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Vantaggio fiscale da fatture false: come si ripartisce

Una società cooperativa ha impugnato avvisi di accertamento per aver emesso fatture per operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione ha stabilito che la presunzione di un’equa ripartizione (50/50) del vantaggio fiscale tra l’emittente e l’utilizzatore delle fatture è legittima, ponendo a carico del contribuente l’onere di provare una diversa suddivisione. Inoltre, ha chiarito che il raddoppio dei termini di accertamento previsto in caso di reati fiscali non si applica all’IRAP.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Vantaggio Fiscale da Fatture False: La Cassazione Conferma la Ripartizione al 50%

L’emissione di fatture per operazioni inesistenti è una delle pratiche di frode fiscale più diffuse e complesse da gestire. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un aspetto cruciale: come viene ripartito il vantaggio fiscale illecito tra chi emette la fattura e chi la utilizza? Con una decisione chiara, i giudici hanno stabilito che, in assenza di prove contrarie, è ragionevole presumere una divisione a metà del profitto illecito.

I Fatti di Causa: Fatture False e Accertamenti Fiscali

Il caso ha origine da quattro avvisi di accertamento notificati a una società cooperativa in liquidazione per IRES, IRAP e IVA relative agli anni dal 2006 al 2009. L’Agenzia delle Entrate contestava alla società l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti nei confronti di un’altra cooperativa. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva confermato gli accertamenti, ritenendo legittima la presunzione dell’Ufficio secondo cui il profitto non dichiarato, derivante da tale illecito, fosse stato diviso equamente tra le due società coinvolte.

La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali: l’illegittimità del raddoppio dei termini di accertamento per gli anni 2006 e 2007, la violazione del divieto di doppia imposizione in materia di IVA e, soprattutto, l’erronea applicazione del criterio presuntivo di ripartizione del profitto al 50%.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso, fornendo importanti chiarimenti su ciascun punto.

Ripartizione del Vantaggio Fiscale: La Presunzione del 50/50

Il punto centrale della controversia era la legittimità del criterio presuntivo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per quantificare il vantaggio fiscale ottenuto dall’emittente. La Cassazione ha respinto il motivo di ricorso, affermando che la presunzione di un’equa ripartizione del vantaggio fiscale tra cedente e cessionario è ragionevole. Questo criterio si fonda non solo su ciò che accade di solito (id quod plerumque accidit), ma trova fondamento anche in principi del diritto positivo, come la presunzione di uguaglianza delle quote in una comunione o della colpa in caso di responsabilità solidale.

I giudici hanno chiarito che l’accertamento tributario può basarsi su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Una volta che l’Amministrazione fornisce tali elementi presuntivi, spetta al contribuente fornire la prova contraria. In questo caso, la società non è riuscita a dimostrare che la ripartizione del profitto fosse avvenuta in modo diverso dal 50/50.

Responsabilità IVA e Limiti del Raddoppio dei Termini

Per quanto riguarda gli altri due motivi, la Corte ha preso decisioni distinte.

Sul fronte IVA, ha ribadito il principio consolidato secondo cui chi emette una fattura per un’operazione inesistente è comunque tenuto al versamento dell’imposta indicata. Il diritto al rimborso sorge solo se viene eliminato ogni rischio di perdita di gettito per l’erario, ad esempio se l’utilizzatore della fattura ha già versato l’imposta indebitamente detratta. La semplice notifica di un accertamento all’utilizzatore non è sufficiente a provare tale circostanza.

Sul raddoppio dei termini di accertamento, la Corte ha accolto parzialmente il ricorso. Ha confermato che i termini raddoppiano per IRES e IVA in presenza di seri indizi di reato. Tuttavia, ha specificato che tale raddoppio non si applica all’IRAP, poiché le violazioni relative a questa imposta non sono sanzionate penalmente.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si basano su principi giuridici consolidati. La decisione sulla ripartizione del vantaggio fiscale si fonda sulla legittimità dell’uso di presunzioni nell’accertamento tributario. La Corte ha stabilito un principio di diritto chiaro: “In tema di utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti è ragionevole, trovando fondamento anche nel diritto positivo, la presunzione di equa ripartizione del vantaggio fiscale tra cedente e cessionario, gravando sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria”.

Per quanto riguarda l’IVA, la decisione protegge l’erario dal rischio di perdite, ponendo la responsabilità primaria sull’emittente della fattura. Infine, la limitazione del raddoppio dei termini all’IRAP deriva da una stretta interpretazione della normativa, che collega tale meccanismo solo ai reati fiscali, dai quali le violazioni IRAP sono escluse.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici per le imprese e i professionisti. In primo luogo, conferma che in caso di accertamento per fatture false, l’amministrazione finanziaria può legittimamente presumere che il profitto illecito sia stato diviso a metà tra i soggetti coinvolti. Sarà compito del contribuente, se vuole contestare tale presunzione, fornire prove concrete di una diversa ripartizione.

In secondo luogo, viene ribadita la rigidità della normativa IVA: l’emissione di una fattura, anche se falsa, crea un debito d’imposta difficile da estinguere. Infine, la pronuncia delinea un confine preciso per l’applicazione del raddoppio dei termini, escludendo l’IRAP e garantendo così una maggiore certezza del diritto per i contribuenti.

In caso di fatture false, come viene ripartito il vantaggio fiscale illecito tra chi le emette e chi le utilizza?
Secondo la Corte di Cassazione, è ragionevole presumere una ripartizione equa (al 50%) del vantaggio fiscale tra i due soggetti. Questa è una presunzione semplice, e spetta al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando che la suddivisione del profitto è avvenuta in modo diverso.

Il raddoppio dei termini di accertamento per reati tributari si applica a tutte le imposte?
No. La Corte ha chiarito che il raddoppio dei termini, previsto quando vi sono indizi di reato, si applica a imposte come l’IRES e l’IVA, ma non all’IRAP. Questo perché le violazioni relative alle disposizioni sull’IRAP non sono presidiate da sanzioni penali.

Chi ha emesso una fattura per un’operazione inesistente può chiedere il rimborso dell’IVA versata?
Sì, ma solo a condizioni molto rigide. L’emittente ha diritto al rimborso solo quando sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale per lo Stato. Ciò accade, ad esempio, se viene provato che l’Amministrazione finanziaria ha già recuperato l’IVA indebitamente detratta dall’utilizzatore della fattura, comprensiva di sanzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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