Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24286 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24286 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2024
di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla illegittimità degli avvisi per violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 5, del D.Lgs. 504/92 e 53 Cost.» (v. pagine nn. 34 e 35 del ricorso), assumendo che il Giudice regionale non aveva esaminato la doglianza concernente la volumetria edificabile del terreno e, quindi, l’effettiva potenzialità edificatoria dell’area, tema questo che era stato riproposto in sede di appello perché non esaminato dal primo Giudice e completamente ignorato dalla Commissione regionale.
Con la terza doglianza l’istante ha lamentato, sempre con riferimento al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod., proc. civ., l’«omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla illegittimità degli avvisi per violazione e falsa applicazione del comma 162 dell’art. 1. L. 27 dicembre 2006, n. 296 e dell’art. 13, comma 1, del D.Lgs 472/1997 per quanto concerne validità ed efficacia del ravvedimento operoso presentato dalla ricorrente» (v. pagine nn. 38 e 39 del ricorso), lamentando che nessuna verifica era svolta dal Giudice regionale sulla dedotta circostanza dell’attivazione da parte della contribuente di tale procedura (ravvedimento operoso) per gli anni in esame, non appena venuta occasionalmente a conoscenza dell’indice di fabbricabilità attributo al terreno, determinando il valore dell’area nella somma di 58.689,00 € (1.378 mq. x 43,00 €/mq) e provvedendo quindi, in sede di ravvedimento, al versamento dell’imposta, con la conseguenza che il Comune, « non ritenendo l’imposta versata congrua con il valore venale ad essa attribuito, avrebbe potuto accertare solo l’eventuale insufficiente versamento nel termine di 5 anni dal pagamento (con il 2009 dunque decaduto)» (v. pagina n. 40 del ricorso).
Con la quarta ragione di contestazione la ricorrente ha denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 10, comma 1, e 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 circa la violazione del principio del diritto al contraddittorio endo-procedimentale, considerandolo un principio immanente dell’ordinamento perchè funzionale ad un compiuto esercizio del diritto di difesa.
Il ricorso risulta fondato solo in relazione al suo secondo (nel quale confluiscono le ragioni di parte del primo motivo) e terzo motivo
La prima doglianza si rivela complessivamente infondata; solo l’esame di parte di essa (segnatamente quella relativa alla violazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504), resta, invece,
assorbita nelle valutazioni che seguono in relazione al secondo ed al terzo motivo di ricorso.
6.1. La censura non è fondata nella parte in cui si è lamentata la violazione dell’art. 2697 cod. civ e dell’art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
6.1.a. Sul piano dei principi, va rammentato che « in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni », fermo restando il potere del giudice, nella valutazione delle prove proposte dalle parti, di attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (così, tra le tante, Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI-II, 23 ottobre 2018, n. 26769 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 cit. ed anche Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. VI/V, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. VI/V, 28 ottobre 2021, n. 30535; Cass., Sez. T., 7 aprile 2023, n. 9529).
La Commissione tributaria regionale non ha sovvertito il criterio di riparto dell’onere probatorio, avendo, piuttosto, ritenuto congruo il valore venale attribuito al bene dal Comune, siccome reputato giustificato, in base al criterio comparativo, dal corrispondente valore di terreni aventi analoghe caratteristiche risultanti dagli atti comparativamente esaminati, negando eguale e contrario valore dimostrativo agli atti prodotti dalla ricorrente, con ciò, quindi, avendo il Giudice d’appello considerato assolto, nel rispetto della regola imposta dall’art. 2697 cod. civ., il relativo onere probatorio.
6.1.b. In tal modo la Commissione non ha ravvisato – implicitamente, quanto chiaramente – la necessità di attivare i poteri istruttori di cui all’art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Ciò vale rendere infondata anche la dedotta violazione di tale ultima disposizione, giacchè nel processo tributario la «consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (vedi Cass. n. 15219 del 2007 e n. 9461 del 2010). Ne consegue che la scelta di disporre una CTU per accertare il fatto controverso della stima del valore di un bene e della sua superficie ai fini della determinazione della rendita catastale può risultare corretta ed opportuna, specie in situazioni che implicano valutazioni complesse e controverse, ma, in quanto frutto di una valutazione discrezionale e non obbligatoria, non è censurabile in sede di legittimità se motivata, anche solo con motivazione implicitamente desumibile» (così Cass., Sez. T., 9 ottobre 2019, n. 25253).
6.2. Non ricorre nemmeno il vizio di difetto di motivazione degli avvisi.
Da quel che risulta dall’estratto di tali atti contenuto nel ricorso (v. pagine nn. 17 e 18 del ricorso) si apprende che in essi veniva precisato che il valore venale di 110,00 € era stato determinato in base ai prezzi rilevati sul mercato dalla vendita di terreni di terreni ricadenti in aree aventi la medesima destinazione urbanistica, elencando 12 rogiti notarili in relazione ai quali si indicavano quelli di maggiore o minore pregio commerciale, considerando lo scarto temporale tra le compravendite ed il periodo d’imposta interessato, nonché la circostanza che il lotto era collegato con la pubblica via mediante servizio di passaggio già costituita su altri fondi limitrofi.
Ebbene, tali valutazioni possono essere condivise o meno, ma di certo rappresentano l’ iter -logico giuridico elaborato dall’ente per giungere alla stima del bene, ponendo la contribuente nelle condizioni di aver ben compreso le ragioni della pretesa, tanto da impugnarla con una diffusa e
minuziosa difesa su tutti gli elementi rappresentati nell’atto, il che vale ad escludere la sussistenza del dedotto deficit motivazionale.
Vero è, piuttosto, che nel motivo di ricorso si confonde la motivazione dell’avviso (sussistente, come sopra esposto) con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, senza considerare che «La motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa» (Sez. 5 – Ordinanza n. 4639 del 21/02/2020)» (così Cass., Sez. T., 14 maggio 2024, n. 13305).
6.3. L’esame della parte del motivo con cui è stata contestata la violazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 546, resta, come sopra anticipato, assorbita nelle valutazioni che seguono in relazione al secondo ed al terzo motivo di ricorso.
Il secondo motivo ed il terzo motivo, volti a lamentare (il secondo) l’omesso esame dell’illegittimità degli avvisi in ragione della compromessa volumetria edificabile dell’area, nonché (il terzo) l’omesso esame sulla circostanza del ravvedimento operoso praticato dall’istante in data 17 giugno 2009 con il versamento delle relative somme dal 2008 al 2011, vanno esaminati congiuntamente, siccome connessi nella censura concernente l’omesso esame.
7.1. Il secondo motivo risulta fondato perché il Giudice regionale non ha esaminato detta circostanza fattuale.
La Commissione ha sul punto operato un riferimento alla questione del « mancato rispetto da parte dei confinanti delle distanze di legge , ritenendo che « la limitazione dell’edificabilità che ne deriva può essere superata con le ordinarie azioni giudiziarie a tutela della proprietà » (v. pagina n. 4 del ricorso), argomento questo che, però, non risulta pertinente al tema sottoposto dalla ricorrente, che, alla luce del contenuto del ricorso, riguardava, non il tema della distanze con
fabbricato limitrofo (che la contribuente assume -senza smentita da parte della difesa del Comune – di non aver mai posto, riguardando tale questione altro giudizio), ma l’incidenza dell’area occupata dal fabbricato di cui alla dichiarazione presentata in data 26 luglio 2005, contraddistinta al catasto fabbricati al foglio 145 particella 13 sub. 2 cat. A/2 cl. 6 di mq. 241 (mc. 723) e, quindi, di tale volumetria già realizzata sull’area oggetto di tassazione (v. pagina n. 36 del ricorso in esame), di cui non vi è alcun cenno nella sentenza impugnata.
Eppure, il tema della superficie già edificata -costituente, ai fini di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., un fatto – con conseguente riduzione della volumetria edificabile residua, risultava introdotta già in primo grado (v., ai fini dell’autosufficienza del motivo, pagina n. 4 del ricorso) e riproposta nel giudizio di secondo grado (v. pagina n. 8 del ricorso), profilo questo che assume valore potenzialmente decisivo sulla determinazione del valore dell’area ai sensi dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 546, in relazione alla concreta edificabilità dell’area.
E ciò, considerando che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il « valore venale in comune commercio alla data del 1° gennaio del relativo anno d’imposizione di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504/1992, deve essere accertato avuto riguardo a ciascuno degli elementi ivi indicati» (così Cass., Sez. VI-T, 10 gennaio 2017, n. 310, che richiama Cass., Sez. V, 19 dicembre 2003, n. 19515; Cass., Sez. V, 15 giugno 2010, n. 14385; Cass., Sez. V, 11 maggio 2012, n. 7297; Cass., Sez. V, 27 febbraio 2015, n. 4093; Cass., Sez. VI/V. 11 marzo 2015, n. 4817; principi questi tutti richiamati da Cass., Sez. T., 31 maggio 2023, n. 15392 e 15379, nonché da Cass., Sez. T, 1° giugno 2023, n. 15533 e 15600; nello stesso senso, Cass., Sez. VI-T, 26 marzo 2021, n. 8614; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24309, che richiama Cass., Sez. V, 30 maggio 2017, n. 13567).
La rinnovata valutazione fattuale che si impone sul punto (verifica della concreta edificabilità dell’area ai fini della determinazione della base imponibile della tassa) nel rispetto delle regole di cui all’art. 5, comma 5,
del d.lgs. n. 504/1992 assorbe -come anticipato l’esame della parte del primo motivo, pure fondato sulla violazione di tale disposizione.
7.2. Del pari, con riferimento al terzo motivo di ricorso, la circostanza del ravvedimento operoso, praticato dall’istante in data 17 giugno 2009 con il versamento delle relative somme dal 2008 al 2011 -altro fatto rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ – era stata posta a base dell’originaria impugnazione al fine di giustificare l’illegittimità degli avvisi (v pagina n. 3 del ricorso), ma era restata assorbita nella valutazione del primo Giudice che aveva ritenuto, a monte, nulli gli avvisi per difetto di motivazione, per essere poi riproposta in sede di appello (v. pagina n. 8 del ricorso), senza che la Commissione l’abbia esaminata.
Si tratta di un fatto decisivo, in quanto ove computato, avrebbe determinato una diversa liquidazione dell’importo dovuto.
Risulta, invece, inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis , primo comma, num. 1, cod. proc. civ., il quarto motivo concernente la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i c.d. ‘tributi armonizzati’, mentre per i c.d. ‘tributi non armonizzati’ occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. VI/V, 31 maggio 2016, nn. 11283, 11284, 11285 e 11286; Cass., Sez. V, 15 marzo 2017, nn. 6757 e 6758; Cass., Sez. VI/V, 7 ottobre 2020, nn. 21616 e 21618; Cass., Sez. V, 1° dicembre 2020, n. 27382; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2021, n. 40482; Cass., Sez. V, 21 dicembre 2021, nn. 41041, 41106, 41110, 41116 e 41119; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2022, n. 366; Cass., Sez. V, 23 maggio 2022, n. 16481),
Per tributi (“non armonizzati”, come l’IRPEF, l’IRAP, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, i tributi locali), l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti c.d. ‘a tavolino’, per
cui non si pone la questione di un’eventuale inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Quindi, in via generale, solo nell’ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’amministrazione finanziaria con decorrenza dalla conclusione delle operazioni di controllo.
La Corte costituzionale, pur rilevando che « la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», ha, nondimeno, osservato che « dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale » (così Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), precisando, quindi, che: «Il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte; comunque la soluzione proposta dal rimettente potrebbe creare disfunzioni nel sistema tributario, imponendo un’unica tipologia partecipativa per tutti gli accertamenti, anche ‘a tavolino’», per poi desumerne che: «Di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti» (Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47).
Nella specie, quindi, esulandosi dal campo dei c.d. ‘tributi armonizzati’ ed essendo stato l’accertamento svolto ‘a tavolino’, in assenza di una specifica previsione della disciplina nazionale e regionale, non può affermarsi l’esistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo, la cui mancanza possa invalidare l’atto impositivo (cfr. su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. T. 3 maggio 2023, n. 11518).
Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va accolto nei termini sopra esposti, il che comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti ed il rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in altra composizione, perchè provveda agli accertamenti indicati sopra esposti, oltre a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, in esso assorbito parte del primo e rigetta la restante parte del primo motivo e dichiara inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in altra composizione, perchè provveda agli accertamenti indicati in parte motiva, oltre a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 giugno 2024.