eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, come accade qualora l’Amministrazione finanziaria abbia disconosciuto, con provvedimento
divenuto definitivo, il diritto alla detrazione del destinatario e quest’ultimo abbia corrisposto al fisco l’intero importo indebitamente detratto, maggiorato delle sanzioni (Cass. n. 7080 del 12/03/2020; si vedano, altresì, tra le tante, Cass. n. 27637 del 12/10/2021; Cass. n. 26515 del 30/09/2021).
2.3. Nel caso di specie, pertanto, legittimamente l’Amministrazione finanziaria ha chiesto il pagamento dell’IVA indicata in fattura al cedente, atteso che non è stata fornita la prova del versamento dell’imposta da parte del cessionario, non essendo sufficiente la semplice notifica dell’atto di accertamento nei confronti di GEA.
2.4. Né vale richiamare il principio del divieto di doppia imposizione, posto che lo stesso riguarda il medesimo soggetto e non già soggetti differenti (Cass. n. 27625 del 30/10/2018; Cass. n. 18917 del 24/09/2015; Cass. n. 16819 del 20/06/2008). Peraltro, anche i presupposti impositivi sono diversi: per GEA il recupero origina da costi indebitamente dedotti, mentre per EGS dagli indebiti profitti conseguiti.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 39 e 40 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CTR illegittimamente avallato la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo la quale il vantaggio fiscale illegittimamente ottenuto con l’emissione di false fatture sarebbe stato equamente ripartito tra EGS e GEA. Tale criterio sarebbe inutilizzabile in assenza di riscontri esterni idonei a sostenerlo ovvero di fatti notori, sicché l’accertamento non sarebbe fondato su indizi chiari precisi e concordanti.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. È noto che l’accertamento tributario, sia con riferimento all’imposizione diretta che all’IVA, può fondarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, secondo comma cod. civ. (cfr. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).
3.3. Nel caso di specie, il giudice di appello ha evidenziato che l’utilizzazione di fatture oggettivamente inesistenti nei rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE è incontestata e ha ritenuto ragionevole, in assenza di altro criterio utilizzabile, l’equa ripartizione del vantaggio fiscale ottenuto tra le due società.
3.4. L’utilizzazione di un simile criterio di ragionevolezza trova fondamento non solo nell’ id quod plerumque accidit , ma anche nel diritto positivo: si veda, a solo titolo esemplificativo, la presunzione di uguaglianza delle quote dei comunisti, anche in sede di comunione legale tra coniugi (cfr. Cass. n. 28957 del 18/10/2023), la presunzione di uguaglianza della colpa di cui all’ultimo comma dell’art. 2055 cod. civ. (cfr. Cass. n. 31066 del 28/11/2019) ovvero la presunzione di uguaglianza delle quote in caso di responsabilità dei soci di una società di persone (cfr. Cass. n. 1036 del 16/01/2009).
3.5. Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: « In tema di utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti è ragionevole, trovando fondamento anche nel diritto positivo, la presunzione di equa ripartizione del vantaggio fiscale tra cedente e cessionario, gravando sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria ».
3.6. Di qui la correttezza del ragionamento presuntivo operato dalla CTR e la conseguente inversione dell’onere della prova in capo a EGS, onere non assolto.
In conclusione, va accolto, nei limiti di cui si è detto, il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, il 23/09/2025.
La Presidente
COGNOME COGNOME