Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1488 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1488 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5425/2022 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE LECCO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2595/2021 depositata il 08/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Il Tribunale di Lecco, con sentenza nr 714/2018, all’esito del giudizio per querela di falso promosso da NOME COGNOME in proprio e nella qualità di titolare dell’impresa individuale Naomi di COGNOME nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Economia, accertava la falsità dell’attestazione di deposito in data 15.6.2015 apposta dalla segreteria della Commissione Tributaria Direzione Provinciale di Lecco sulle note di iscrizione a ruolo e sui ricorsi iscritti al nr 311/2015 e 312/2015 RGR e notificato per posta tramite plichi raccomandati inviati il 9.5.2015 e ricevuti dall’Agenzia delle Entrate in data 13.5.2015.
Il giudizio ex art 221 c.p.c. era stato introdotto dal COGNOME a seguito della sentenza di inammissibilità pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco che aveva accolto l’eccezione di tardività della costituzione ed iscrizione a ruolo sollevata dall’Agenzia delle Entrate.
Il querelante sosteneva che la costituzione nel giudizio tributario doveva considerarsi avvenuta in data 5.6.2015 quando il figlio NOME COGNOME su sua delega, si era presentato al front-office della segreteria della Commissione Tributaria di Lecco ed aveva consegnato al servizio la relativa documentazione; che nell’attività di certificazione si era realizzata con riferimento all’indicazione della data di deposito al 15.6.2015 una falsità materiale.
Avverso tale decisione sia l’Agenzia delle Entrate sia il Ministero dell’Economia proponevano appello contestando , il Ministero, la propria legittimazione passiva e , l’Agenzia, il merito della sentenza. Con sentenza nr 2595/2021 la Corte di appello di Milano accoglieva entrambi i gravami dichiarando il difetto di legittimazione passiva in capo al Ministero dell’Economia e rigettando la querela di falso. Osservava, per gli aspetti che qui rilevano, che in base alla scansione processuale del processo tributario l’adempimento fondamentale richiesto dalle norme processuali, in allora vigente costituito dal deposito della nota contenente la richiesta di iscrizione a ruolo non era stato accompagnato dalla ricevuta generata dal sistema informatico della Giustizia tributaria che consentiva al giudice di valutare la tempestività della costituzione. Riteneva che la rilevanza data dal primo Giudice al riferimento, nelle certificazioni di conformità, al ricorso ‘ depositato presso la segreteria di codesta spett.le Commissione tributaria il giorno 5.6.2015’ non era condivisibile giacch é la veste di pubblico ufficiale riconosciuta al difensore dall’art 25 bis del dlgs nr 596/1992 era limitata al compimento dell’attività di asseverazione di conformità del contenuto del ricorso depositato a quello notificato e non poteva essere estesa ad ipotesi diverse da quella disciplinata nella disposizione.
Rilevava inoltre che le prove testimoniali, partitamente analizzate, non avevano consentito di acquisire ulteriori elementi di valutazione in grado di dimostrare la falsità dell’attività di certificazione contestata.
Avverso tale decisione NOME COGNOME in proprio e quale titolare dell’impresa individuale NOME di COGNOME NOMECOGNOME propone ricorso per
cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con il primo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione fra le parti, l’omessa applicazione dell’art 2729 c.c.in relazione all’art 221 c.p.c. per avere la Corte di appello mancato di considerare il fatto storico rappresentato dall”accesso e presenza del sig. NOME COGNOME il 5.6.2015 presso la segreteria della Commissione tributaria’.
Si sostiene che l’esame di quel fatto omesso avrebbe condotto il giudice del gravame ad una sola conclusione che una tale presenza si poteva giustificare unicamente in un modo vale a dire con ‘il deposito dei documenti che erano pervenuti dall’avv . NOME COGNOME.
Con un secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art 2729 c.c. in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte di appello negato valore indiziario alle testimonianze rese dall’ avv . COGNOME e di COGNOME senza in alcun modo approfondire il tenore delle testimonianze ed i fatti storici narrati relativamente a quanto avvenuto il 5.6.2015.
Il ricorso è inammissibile sotto entrambi i profili dedotti.
Giova ricordare che come affermato anche dalle sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Nel caso in esame, è chiaro che non si verte in tale ipotesi.
Ed infatti, la censura, ancorché formulata in termini di omesso esame, attinge in realtà il diverso apprezzamento dato dalla Corte distrettuale alla deposizione del figlio del COGNOME le cui dichiarazioni sono state ritenute non rilevanti ai fini della prova della falsità della data di certificazione (cfr pag 4 della sentenza impugnata).
Il motivo contesta la valutazione delle prove condotta dal giudice di merito, senza confrontarsi con il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice
del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
Parimenti anche il secondo profilo di censura deve ritenersi inammissibile
Il mezzo, nonostante la formale intestazione, attiene, nella sostanza, a profili di fatto e tende a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte di appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
Giova ricordare che questa Corte, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o
abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., sez. 6, 17/1/2019, n. 1229).
Si è di recente confermato (Cass., sez. 1, n. 8753/2024), in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass., sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940).
La Corte d’appello ha attentamente vagliato il contenuto delle prove testimoniale dando una compiuta spiegazioni delle ragioni per cui le stesse non erano state in grado di apportare elementi significativi ai fini in esame.
Vi è stata pertanto la valutazione del materiale probatorio anche se l’interpretazione dello stesso da parte della Corte d’appello ha portato a conclusioni difformi rispetto a quelle invocate dal ricorrente.
Peraltro è da escludere che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dia luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione,
non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056).
Argomento quest’ultimo che vale anche per la prova presuntiva, rispetto alla quale il giudice di merito, una volta valutati analiticamente gli elementi indiziari offerti onde scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, da valutarsi gli uni per mezzo degli altri
e non singolarmente, e accertare la loro concordanza (c.d. convergenza del molteplice) (Cass., Sez. 3, 9/3/2012, n. 3703; Cass., Sez. 1, 13/10/2005, n. 19894), spettando unicamente a lui valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass., Sez. 3, 11/5/2007, n. 10847; Cass., Sez. L, 21/10/2003, n. 15737; Cass., Sez. L, 17/4/2002, n. 5526).
Pertanto, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi, come nella specie, a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della Agenzia delle Entrate delle spese di legittimità che si liquidano in complessive € 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Roma 10.1.2025
Il Presidente
(NOME COGNOME