Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20388 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20388 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12416/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO);
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sede di NAPOLI, n. 5197/2020 depositata il 03/11/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ha notificato al contribuente, odierno ricorrente, in qualità di acquirente di un immobile (atto del 18 novembre 2016), un avviso di accertamento e liquidazione in rettifica relativo all’imposta di registro per il suddetto atto di trasferimento, non condividendo le considerazioni offerte dal contribuente in sede di richiesti chiarimenti.
Il contribuente ha proposto ricorso avverso tale provvedimento, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale ha emesso la sentenza n. 8630/2019, di accoglimento parziale del ricorso proposto dal contribuente, rilevando la sussistenza di superfici a destinazione mista e articolazione su due livelli, che rendevano impossibile destinare l’immobile interamente a uso negozio , e che la proprietà era frazionata tra due titolari al 50%, così riducendo l’attrattiva per eventuali acquirenti. La CTR ha quindi ritenuto di quantificare il valore commerciale di 10.000 euro per il primo livello e 5.000 euro per il secondo, determinando un valore complessivo di 450.000 euro ai fini del calcolo dell’imposta.
Avverso tale decisione il contribuente ha formulato appello, che la CTR ha rigettato integralmente, con la sentenza in epigrafe indicata, ritenendo insussistente il vizio di motivazione, corretta la valutazione circa la quantificazione della rendita ai fini di imposta, e confermando il decisum di prime cure.
Avverso la suddetta sentenza parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Successivamente parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 3, D.P.R. 131/1986 e dell’art. 115, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per aver il giudice determinato il valore dell’immobile errando nell’applicazione dei criteri previsti dalla legge: i giudici di seconde cure non avrebbero considerato le disposizioni dell’art. 51, comma 3, del D.P.R. 131/86, ritenendo invece corretto l’operato dell’Ufficio, il quale aveva basato il suo accertamento sul Listino Ufficiale dei valori del mercato immobiliare per la Provincia di Napoli, senza far alcun riferimento alle quotazioni OMI e
alle risultanze di un’apposita perizia resa a favore di Intesa Sanpaolo S.p.A.
1.1. Il motivo non può essere accolto.
1.2. Innanzitutto, presenta profili di inammissibilità perché, sotto il velo della denuncia di violazione di legge, censura l’accertamento in fatto e cioè la stima che la CTR ha mutuato (condividendola) dalla pronuncia di prime cure.
1.3. Sotto il profilo di diritto, assume rilievo, invece, il seguente principio, già affermato da questa Corte: ‹‹ i valori di mercato fondati sulle rilevazioni dell’Osservatorio del Mercato immobiliare (OMI) costituiscono uno strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, strumento idoneo a condurre ad indicazioni di valori di larga massima e inidoneo ex se a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonchè lo stato delle opere di urbanizzazione (cfr., ex plurimis , Cass., 12 giugno 2020, n. 11319; Cass., 17 ottobre 2019, n. 26376; Cass., 7 settembre 2018, n. 21813; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 15 dicembre 2017, n. 30163; Cass., 11 agosto 2017, n. 20089); così che, – se, in linea di principio, il convincimento del giudice può fondarsi anche su di un unico elemento indiziario, qualora preciso e grave, – ciò nondimeno detto elemento non può essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di praesumptio de presumpto (Cass., 16 giugno 2021, n. 16957, cit.; Cass., 4 novembre 2020, n. 24550; Cass., 25 gennaio 2019, n. 2155, cit.) ››.
1.4. In altre parole, le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicché, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune
esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell’art. 115, comma 2, c.p.c., sono idonee solamente a “condurre ad indicazioni di valori di larga massima ‘ (Cass. 21/12/2015, n. 25707(Rv. 638079 – 01)).
1.5. Ne consegue dunque che, diversamente da quanto assume il ricorrente, non sono fonte obbligatoria della valutazione del giudice.
1.6. La CTR ha preso in esame le analitiche risultanze probatorie fatte proprie dalla CTP, comprensive delle valutazioni della perizia di parte, come descritte nel punto 2. della parte in fatto della presente ordinanza, ed ha operato una valutazione specifica alla luce delle caratteristiche proprie dell’immobile.
1.7. Non sussiste dunque il vizio di violazione di legge inerente al l’accertamento delle risultanze processuale ed i criteri utilizzati per determinare il valore ai sensi dell’art. 51 del D.P.R. 131/86.
1.8. Il motivo va dunque rigettato.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, commi 2 e 2bis , d.P.R. n. 131/1986 e dell’art. 7 della L . 212/2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per aver il giudice omesso di rilevare che l’Ufficio avrebbe dovuto allegare, ai fini della completezza della motivazione dell’avviso di rettifica e liquidazione, gli atti di compravendita di immobili utilizzati per valutare la congruità del corrispettivo.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Questa Corte ha già precisato che in tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione
di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi dell’art. 52, comma 2bis , del d.P.R. n. 131 del 1986, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento (Cass. 22/09/2017, n. 22148 (Rv. 645464 – 01)), ed ha altresì sottolineato che, sempre in tema di imposta di registro, l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta, riguardante atti che hanno ad oggetto beni immobili, adottato a seguito di comparazione con beni simili, deve ritenersi adeguatamente motivato, ove contenga la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto utilizzato per la comparazione, e cioè delle parti utili a far comprendere il parametro utilizzato per la rettifica, essendo anche in questo modo adempiuto l’obbligo di allegare all’avviso l’atto utilizzato per la comparazione (Cass. 11/09/2017, n. 21066 (Rv. 645672 – 01)).
2.3. Quindi, in base a principi ormai consolidati, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, avendo la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e, al contempo, di consentire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto, in base al quale la rettifica è stata operata, poiché solo nella fase contenziosa l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione del criterio prescelto (Cass., 6 febbraio 2019, n. 3388; Cass., 22 settembre 2017, n. 22148; Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 8 novembre 2013, n. 25153; Cass., 3 agosto 2012, n. 14027).
2.4. Nel caso di specie erano indicati tali elementi essenziali.
2.5. La censura presenta anche profili di inammissibilità, posto che -in contrasto con lo specifico accertamento del giudice del
gravame -riproduce una sola parte dell’atto impositivo (e cioè quella relativa agli atti di compravendita utilizzati a titolo comparativo) mentre, per come si desume dalla doppia pronuncia conforme dei giudici del merito, l’atto in questione conteneva (anche) una stima (peraltro rideterminata dai giudici del merito), di cui il contribuente non fa menzione.
2.6. Ne consegue il rigetto della doglianza, atteso che la CTR ha rettamente applicato la disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta che la CTR non avrebbe fornito alcuna motivazione in merito alla eccezione relativa alla non comparabilità degli immobili, con violazione degli artt. 36, c. 1, n. 4 e 61, D.Lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
3.1. Il ricorrente sostiene che nel determinare il valore del negozio, l’Ufficio ha preso a paragone compravendite di beni differenti rispetto a quello oggetto del ricorso, dimostrando la loro non confrontabilità. In particolare, viene evidenziato che l’immobile oggetto di accertamento possiede una sola vetrina e, per le sue caratteristiche strutturali, solo la metà della superficie è utilizzabile per la vendita, a causa della presenza di una scala a chiocciola che ne impedisce un normale transito dei clienti al piano superiore. Inoltre, viene sottolineato che il negozio è stato acquistato solo per metà, circostanza che determinerebbe uno sconto sul prezzo di mercato di almeno il 20%-30.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. Per costante giurisprudenza la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili
(tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^5, 15 aprile 2021, n. 9975). Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘motivazione apparente’, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184).
3.4. Nel caso in esame, invero, il decisum -a prescindere dalla sua correttezza in diritto -raggiunge la soglia del minimo costituzionale, avendo i giudici di appello argomentato la loro decisione, tanto che, negli altri motivi di ricorso per cassazione, se ne contesta la logica seguita e la correttezza delle conclusioni.
3.5. Il motivo va dunque rigettato.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, cc. 2 e 2bis , D.P.R. n. 131/1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per aver il giudice errato nel ritenere legittima la comparazione operata dall’Ufficio tra immobili non aventi caratteristiche simili. Secondo il ricorrente, anche qualora si ritenesse la sentenza di appello adeguatamente motivata in merito alla non comparabilità degli immobili, la decisione sarebbe comunque in contrasto con l’art. 51, comma 3, D.P.R. n. 131/1986, che consente il confronto solo tra immobili con “analoghe caratteristiche o condizioni”. La comparazione effettuata dall’Ufficio avrebbe riguardato immobili di superficie simile a quello oggetto di verifica, ma con caratteristiche differenti: integralmente adibiti a negozio, con più di una vetrina e
ceduti integralmente. Il ricorrente evidenzia dunque che tali differenze non sono state censurate dai giudici di appello, i quali hanno ritenuto legittimo l’accertamento nonostante la comparazione con negozi aventi caratteristiche diverse dal magazzino acquistato dal ricorrente, in violazione dell’art. 51 comma 3 del D.P.R.131/86
4.1. Il motivo va dichiarato inammissibile perché anche in questo caso, sotto la censura di violazione di legge, si finisce con il devolvere alla Corte un inammissibile riesame del merito (Cass., 28/05/2024, n. 14843).
4.2. La valutazione dell’Agenzia ha tenuto in considerazione immobili che ha ritenuto avere caratteristiche similari per ubicazione, caratteristiche generali e destinazione, e tale valutazione non può essere messa in discussione in sede di legittimità.
4.3. Il criterio comparativo con altri immobili utilizzato nella determinazione del valore ai sensi dell’art.51 c. 3 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 non deve invero essere inteso come esteso ad ogni caratteristica specifica (quali, ad esempio, gli altri, la presenza di scale, la modalità di distribuzione delle superfici, la disposizione ed il numero delle vetrine, il pregio dei materiali e lo stato di conservazione e manutenzione, la eventuale comproprietà), essendo a tal fine sufficiente che si tratti di immobili aventi caratteristiche similari per ubicazione, distribuzione e caratteristiche generali. Una volta determinati i parametri di carattere generale in base alla valutazione comparativa, la quantificazione del valore potrà semmai essere ulteriormente individualizzata in base a tali parametri.
Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui la CTR -anche per il tramite della ricezione per relationem delle valutazioni della CTPha preso in considerazione anche le specifiche caratteristiche dell’immobile.
4.4. La censura non può dunque essere accolta.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/02/2025.