Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21174 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21174 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 29/07/2024
Registro Invim Accertamento
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15213/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (cf. 00753740158), in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in INDIRIZZO, presso lo studio dei prof. avvocati NOME COGNOME (cf. CODICE_FISCALE; pec: EMAIL) e NOME COGNOME (cf. CODICE_FISCALE; pec: EMAIL) che la rappresentano e difendono;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (cf.: CODICE_FISCALE), in persona del suo Direttore p.t. , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE (cf.: P_IVA), presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO, ope legis domicilia (pec.: EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2782/2020, depositata il 27 novembre 2020, della Commissione tributaria regionale della Lombardia; Udita la relazione svolta, nella pubblica udienza del 14 febbraio 2014, dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; uditi l’avvocato NOME AVV_NOTAIO e, per l’ RAGIONE_SOCIALE, l’avvocato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME ; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore che la Corte generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 2782/2020, depositata il 27 novembre 2020, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto, per quanto di ragione, l’appello proposto dall’ RAGIONE_SOCIALE, così pronunciando in riforma del decisum di prime cure che recava l’ accoglimento del l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro dovuta dalla contribuente in relazione alla registrazione di un contratto di cessione di ramo di azienda intercorso tra RAGIONE_SOCIALE (cedente) e RAGIONE_SOCIALE (cessionaria, successivamente incorporata da RAGIONE_SOCIALE).
1.1 -Il giudice del gravame ha rilevato che:
-il valore di avviamento del ramo di azienda ceduto -che l’RAGIONE_SOCIALE aveva determinato secondo un reddito prospettivo di € 877.896,65 dietro applicazione di una percentuale di redditività media del 9,9% – non coglieva «appieno le particolari caratteristiche e peculiarità dell’azienda specifica, così come individuate dalle stesse parti contraenti. Infatti non ha tenuto conto che la cessione è stata determinata dal fatto che la società produceva perdite da qualche anno e che necessitava di un rilancio tecnologico e di marketing per tornare ai livelli di redditività media dei soggetti selezionati pari al 9,9%.»; né, al riguardo, l’RAGIONE_SOCIALE aveva confrontato il risultato (così) ottenuto col
«metodo previsto dall’art. 2, comma 4 del D.P.R. 460/1996», del quale non aveva fatto applicazione;
-la determinazione del valore dell’azienda ceduta si correlava , peraltro, «al valore del brand il quale, avendo carattere storico, sia pur a livello regionale, è idoneo, nelle mani di un soggetto del settore, come l’acquirente, a permettere un rapido rientro dalle perdite, se adeguatamente sviluppato ed oggetto di politiche di marketing sul territorio»;
-doveva, pertanto, ritenersi che l’avviamento andava valorizzato «piuttosto che con riferimento alla redditività media del settore, con riferimento al valore del marchio» in quanto veniva in considerazione un marchio (RAGIONE_SOCIALE) che costituiva «sicuramente il principale asset del ramo d’azienda ceduto in quanto, trattandosi di vendita di beni ampiamente fungibili, quali acqua e bevande gassate (ginger ed acqua brillante), il marchio è l’unico strumento idoneo a fidelizzare il cliente ed a mantenere all’impresa quote di mercato»;
andava, quindi, condiviso il metodo di calcolo del valore in questione, qual adottato dall’RAGIONE_SOCIALE, – ed alla cui stregua il tasso di royalty era «determinabile prudenzialmente al 3%» – considerato che «il componente fondamentale dei prodotti è l’acqua a marchio RAGIONE_SOCIALE, che si vende soprattutto nella Regione Veneto»;
-andava, poi, condivisa la stima della componente immobiliare dell’azienda che conseguiva da una « valutazione compiuta dall’RAGIONE_SOCIALE Provinciale Territorio di Vicenza, che perviene ad un valore complessivo dei cespiti pari a € 9.595.700,00 (al lordo RAGIONE_SOCIALE passività), in linea con quello dichiarato, pari a € 9.526.210,00 (al lordo RAGIONE_SOCIALE passività) »;
diversamente da quanto ritenuto sul punto dal primo giudice, andava considerato che il metodo sintetico comparativo era stato utilizzato «solo con riferimento ai terreni agricoli » in quanto l’RAGIONE_SOCIALE, per le altre unità immobiliari, «in mancanza di comparabili, ha utilizzato
il procedimento analitico del costo di costruzione deprezzato», criteriologia, questa, che non aveva formato oggetto di contestazione;
la stima in questione risultava, quindi, fondata, quanto alle unità immobiliari, su «cinque criteri diversi, specificati in considerazione dei singoli immobili, che non risultano specificamente contestati» e, quanto ai terreni agricoli, su tre atti di compravendita rispetto alla cui datazione -contestata dalla contribuente in ragione della loro anteriorità triennale -rilevava, però, che «l’utilizzo di atti non coevi è giustificata nel caso di specie dal fatto che “nell’ambito territoriale di riferimento dei terreni oggetto di stima, il mercato immobiliare registrava in generale una sostanziale stazionarietà del numero di compravendite e dei prezzi”»;
quanto, poi, alla pur contestata ubicazione dei beni utilizzati a comparazione, rilevava che si trattasse «di terreni agricoli siti in Comuni la cui omogeneità territoriale non è contestata.»;
infondata rimaneva anche la difesa svolta dalla contribuente con riferimento all’omessa indicazione dei « parametri utilizzati» (e della «loro logica») in quanto la perizia specificava che erano state valutate «le caratteristiche fisiche dei terreni quali la “normale accessibilità” e la “vicinanza ad infrastrutture e vie di comunicazione”».
–RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.
L’ RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 -il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 111, sesto comma, Cost., al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36, comma 2, n. 4, e 61, ed all’art. 118, d.a. cod. proc. civ.;
si assume, in sintesi, che la gravata sentenza esponeva una motivazione contraddittoria, ed illogica, in quanto -dopo aver escluso la correttezza del metodo utilizzato dall’RAGIONE_SOCIALE per la determinazione del valore di avviamento del ramo di azienda, e ciò non di meno -aveva finito col far coincidere detto valore col marchio -che ne costituisce una componente -con ciò pretermettendo la considerazione (già svolta e) secondo la quale «la società produceva perdite da qualche anno e … necessitava di un rilancio tecnologico e di marketing per tornare ai livelli di redditività media dei soggetti selezionati pari al 9,9%.»;
soggiunge la ricorrente che, a detti fini, nemmeno avrebbe potuto tenersi conto degli «investimenti fatti dall’acquirente successivamente alla cessione dell’azienda e… redditi» che ne erano conseguiti, dovendosi la valutazione dell’avviamento arrestare alla data dell’atto di cessione;
1.2 -il secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ripropone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 111, sesto comma, Cost., al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36, comma 2, n. 4, e 61, ed all’art. 118, d.a. cod. proc. civ., sull’assunto che la gravata sentenza esponeva una motivazione (del tutto) carente, dunque meramente apparente, per il profilo estimativo che involgeva la valutazione del marchio il cui tasso di royalty era «determinabile prudenzialmente al 3%»;
soggiunge la ricorrente che la denunciata carenza motivazionale va misurata (anche) sui rilievi svolti nella prodotta consulenza di parte, ove, dunque, il consulente aveva rilevato la congruità di un tasso dell’1% in relazione alla dimensione regionale del marchio e nella scelta del pertinente tasso, compreso tra detta percentuale e quella del 3%, dietro «utilizzo di banche dati di primaria importanza diffusamente
utilizzate per determinare i tassi di royalties » – tenuto conto della riferibilità del marchio al solo settore RAGIONE_SOCIALE acque minerali (e non anche a quello dei « soft drinks e RAGIONE_SOCIALE acque minerali ») e della circostanza che la cedente da diversi anni «non aveva sostenuto adeguate spese di marketing per lo sviluppo dei marchi ceduti»; laddove -secondo indicazioni di prassi della stessa amministrazione finanziaria (circolare n. 32/1980) -nelle operazioni di transfer price viene considerato sospetto il tasso di royalty superiore al 2%;
1.3 -col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 43, comma 1, lett. a ), e 51, deducendo, in sintesi, che -quanto alla valutazione dei beni immobili ricadenti nel ramo di azienda ceduto -la gravata sentenza non aveva dato conto RAGIONE_SOCIALE ragioni di disconoscimento RAGIONE_SOCIALE risultanze della prodotta consulenza di parte -che, formata da esperto valutatore, aveva dato applicazione al principio del fair value (valore di scambio da correlarsi al « corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili ») -ed aveva avallato una stima dell’amministrazione fondata sul metodo comparativo a fronte di compravendite comparabili anteriori di tre anni ed aventi ad oggetto immobili connotati da diversa ubicazione, non contigua a quella dei beni in valutazione; laddove il giudice del gravame avrebbe dovuto attualizzare i dati comparativi al momento perfezionativo del presupposto di imposta (data dell’atto presentato per la registrazione) e rilevare la correttezza del criterio di stima prospettato nella prodotta consulenza di parte.
-Il ricorso -che pur prospetta profili di inammissibilità -è, nel suo complesso, destituito di fondamento e va senz’altro disatteso.
-Quanto ai primi due motivi -che vanno congiuntamente esaminati perché espongono una medesima quaestio iuris di fondo –
va premesso che, come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
3.1 -La gravata sentenza -nell’accogliere, per quanto di ragione, l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE, «con conseguente rinvio all’ufficio per la determinazione dell’imposta dovuta», – ha inequivocamente statuito, da un lato, che il valore dell’avviamento doveva identificarsi con quello del marchio ceduto -così esclusa la legittimità di una liquidazione incentrata sulla redditività dell’azienda ceduta e, dall’altro, che la componente immobiliare dell’azienda aveva formato oggetto di una corretta, e perciò condivisibile, valutazione estimativa.
Come, allora, il relativo contenuto (sopra ripercorso) rende esplicito, la motivazione del decisum offre puntuale indicazione della ratio decidendi volta a volta posta a fondamento della valutazione estimativa che è stata condivisa, così sottraendosi alla prospettata contraddittorietà ed apparenza del contesto argomentativo.
3.2 – Quanto, in particolare, alle questioni dalla ricorrente poste con riferimento alla valutazione del marchio, rimane del tutto evidente, per un verso, che la condivisione del criterio estimativo prospettato dall’RAGIONE_SOCIALE ha importato il rigetto (implicito) della difforme valutazione di parte e, per il restante, che la stessa prospettazione di parte -nel riproporre i dati di valutazione al giudizio offerti dalla prodotta consulenza -si risolve in una doglianza che -piuttosto che la compiutezza della motivazione -attinge una valutazione (di merito) che involge la attendibilità, e la stessa concludenza, dei dati probatori posti a fondamento della decisione, con ciò risolvendosi nella denuncia di un erroneo accertamento in fatto.
E, come la Corte ha in più occasioni statuito, la stessa censura di omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori – e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).
Né, per vero, sussiste una qualche contraddittorietà (interna) tra le argomentazioni poste a fondamento della valutazione del marchio che -come precisato in sentenza, dietro richiamo di un precedente di legittimità (Cass., 17 gennaio 2019, n. 1118), -costituisce bene suscettibile di valutazione quale componente del valore di avviamento dell’azienda, componente che, in quanto tale, può formare oggetto di una propria autonoma valutazione estimativa laddove -come pur dal giudice del gravame precisato -risulti non condivisibile la (diversa) valutazione fondata sulla redditività dell’azienda ceduta.
4. -Quanto, invece, al terzo motivo, non sussiste, innanzitutto, la denunciata violazione di legge in quanto il d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 3, espone un triplice ordine di presupposti (equiordinati e) legittimanti l’accertamento del maggior valore di commercio del bene immobile oggetto di compravendita, avendo la Corte precisato, con risalente indirizzo interpretativo, che l’avviso di rettifica del valore dichiarato, ai fini dell’imposta di registro, può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su «altri elementi di valutazione», elementi, questi, tra i quali rientra, come nella fattispecie in esame, la stima operata dall’RAGIONE_SOCIALE del territorio (v. Cass., 26 gennaio 2018, n. 1961; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2951) ovvero il riferimento alla destinazione, alla collocazione,
alla tipologia, alla superficie, allo stato di conservazione, all’epoca di costruzione dell’immobile oggetto di valutazione (v., ex plurimis , Cass., 13 novembre 2018, n. 29143; Cass., 24 febbraio 2006, n. 4221; Cass., 18 settembre 2003, n. 13817; Cass., 8 marzo 2001, n. 3419).
4.1 – Invero, le censure in esame tengono, innanzitutto, in non cale gli specifici rilievi svolti dal giudice del gravame che ha considerato, da un lato, che, quanto alle unità immobiliari diverse dai terreni agricoli, il criterio di stima si fondava sul metodo analitico-ricostruttivo del costo di costruzione deprezzato , e, dall’altro, che la congruità della stima dei terreni agricoli si raccordava -avuto riguardo alle connotazioni tipologiche dei beni («le caratteristiche fisiche dei terreni quali la “normale accessibilità” e la “vicinanza ad infrastrutture e vie di comunicazione”») -ad «una sostanziale stazionarietà del numero di compravendite e dei prezzi» del mercato immobiliare («nell’ambito territoriale di riferimento dei terreni oggetto di stima») ed alla «omogeneità territoriale» dei Comuni di ubicazione dei beni utilizzati a comparazione.
Ancora una volta, pertanto, il motivo di ricorso in trattazione surrettiziamente introduce censure che involgono la valutazione dei dati probatori da parte del giudice del merito, così sottoponendo alla Corte un non consentito riesame del merito del giudizio, al di fuori RAGIONE_SOCIALE relative coordinate regolative che, come anticipato, predicano l’ omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) che non può identificarsi con la (mera) riproposizione di tesi ed argomenti probatori difensivi.
– Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità liquidate in € 14.000,00, oltre spese prenotate a debito;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 febbraio 2024.