Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31232 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31232 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3693/2019 R.G., proposto
DA
Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
RICORRENTE
CONTRO
Giordano FrancescoCOGNOME
INTIMATO
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Calabria il 19 dicembre 2017, n. 3522/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28 novembre 2024 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto r icorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Calabria il 19 dicembre 2017, n.
IMPOSTA DI REGISTRO ACCERTAMENTO CESSIONE DI AZIENDA AVVIAMENTO
3522/04/2017, che, in controversia su impugnazione di avviso di rettifica di valore da £ 180.000.000 a £ 2.412.500.000 e liquidazione della maggiore imposta di registro n. 921V002315/1994 in relazione ad una cessione di ramo aziendale in Cosenza alla INDIRIZZO, « avente ad oggetto la vendita di articoli di vestiario particolarmente importanti e di griffe famose, confezionamenti, accessori di abbigliamento, biancheria intima, calzature ed articoli in pelle e cuoio, nonché prodotti tessili » (così in ricorso), a mezzo di rogito notarile del 19 marzo 1992, a seguito della rideterminazione in maius del valore di avviamento tramite un calcolo « fondato ‘sulla capitalizzazione per tre del reddito medio annuo pari al volume di affari dichiarato negli ultimi cinque anni ai fini dell’imposta IVA’ » (così si legge nella sentenza impugnata), ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti di NOME COGNOME avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza il 28 marzo 2013, n. 549/04/2013, con compensazione delle spese giudiziali.
2. La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di primo grado -che aveva accolto il ricorso originario del contribuente – sul presupposto che il criterio adoperato dal l’amministrazione finanziaria per il calcolo dell’avviamento (mediante la determinazione del valore di avviamento utilizzando « i l volume di affari dell’intera azienda e non quello del ramo aziendale ») non potesse essere applicato alla cessione in questione, posto che il contribuente « e sercitava più attività in più luoghi e…manteneva contabilità separata del ramo d’azienda ceduto… ».
3. NOME COGNOME è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a due motivi.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi « sui motivi di appello, volti proprio a spiegare le ragioni dell’accertamento con riguardo all’attività ceduta, che impropriamente è riferita a ‘cessione di ramo d’azienda’, riportando i relativi calcoli, senza valutare di conseguenza l’insieme delle prove fornite dalle parti, né spiegare le ragioni per cui gli elementi probatori forniti dall’appellato contribuente fossero idonei a scalfire le contestazioni dell’ufficio », laddo ve l’a mministrazione finanziaria aveva così censurato la decisione di prime cure: « I giudici di prime cure (…) accoglievano il ricorso della società contribuente e, a tal riguardo» si osserva come la relativa sentenza risulta errata, dovendosi in tal senso rilevare come il cedente (NOME COGNOME) risultava titolare di due sole attività, ovvero l’una quella ceduta (riguardante vendita di abbigliamento), dal volume d’affari, nel 1992 (anno della cessione), di Lire 1.774.064.000 (Doc, 2) nonché l’altra riguardante un Ristorante (Doc, 3). dal volume d’affari, nel 1992, di Lire 3.907.000 (che rappresenta lo 0,2 % del volume d’affari complessivo del cedente). Risulta quindi evidente come i volumi di affari dei cinque anni antecedenti la cessione (19871991) presi in considerazione dall’Ufficio per il calcolo del valore dell’avviamento (volumi compresi tra Lire 2.044.950.000 e Lire 2.880.000.000) siano giustappunto riferiti ai suddetto esercizio commerciale di abbigliamento poi ceduto e, quindi, siano del tutto corretti, dovendosi a riguardo per completezza rilevare come con riferimento ad una persona fìsica, qual è il cedente, non si possa neppure parlare di diversi
rami d’azienda, quanto, piuttosto, della proprietà di più aziende, L’una delle quali, come suddetto, risultava essere proprio quella d’abbigliamento ceduta ed oggetto della rettifica di valore, da parte dell’Ufficio, attraverso il riferimento ai volumi d’affari – dei cinque anni precedenti di quell’esercizio commerciale di abbigliamento. E d’altronde, la correttezza della valutazione dell’Ufficio e la conseguente erroneità dell’impugnata sentenza risultava (e risulta) ancor più evidente dalla già citata circostanza per cui negli anni di imposta antecedenti alla cessione e presi in considerazione dall’Ufficio per il calcolo del valore dell’avviamento – compresi, come detto, tra il 1987 ed il 1991 -, il cedente avesse dichiarato un volume d’affari compreso tra Lire 2.044.950.000 e Lire 2.880.000.000 (ovvero un volume d’affari medio di Lire 2.525.000.000. cfr. motivazione dell’accertamento, già allegato agii atti di primo grado dal contribuente), mentre nell’ anno della vendita medesima (avvenuta il 08.08.1992) dichiarava un volume d’affari complessivo di L di Lire 2.549.698.000. ovvero un valore pressoché coincidente con il predetto valore medio (dei cinque anni precedenti) utilizzato in accertamento per il calcolo dell’avviamento del l’esercizio commerciale di abbigliamento da sottoporre a tassazione. Nondimeno, occorre pure rilevare come nell’anno d’imposta successivo alla cessione, ovvero il 1993, il cedente dava seguito alla vendita dichiarando cessata la propria attività di abbigliamento (Doc. 6) e, quindi, dichiarando un volume d’affari pari a zero (Doc. 7), cosicché risulta ancora una volta acclarato come l’esercizio commerciale ceduto, diversamente da quanto la ricorrente voleva (e vorrebbe) sostenere, nonché diversamente da quanto statuito in sentenza, non costituiva affatto uno dei rami d’azienda (asseritamente di minore valore
rispetto a quanto accertato), bensì rappresentava (e rappresenta) proprio quell’unico esercizio commerciale di abbigliamento del cedente, cosicché la media dei volumi di affari (compresi tra il 1987 ed il 1991) considerata dall’Ufficio ai fini del calcolo dell’avviamento dell’esercizio commerciale in parola risulta evidentemente corretta; e ciò anche in merito al quantum, vista la coincidenza, come più sopra esposto, tra detta media dei volumi d’affari dei cinque anni antecedenti (di Lire 2.525.000.000) ed il volume di affari legato a quel medesimo esercizio commerciale d’abbigliamento nell’anno della cessione (di Lire 2.549.698.000, valore, quest’ultimo, per di più superiore a quello, più favorevole, dell’avviamento poi definitivamente attribuito in accertamento, pari a Lire 2.272.500.000). Né, in senso opposto, poteva (né potrebbe) rilevare la circostanza per cui detto esercizio d’abbigliamento veniva spostato solo nel 1991 in INDIRIZZO, dovendosi a riguardo osservare come il luogo di esercizio costituisce solo uno dei tanti elementi di cui, in astratto, può comporsi l’avviamento, e, in concreto, dovendosi invece rilevare come detto elemento, nel caso di specie, non abbia avuto alcuna incidenza (negativa) sul valore dell’avviamento stesso, non avendo comportato detto trasferimento, così come ampiamente più sopra argomentato e contrariamente a quanto addotto dalla ricorrente in primo grado (la quale, in contrasto a quanto comprovato dall’Ufficio, asseriva che il cedente aveva realizzato un volume d’affari di Lire 235.885.000 nel 1991 e di Lire 197.477.455 nel 1992, allegando a riprova di ciò le copie delle prime dei corrispettivi), una diminuzione del volume d’affari (e quindi dell’avviamento) nel 1992 – anno della cessione a cui fare riferimento per l’attribuzione del valore -rispetto alla media degli anni precedenti. Da ultimo, in un’ottica
probatoria occorre infine osservare come le parti, in fase amministrativa. non abbiano neppure risposto alle richieste di spiegazione rivolte loro dallo stesso Ufficio con il questionario (circostanza, questa, della quale veniva dato atto nella motivazione dell’atto impositivo) e, inoltre e come detto, neanche in sede contenziosa la società ha indicato metodi o importi alternativi e, infine, se anche lo avesse fatto in questa sede, non avendo risposto al questionario, tali – tardive eccezioni sarebbero state da considerare comunque circostanze soggettive non potute conoscere dall’Uff icio e non adducibili in sede contenziosa, principio, questo, più volte espresso dalla Suprema Corte di Cassazione la quale, in particolare, con la sentenza n. 1286 del 2004 ha avuto modo di osservare come la mancanza di (idonea) contestazione in sede di verifica (o di contraddittorio pre-accertamento delle riprese effettuate dall’Amministrazione “equivale sostanzialmente ad accettazione delle stesse e dei loro risultati’, cosicché la sentenza impugnata, anche sotto tale ultimo profilo, risulta carente ed errata. Alla luce di quanto esposto consegue, con lapalissiana evidenza, che la sentenza di prime cure deve essere integralmente riformata, essendo fondata su errato assunto di fatto (ovvero la non coincidenza del volume d’affari del ramo ceduto rispetto al volume d’affari dell’intera impresa); assunto di fatto, peraltro, che era stato meramente asserito e non provato dalla ricorrente (sulla quale, come visto, grava l’onere della prova) né in fase amministrativa né contenziosa, con la conseguente necessità di dichiarare per l’effetto legittimo l’atto impositivo in oggetto ».
2.1 Il motivo è infondato.
2.2 Premesso che il mezzo riporta la trascrizione integrale dei motivi di appello su cui il giudice di secondo grado avrebbe
omesso di pronunciarsi (in ossequio al canone dell’autosufficienza), ciò non di meno la sentenza impugnata si è puntualmente confrontata con le censure mosse dal contribuente alla decisione di prime cure, avendo fondato il proprio convincimento sull’inadeguatezza del criterio estimativo proposto dall’amministrazione finanziaria a supporto dell’atto impositivo.
A suo dire: « I criteri del sistema del calcolo sommario, richiamati nell’atto impositivo, fondato ”sulla capitalizzazione per tre del reddito medio annuo pari al volume di affari dichiarato negli ultimi cinque anni ai fini dell’imposta I VA’ sono elementi sufficienti solamente ai fini della motivazione della rettifica. Una volta che il ricorrente ha contestato l’avviso di accertamento, i riferimenti effettuati nell’atto impositivo necessitano di un supporto probatorio che dimostri l’idoneità degli stessi e la correttezza delle determinazioni sugli stessi basati. L’Ufficio avrebbe potuto, anche in assenza di contabilità separata acquisire con ‘mirata verifica’ la documentazione aggiuntiva attestante il volume di affari e relativi ricavi prodotti dal ramo di azienda ceduto. II descritto provvedimento sillogistico, adottato dall’Agenzia delle Entrate, non appare adeguato, nella fattispecie concreta, ad individuare la reale redditività del ramo d’azienda ceduto per come risulta dal rogito notarile, e sulla base di essa, la determinazione dell’avviamento commerciale. L’Ufficio, quindi, ha utilizzato per la valutazione un metodo prospettico fondato su parametri del tutto empirici, determinando automaticamente e acriticamente l’ avviamento, adottando metodi di calcolo non calibrati sulla situazione concreta e senza alcuna motivazione e limitandosi ad un mero esercizio matematico dell’intera attività aziendale. Anche in questa sede, dimostra con le proprie controdeduzioni
di non aver preso in considerazione i documenti prodotti da contribuente e, in particolare, il mod. IVA 11 quater da cui risulta l’esercizio di più attività in più luoghi e la documentazione contabile a supporto nonché l’estratto registro dei corrispettivi autenticato da notaio dal quale è dato evincere che NOME NOME manteneva contabilità separata del ramo di azienda ceduto con attività in INDIRIZZO di Cosenza. Tanto premesso si osserva che, nel caso di specie, la sussistenza degli elementi preesistenti all’atto di vendita e idonei a determinare il quantum di maggior valore dovuto avviamento che fa capo al ramo dell’attività dell’azienda nel momento in cui il contribuente ha stipulato il contratto di cessione di una sola parte della propria attività, non può rende legittima la valutazione operata dall’Ufficio. L’Agenzia delle Entrate, nelle proprie difese, opponendo il generico richiamo ai criteri del già citato calcolo sommario fondato ‘sulla capitalizzazione del reddito medio annuo pari al volume di affari dichiarato negli ultimi cinque anni ai fini dell’imposta IVA” ha di fatto confermato che, nella determinazione del maggior avviamento, ha preso in considerazione, in maniera errata, il volume di affari dell’intera azienda e non quello del ramo aziendale ceduto. Nel caso di specie, quindi, nessuna valida argomentazione è stata posta dall’Ufficio per la conferma del proprio operato, né in questa sede ha portato elementi nuovi tali da poter far riformare la decisione dei primi giudici ».
2.3 Secondo l’insegnamento di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice di appello, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata
comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 novembre 2021, n. 35965; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8293; Cass., Sez. 5^, 24 marzo 2022, n. 9541; Cass., Sez. 5^, 31 maggio 2022, n. 17482; Cass., Sez. Trib., 11 agosto 2023, n. 24547; Cass., Sez. Trib., 10 giugno 2024, n. 16110; Cass., Sez. Trib., 13 novembre 2024, n. 29349).
E tale è l’ipotesi in concreto ravvisabile, giacché la disamina da parte del giudice del gravame, nel merito, dei motivi di appello, rappresenta un incedere argomentativo che presuppone logicamente e giuridicamente, l’infondatezza delle doglianze poste a base della impugnazione stessa (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., Sez. 2^, 13 agosto 2018, n.20718; Cass., Sez. 6^-1, 4 giugno 2019, n. 15255; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2020, n. 27850; Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2021, n. 25795; Cass., Sez. 5^, 19 novembre 2021, n. 35640; Cass., Sez. 5^, 12 gennaio 2022, n. 731; Cass., Sez. Trib., 11 agosto 2023, n. 24547; Cass., Sez. Trib., 8 maggio 2024, n. 12550).
2.4 Nella specie, come si è detto, la sentenza impugnata si è complessivamente pronunciata sulle doglianze poste a base dell’appello. Difatti, le ragioni poste dall’amministrazione finanziaria a sostegno del gravame attengono alla difesa, sotto diversi profili, del criterio prescelto per la stima del valore di avviamento del ramo aziendale, sulla cui inadeguatezza il giudice di appello si è ampiamente soffermato nella
motivazione della sentenza impugnata. Per cui, il vizio di omessa pronunzia non è in alcun modo ravvisabile.
D’altra parte, secondo l’insegnamento costante di questa Corte, la valutazione dell’avviamento è frutto di un giudizio estimativo rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 5^, 13 gennaio 2006, n. 613; Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2014, n. 9149; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2018, n. 25515; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, nn. 16662 e 16663; Cass., Sez. 5^, 24 marzo 2022, n. 9541; Cass., Sez. Trib., 14 giugno 2024, n. 16655), precisandosi che, ai fini dell’applicazione dell’art. 51, comma 4, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, riguardante il controllo dell’ufficio finanziario sugli atti aventi ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, l’esistenza di un valore di avviamento dell’azienda costituisce oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito ed immune dal sindacato di legittimità, se adeguatamente motivato (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 gennaio 2006, n. 613; Cass., Sez. 6^-5, 12 dicembre 2011, n. 26550; Cass., Sez. 5^, 6 maggio 2015, n. 9075; ; Cass., Sez. 5^, 4 novembre 2015, n. 22498; Cass., Sez. 5^, 8 luglio 2016, n. 13957; Cass., Sez. 5^, 13 giugno 2018, n. 15485; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2018, n. 25515; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, nn. 16662 e 16663; Cass., Sez. 5^, 24 marzo 2022, n. 9541; Cass., Sez. Trib., 14 giugno 2024, n. 16655).
Per cui, l’art. 51, comma 4, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, non impone l’adozione privilegiata di alcun metodo valutativo ai fini della determinazione del valore complessivo di un ramo aziendale, che, quindi, deve essere individuato secondo uno dei criteri metodologici previsti e generalmente accettati nella
prassi aziendalistica, tutti aventi in astratto pari dignità ai fini specifici (Cass., Sez. 5^, 6 maggio 2015, n. 9075; Cass., Sez. 5^, 24 marzo 2022, n. 9541; Cass., Sez. 1^, 14 maggio 2024, n. 13290).
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione de ll’art. 59, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente disposto dal giudice di secondo grado l’annullamento puro e semplice dell’atto impositivo, « ritenendo congruo automaticamente il valore dell’avviamento dichiarato dalla parte privata ». Laddove, a suo dire, « la CTR, nel non considerare congrua la ricostruzione del valore di avviamento operata dall’Ufficio, ha fatto derivare l’illegittimità dell’intero avviso di accertamento, avendo invece l’obbligo di formulare un adeguato giudizio estimativo, atteso che il giudizio tributario non si limita ai soli profili di legittimità dell’atto impugnato, ma si estende anche al merito del rapporto ».
3.1 Il motivo è fondato.
3.2 È principio consolidato di questa Corte che il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti
dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di acquisire aliunde i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 luglio 2012, n. 11935; Cass., Sez. 5^, 7 settembre 2018, n. 21851; Cass., Sez. 6^-5, 25 giugno 2020, n. 12597; Cass., Sez. 5^, 18 giugno 2021, n. 17485; Cass., Sez. 6^-5, 6 settembre 2022, n. 26191; Cass., Sez. Trib., 11 maggio 2023, n. 12834; Cass., Sez. Trib., 11 luglio 2024, n. 19208).
3.3 Nella specie, dopo aver messo in risalto le criticità del metodo estimativo dell’amministrazione finanziaria in relazione al riferimento complessivo alle attività svolte dal contribuente, con l’indistinta considerazione della redditività registrata nell’ultimo quinquennio sia per il ramo aziendale ceduto (vendita di abbigliamento) che per il ramo aziendale conservato, il giudice di secondo grado è pervenuto tout court al rigetto dell’appello ed alla conferma dell’annullamento dell’atto impositivo sul rilievo conclusivo che « nessuna valida argomentazione è stata posta dall’Ufficio per la conferma del proprio operato, né in questa sede ha portato elementi nuovi tali da poter far riformare la decisione dei primi giudici ».
Tuttavia, così facendo, la sentenza impugnata si è astenuta da ogni decisione nel merito, nonostante l’espressa indicazione delle risultanze documentali di cui si sarebbe dovuto tener conto nella revisione di stima del ramo aziendale ceduto. Si legge, infatti, in motivazione che l’Agenzia delle Entrate « dimostra con le proprie controdeduzioni di non aver preso in considerazione i documenti prodotti dal contribuente e, in particolare il mod. IVA 11 quater da cui risulta l’esercizio di più attività in più luoghi e la documentazione contabile a supporto nonché l’estratto del registro dei corrispettivi autenticato da
notaio dal quale è dato evincere che NOME manteneva contabilità separata del ramo di azienda ceduto con attività in INDIRIZZO di Cosenza », desumendone che « la sussistenza degli elementi preesistenti all’atto di vendita e idonei a determinare il quantum di maggior valore dovuto avviamento che fa capo al ramo dell’attività dell’azienda nel momento in cui il contribuente ha stipulato il contratto di cessione di una sola parte della propria attività, non può rende legittima la valutazione operata dall’Ufficio ».
3.4 In tal modo, si conferma che il giudice di appello ha adottato una decisione inidonea ad assolvere la sua funzione di cognizione piena nel merito della pretesa impositiva. Difatti, per costante insegnamento di questa Corte, il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’atto impositivo per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 19 novembre 2014, n. 24611; Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2018, n. 27574; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2019, n. 31599; Cass., Sez. 5^, 2 ottobre 2020, n. 21072; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3427; Cass., Sez. 5^, 18 giugno 2021, n. 17485; Cass., Sez. 5^, 29 luglio 2021, n. 21681; Cass., Sez. 5^, 15 luglio 2022, n. 22326; Cass., Sez. Trib., 13 luglio 2023, n. 20185; Cass., Sez. Trib., 18 ottobre 2024, n. 27098). In quest’ottica, ove il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale (e non anche
l’assoluta nullità dell’atto), non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo che la rappresenta, ma è tenuto a quantificare la corretta pretesa dell’amministrazione finanziaria, sia pure entro i limiti tracciati dai petita delle parti (Cass., Sez. 5^, 28 novembre 2014, n. 25317; Cass., Sez. 5^, 9 ottobre 2020, n. 21820; Cass., Sez. 5^, 25 novembre 2020, n. 26795; Cass., Sez. Trib., 30 novembre 2023, n. 33431).
4. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del secondo motivo e l’infondatezza del primo motivo, il ricorso può essere accolto entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a, della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 28 novembre