Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20358 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20358 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3152/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE; -ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che lo rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’ EMILIA-ROMAGNA n. 913/2020 depositata il 21/09/2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La C.T.R. dell’ Emilia-Romagna, con la sentenza n. 913/5/2020, depositata in data 21 settembre 2020, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio, rideterminava, in controversia avente ad oggetto un avviso di rettifica liquidazione di imposta di
registro relativo ad una compravendita immobiliare in data 28 febbraio 2014, il valore complessivo dell’immobile in € 3.100.000,00 (di cui euro 1.150.000,00 per gli immobili a destinazione residenziale e 1.950.000,00 per gli immobili a destinazione commerciale) e compensava le spese dell’intero giudizio.
In particolare la C.T.R., nel premettere che non era possibile prendere in considerazione tutto il materiale successivo all’atto di vendita, riteneva che le perizie prodotte dalle parti, depurate dagli eventuali errori, portassero a dei risultati convergenti, eccezion fatta per gli immobili ad uso residenziale, per i quali riteneva di utilizzare una valutazione di € 2.000,00/mq, analoga al prezzo di vendita di altri immobili siti in Modena, INDIRIZZO, perfettamente comparabili.
Contro detta sentenza propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE società semplice.
L’ Ufficio resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo le società ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 , primo comma, n.3. c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 3, d.P.R. 131/1986, lamentando l’omessa considerazione, da parte dei giudici di secondo grado, degli atti e documenti successivi alla data della vendita.
Con il secondo motivo deducono , ai sensi dell’art. 360 , primo comma, n.5. c.p.c. omesso esame circa fatti controversi e decisivi per il giudizio rappresentati dalla natura del bene compravenduto (edificio terra-cielo) e la locazione delle relative unità immobiliari lamentando che ove la C.T.R. li avesse correttamente valutati sarebbe giunta a diverse conclusioni confermando il valore dichiarato di euro 2.500.000,00.
Con il terzo motivo deducono, ai sensi dell’art. 360 , primo comma, n.3. c.p.c. l’illogicità e contraddittorietà della sentenza in relazione alla stima di valore del fabbricato compravenduto.
Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate.
Il primo motivo è infondato.
5.1. Occorre rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se
allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
5.2. Orbene dal tenore della sentenza impugnata risulta che la C.T.R. ha operato un diffuso ed argomentato accertamento sui dati di stima, tenendo specificamente conto non solo della stima esposta in atto impositivo, ma anche dei dati di valutazione offerti dalle stesse contribuenti (consulenza cd. Depietri) comparati con altra stima prodotta dall’Agenzia delle entrate in corso di giudizio.
Invero l’art. 51, comma 3, disciplina in iure i criteri normativi cui si correla il potere di rettifica del valore venale dei beni oggetto dell’atto sottoposto a tassazione ma la censura di violazione di legge nel caso in esame si risolve in una riproposizione di argomenti probatori il cui esame implica accertamenti in fatto mentre in diritto ciò che rileva è che il giudice del merito abbia specificamente dato conto della verifica condotta sui criteri di stima utilizzati e che sia pervenuto ad una specifica conclusione estimativa; gli ulteriori elementi di valutazione finiscono, allora, per incidere sulla stima, non sulla violazione della fattispecie astratta.
Risulta, quindi, evidente che le società contribuenti più che dedurre una violazione dell’art. 51 T .U.R. lamentano una non corretta valutazione delle prove, a fronte della scelta operata dal giudice di merito in relazione ai dati istruttori rilevanti e ritenuti decisivi; oggetto del giudizio che le ricorrenti vorrebbero demandare a questa Corte non è, quindi, l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315);
Anche il secondo motivo non coglie nel segno.
6.1. Deve rilevarsi che la censura proposta non è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c .p.c. non
riflettendo la pretermissione di fatti storici, quanto piuttosto profili prettamente valutativi.
Le società contribuenti nel lamentare che la C.T.R. non avrebbe valutato, i seguenti fatti: – si trattava di un edifico da cielo a terra quale oggetto di compravendita; – otto u.i. risultavano oggetto di contratti di locazione in corso, non considerano che questi dati sono stati richiamati nella gravata sentenza nel senso che la C.T.R. ne ha dato conto, rilevando, tuttavia la necessità di una valutazione delle singole componenti (in quanto ciò aveva formava oggetto anche della stima di parte) e considerando anche l’ alea estimale indicata dall’UTE nel 15%.
Le ricorrenti, peraltro, non chiariscono in quali termini e sotto quale profilo i fatti probatori dedotti, asseritamente del tutto pretermessi, avrebbero potuto portare ad una diversa conclusione circa la ritenuta legittimità dell’accertamento e, pertanto, deve escludersi che si tratti di fatti decisivi in quanto nella sostanza ciò che si deduce è l’erroneità della stima avallata dal giudice del merito in relazione ad una non meglio chiarita decisività dei dati in questione.
Anche il terzo motivo è infondato. La parte contribuente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., deduce una motivazione illogica e contraddittoria per non avere la C.T.R. considerato che nella specie esistevano dei ‘vincoli locativi’ laddove la valutazione UTE, ritenuta legittima, aveva considerato i beni liberi da pesi, vincoli e servitù.
Tuttavia, nel prospettare tale vizio, omette di considerare che occorre valutare l’intero contesto valutativo, cioè il complesso di dati (che non possono essere isolati) che ha formato oggetto di delibazione, sicché non appare in alcun modo ravvisabile il vizio paventato.
Va considerato, infatti, che solo una motivazione della sentenza viziata da contrasto irriducibile tra affermazioni fra loro inconciliabili costituisce anomalia motivazionale talmente grave che, impedendo
il controllo sull’effettiva ratio decidendi , si converte in vizio di violazione di legge rilevante (cfr. Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. ord. 20 febbraio 2020, n. 4422), nella specie non potendosi configurare alcun profilo di nullità della sentenza che per contro appare, nel suo complesso, adeguatamente e logicamente motivata.
In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna le società ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in favore dell’Ufficio nella somma di euro 7.000,00 oltre spese prenotate a debito; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data