Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26274 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 26274 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 27/09/2025
ICI IMU Accertamento
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13417/2017 R.G. proposto da COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL e dall’avvocato NOME COGNOME ( CODICE_FISCALE; avv.EMAIL);
-ricorrenti –
contro
Roma Capitale (02438750586), in persona del suo Sindaco p.t. , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAILcomuneEMAILromaEMAIL) e dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAILcomuneEMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza n. 7205/12/16, depositata il 23 novembre 2016, della Commissione tributaria regionale del Lazio; Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 10 giugno 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME udito, per parti ricorrenti, l’avvocato NOME COGNOME anche in sostituzione del l’avvocato NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che la
Corte accolga il primo motivo di ricorso, assorbiti i residui motivi.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 7205/12/16, depositata il 23 novembre 2016, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto, per quanto di ragione, l’appello proposto da Roma Capitale, così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di un avviso di accertamento che recava la ripresa a tassazione dell’ICI dovuta dal contrib uente COGNOME NOME per l’anno 2007, ed i n relazione al possesso di un’area fabbricabile.
1.1 -A fondamento del decisum , il giudice del gravame ha considerato che:
-andava disattesa l’eccezione di nullità dell’appello per omessa indicazione delle parti appellate -in quanto la relativa indicazione quali «eredi di COGNOME NOME non era tale … da determinare assoluta incertezza sull’identità delle parti appellate, poiché queste si erano costituite in primo grado con un unico contestuale atto, eleggendo domicilio presso lo stesso difensore. Le parti appellate si sono inoltre costituite nel giudiz io d’appello, e ciò supera ogni incertezza circa la loro identificazione.»;
-condivisibile doveva ritenersi l’accertamento di valore operato dall’Ente in relazione all’area edificabile valore che era stato attualizzato al periodo di imposta in contestazione e desunto da due consulenze di parte che concordemente avevano indicato le potenzialità edificatoria dell’area atteso che, a detti fini, rilevava la qualificazione dell’area desunta dallo strumento generale di pianificazione, indipendentemente dalla sua approvazione e dall’adozione di strumenti attuativi e che corretto appariva «il ragionamento dell’ufficio, che, facendo leva su una perizia di stima proveniente dalla stessa parte contribuente, sia pure redatta ad altri fini, ne ha riscontrato la correttezza dal punto di vista dei criteri utilizzati, rilevando che l’individuazione del valore al metro cubo (in base al quale è stato desunto il valore incidente del terreno) era stato determinato sulla base dei dati OMI dell’Agenzia delle Entrate considerati particolarmente attendibili ai fini della stima dei valori degli immobili ai fini fiscali.»;
la pronuncia di primo grado andava, peraltro, confermata quanto alle sanzioni irrogate nei confronti del contribuente e non applicabili agli eredi.
– COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di sette motivi, ed hanno depositato memoria.
Roma Capitale resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, deducendo i ricorrenti -i quali assumono di aver eccepito l’inammissibilità dell’appello piuttosto che la sua nullità (art. 53, comma 1, cit.) che
erroneamente il giudice del gravame aveva rilevato l’insussistenza di un’assoluta incertezza sull’identità delle parti appellate e, ad ogni modo, la sanatoria del vizio in ragione della costituzione in giudizio di essi esponenti, atteso che -a seguito del decesso del contribuente -gli eredi si erano tutti tempestivamente costituiti nel primo grado di giudizio così che l’appello avrebbe dovuto prop orsi nei loro confronti, con specifica e nominativa indicazione di ciascun erede costituito (e appellato), lad dove l’appello era stato proposto nei confronti degli «eredi di COGNOME NOME».
1.1 – Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sull’eccezione di inesistenza della notifica dell’atto di appello, notifica che era stata eseguita come poteva desumersi dalla relativa relata -impersonalmente e collettivamente nei confronti degli eredi, e presso il domicilio eletto dal de cuius .
-I due motivi -che vanno congiuntamente esaminati siccome connessi -sono destituiti di fondamento.
2.1 -Va premesso che, secondo il qui condiviso orientamento interpretativo della Corte, la disposizione di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 53, – riproduttiva di analoga disciplina afferente al ricorso di primo grado nel rito tributario (art. 18, c. 4), ed alla cui stregua il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerta l’indicazione di alcuni elementi dell’atto (quali: la commissione tributaria a cui è diretto il ricorso; l’appellante e le altre parti nei cui confronti l’appello è proposto; gli estremi della sentenza impugnata; l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione), -alla stregua di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni che limitano l’accesso alla giustizia, prevedendo decadenze o preclusioni, deve essere
interpretata restrittivamente, quale disposizione di natura eccezionale (art. 14 preleggi; v. Cass., 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., 15 gennaio 2019, n. 707).
Si è, pertanto, rilevato, con riferimento all’incertezza cd. soggettiva, che «non è richiesta alcuna forma speciale, essendo sufficiente che le parti medesime, pur non indicate o erroneamente indicate nell’epigrafe del ricorso o nell’esposizione dei motivi di impugnazione, siano con certezza ed in modo chiaro e inequivoco identificabili dal contesto del ricorso stesso, dalla sentenza impugnata ovvero da atti delle pregresse fasi del giudizio, sicché l’inammissibilità del ricorso è determinata soltanto dall’incertezza assoluta che residui in esito all’esame di tali atti.» (così Cass., 12 novembre 2021, n. 33967; Cass., 7 novembre 2017, n. 26313; Cass., 18 maggio 2009, n. 11475).
Ad analoghe conclusioni, del resto, la Corte è pervenuta in tema di ricorso per cassazione , essendosi ripetutamente rimarcato che l’erronea indicazione della parte nel cui interesse, o nei cui confronti, il ricorso per cassazione sia stato proposto non ne determina la nullità ovvero l’inammissibilità ove, dalla lettura complessiva dell’atto, emerga chiaramente la riferibilità alla parte interessata, e ove, in ogni caso, l’atto abbia raggiunto il suo scopo, consentendo alla controparte di difendersi adeguatamente nel merito (v. Cass., 19 ottobre 2018, n. 26489; Cass., 6 febbraio 2018, n. 2827; Cass. 11 giugno 2007, n. 13620; per il rilievo dei riferimenti, contenuti nel ricorso, agli atti dei precedenti giudizi v., altresì, Cass., 11 febbraio 1994, n. 1389 cui adde Cass., 2 febbraio 2016, n. 1989).
2.2 – Nella fattispecie, pertanto, -ed in ragione dello stesso contenuto della sentenza impugnata che, per l’appunto, dava conto
della costituzione in giudizio degli eredi del contribuente – era indubbio che l’impugnazione della sentenza di primo grado recava, sia pur per relationem , l’indicazione nominativa degli eredi costituitisi in giudizio nei cui confronti, quali parti formali e sostanziali del giudizio stesso, l’impugnazione risultava diretta.
Né va trascurato di considerare, per un verso, che la stessa notifica dell’impugnazione indirizzata agli «Eredi di COGNOME NOME c/o rag. NOME COGNOME» – veniva eseguita presso il difensore domiciliatario (coincidente con quello già designato dall’originario ricorrente) e, per il restante, che -come reso esplicito dagli stessi fatti di causa in ricorso riassunti -le parti appellate si costituivano ritualmente in giudizio, così svolgendo compiute difese e, per di più, articolando motivi di appello incidentale.
Laddove, allora, esclusa l’inammissibilità dell’atto di appello ogni ipotetico vizio di nullità rimaneva esso stesso suscettibile di sanatoria con efficacia ex tunc , per raggiungimento dello scopo dell’atto (se non a seguito della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.; cfr. Cass. Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916).
3. -Il sesto motivo di ricorso -il cui esame va anteposto in ragione della pregiudizialità logico giuridica della censura che vi è sottesa -espone, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la denuncia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. assumendo i ricorrenti che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sull’eccezione di nullità per difetto di motivazione dell’atto impositivo il quale non recava alcuna individuazione del cd. coefficiente di attualizzazione applicato dall’amministrazione la quale, sulla base della perizia giurata formata in relazione alla disciplina dell’imposta sostitutiva di cui alla l. 28 dicembre 2001, n. 448, artt. 5 e 7, aveva
rideterminato (in € 5.062.500,00, per l’appunto attualizzandolo al 2007) il valore esposto in detta perizia del 2008 (in € 5.250.000,00) né i relativi criteri di determinazione (se non dietro generico riferimento a dati desunti dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare); e, per di più, faceva riferimento ad una «stima analitica effettuata dall’Ufficio» (non allegata all’atto) che risultava coerente con i cennati dati OMI.
-Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.
4.1 -Va premesso che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necess ario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962).
4.2 -La Corte, difatti, ha ripetutamente rilevato (proprio in tema di ICI) che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto laddove il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali – e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta, – a tal fine rilevando la puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, e l’indicazione dei fatti astrattamente giustificat ivi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, rimanendo, quindi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (v., tra le tante,
Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571; e, ancora di recente, Cass., 9 ottobre 2024, n. 26336).
E’, dunque, nella prospettiva di detto costante orientamento interpretativo che emerge l’infondatezza dell’articolata censura che, per un verso, non disconosce -ed anzi presuppone -un accertamento di valore che è stato operato sulla ridetta perizia di stima (formata in relazione al règime della cennata imposta sostitutiva, ed alla tassazione di plusvalenze) e dà, poi, conto degli stessi estremi di valore cui si è correlata l’operata attualizzazione (al 2007) di una stima del 2008; così che la censura -anche prospettando l’utilizzo (in tesi) improprio dei dati OMI -nell’attingere la idoneità di mostrativa (e la concludenza probatoria) dei dati così utilizzati finisce col devolvere al requisito di forma della motivazione dell’atto il profilo relativo al riscontro probatorio della stima che ne risulta posta a fondamento.
5. -Col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano violazione del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5, assumendo che l’accertamento di valore dell’area edificabile era stato operato senza tener conto dei criteri normativi predeterminati dall’art. 5, comma 5, cit., e sulla base oltreché di un (inespresso) coefficiente di attualizzazione – di una perizia di stima che -formata in relazione all’imposta sostitutiva prevista dal d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2, comma 2, conv. in l. 21 febbraio 2003, n. 27 -teneva conto del valore del terreno come suscettibile di edificazione sulla base degli strumenti attuativi, della convenzione di urbanizzazione e della concessione edilizia.
Così che, in difetto di una immediata suscettibilità edificatoria, il giudice del gravame avrebbe dovuto tener conto di altra consulenza di
stima che, pur prodotta in giudizio, dava conto del (ben più basso) valore dell’area (quantificato in € 1.540.450,00).
5.1 -Il quarto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ripropone la denuncia di violazione del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5, questa volta con riferimento alla valorizzazione dei dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) assumendo i ricorrenti che illegittimamente il giudice del gravame aveva fondato il riscontro della rettifica di valore in detti dati che diversamente debbono ritenersi inutilizzabili per l’accertamento predicato dall’art. 5, comma 5, cit.
5.2 -Col quinto motivo, e sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione al d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248 deducendo, in sintesi, che erroneamente il giudice del gravame aveva arrestato il suo accertamento alla verifica della suscettibilità edificatoria dell’area, secondo il piano regolatore generale, con ciò senza considerare che, nella determinazione della base imponibile, doveva tenersi conto della maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie del terreno e (così) dei «prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.», rilevando, nella fattispecie, che seppur approvato un piano particolareggiato difettavano (ancora) tanto la convenzione urbanistica quanto lo stesso permesso di costruire.
-Anche questi motivi -che vanno congiuntamente esaminati siccome connessi e che pur prospettano profili di inammissibilità -non possono trovare accoglimento.
6.1 -La Corte ha già avuto modo di rilevare -e proprio a riguardo di una perizia di stima formata in relazione all’ imposta sostitutiva di cui l. 28 dicembre 2001, n. 448, artt. 5 e 7 (il d.l. n.282 del 2002, art. 2, comma 2, così come i successivi provvedimenti normativi, null’altro
disponendo se non una estensione temporale del règime in questione) -che -tenuto conto della «sostanziale equivalenza del termine “valore” (di cui alla L. n. 448 del 2001, art. 7) a quello di “valore in comune commercio” di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5» -il valore imponibile delle aree edificabili, a fini ICI, pur dovendo essere determinato in base ai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 504, può essere desunto da una perizia giurata di stima, ancorché prodotta ex art. 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, per la determinazione delle plusvalenze in tema di imposta sui redditi delle persone fisiche, purché faccia applicazione dei medesimi criteri indicati nel citato art. 5 (Cass., 27 febbraio 2015, n. 4093).
E detto principio diritto è stato dalla Corte ribadito (anche) in controversia che, relativamente all’ICI dovuta per l’anno 2004, è intercorsa tra le odierne parti in causa (v. Cass., 6 marzo 2019, n. 6502 che, per l’appunto, ha rigettato il ricorso proposto avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale del Lazio espressamente richiamata dalla stessa pronuncia ora in contestazione).
6.2 -Nel censurare, pertanto, la violazione della disposizione di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5, i ricorrenti non danno alcun conto e degli specifici contenuti della perizia di stima che è stata posta a fondamento del decisum e dello stesso criterio (o degli stessi criteri) che (in tesi) sarebbero rimasti inosservati nella fattispecie; così che la censura di violazione di legge si risolve nella mera riproposizione di argomenti probatori che non recano alcuna specifica censura sui dati fattuali in concreto valorizzati dal giudice del gravame (attraverso il medium della ridetta perizia di stima).
Né, per come inequivocamente emerge dalla gravata sentenza, la valorizzazione dei dati OMI ha fondato l’accertamento di valore che (diversamente) è stato desunto, per l’appunto, dalla perizia di stima
utilizzata dal contribuente per il versamento della ridetta imposta sostitutiva; valore che, pertanto, è stato sottoposto (solo) a riscontro di coerenza con i dati in questione.
L’inespresso contenuto della perizia di stima e la stessa anomia di contenuto delle censure di violazione di legge -dà, poi, conto della inconcludenza (anche) del quinto motivo di ricorso che, ancora una volta, si risolve nella mera riproposizione di deduzioni di parte circa l’accertamento di valore dell’area edificabile, e senz’alcuna allegazione di fatti decisivi dal cui esame avrebbe potuto conseguire un diverso esito del giudizio.
– Il settimo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, comma 2sexies , e del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, deducendo i ricorrenti che -tenuto conto della difesa assunta, nei gradi di merito, da funzionario di Roma Capitale e delle fasi suscettibili di liquidazione per le spese -illegittimamente il giudice del gravame aveva liquidato le spese del doppio grado di giudizio in € 4.000,00 per il primo grado ed in € 5.000,00 per l’appello [a fronte d ell’importo medio spettante (per le tre fasi di studio, introduttiva e decisionale ) in € 4.260,00.
8. -Il motivo è destituito di fondamento.
8.1 – Innanzitutto, va rimarcato, la Corte ha avuto modo di precisare che, anche in difetto di trattazione in pubblica udienza (così come si deduce nel motivo di ricorso per il primo grado di giudizio), deve ritenersi spettante la liquidazione delle spese per la fase decisionale atteso che il d.m. n. 55 del 2014, cit., art. 4, comma 5, lett. d ), include in detta fase un’ampia serie di attività, tra cui l’esame del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie
al cancelliere (Cass., 20 febbraio 2023, n. 5289; Cass., 5 novembre 2021, n. 32219).
Del pari, si è rilevato che la trattazione del processo, anche in assenza di istruzione probatoria, legittima il diritto al compenso della relativa fase (Cass., 16 novembre 2021, n. 34575; Cass., 26 maggio 2021, n. 14483; Cass., 2 ottobre 2020, n. 20993; Cass., 27 agosto 2019, n. 21743), posto che l’art. 4, comma 5, lett. c ), include nella fase cd. istruttoria, anche «l’esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione … l’esame delle deduzioni dei consulenti d’ufficio o delle altre parti».
8.2 – I parametri medi previsti dal d.m. n. 55 del 2014 ( ratione temporis ) esponevano (per controversia del valore di € 45.000,00, come si assume in motivo di ricorso, e con riferimento alle fasi di studio, introduttiva, istruttoria/trattazione e decisionale) un compenso medio (comprensivo della riduzione del 20% prevista dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, comma 2bis , poi comma 2sexies ) pari, quanto al primo grado di giudizio , ad € 4.424,00 e, quanto al secondo grado di giudizio, ad € 5.340,00.
Laddove è, pertanto, evidente che la censurata liquidazione delle spese si è astretta, quanto al primo ed al secondo grado di giudizio, ad un importo sinanche inferiore al valore medio dei compensi.
8.3 -Ad ogni modo, va rimarcato in termini assorbenti, la Corte ha in più occasioni statuito che il giudice non è gravato di uno specifico onere di motivazione sull’entità della liquidazione purché questa si mantenga tra il minimo ed il massimo di tariffa nonchè che detti minimi e massimi di cui al d.m. n. 55 del 2014, cit., si determinano applicando ai parametri medi fissati nelle tabelle allegate al decreto le percentuali di scostamento, in più o in meno, previste dall’art. 4, comma 1, di tale decreto; così che l’esercizio del potere discrezionale del giudice,
contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di ulteriormente aumentare o diminuire gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (v., ex plurimis , Cass., 20 dicembre 2024, n. 33642; Cass., 13 luglio 2021, n. 19989; Cass., 7 gennaio 2021, n. 89; Cass., 15 dicembre 2017, n. 30286).
E, secondo la stessa prospettazione di cui al ricorso, – tenuto conto, peraltro, che la proposizione dell’appello implicava (anche), come necessario, l’esame della sentenza impugnata gli importi liquidati non si pongono al di sopra dei valori medi suscettibili dell’ordinaria maggiorazione di cui al d.m. n. 55/2014, cit., art. 4, comma 1.
– Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parti ricorrenti nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 giugno 2025. Il Presidente dott. NOME COGNOME
Il Consigliere estensore
dott. NOME COGNOME