Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17841 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17841 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6562-2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 5491/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 25/9/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/6/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 18958/2016 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma in rigetto del ricorso proposto avverso avviso di rettifica e liquidazione di imposta di registro relativa alla compravendita, stipulata in data 13.7.2012, di locale, uso negozio, sito in Roma, INDIRIZZO
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso. La ricorrente ha da ultimo depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Preliminarmente va disatteso l’assunto, sviluppato nella memoria della ricorrente, secondo cui il controricorso sarebbe inammissibile per tardività.
1.2. Il ricorso è stato notificato il 2.3.2018, il termine di gg. 20 fissato dall’articolo 369 c.p.c. vigente ratione temporis per il relativo deposito scadeva il 22.3.2018, l’ulteriore termine di gg. 20 fissato dall’articolo 370 c.p.c. vigente ratione temporis per la notifica del controricorso scadeva l’11.4.20 18; donde la tempestività del controricorso, notificato l’ 11.4.2018.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, «violazione di legge -articolo 132 c.p.c. -articolo 360 n. 5 c.p.c. -omesso esame
dell’elemento catastal e di consistenza -il richiamo dell’accertamento» lamentando che la Commissione tributaria regionale, «a fronte della contestazione dell’appellante circa l’utilizzo in primo grado del valore catastale della superficie e non di quello della consistenza, pure specificamente richiamata dall’accertamento, apoditticamente stabiliva che andava utilizzato il valore di superficie».
2.2. La censura è inammissibile.
2.3. Costituisce principio consolidato che, in tema di ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme che si assumono violate non è un requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura, ma solo un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e di identificare i limiti dell’impugnazione, sicché la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della singola doglianza soltanto se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevata (cfr., tra altre, Cass. n. 34190/2022; Cass. n. 21819/2017; Cass. n. 25044/2013; Cass. n. 4233/2012).
2.4. Nel caso di specie, una lettura congiunta della rubrica del motivo (come dianzi trascritta) e del contenuto dello stesso (come dianzi riassunto) non consente di individuare le norme e i principi asseritamente violati e così di superare il vaglio di ammissibilità.
2.5. La doglianza formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., è parimenti inammissibile in quanto carente delle indicazioni prescritte per la deduzione dell’omesso esame del fatto decisivo , non essendo stato indicato il fatto storico che la Commissione tributaria regionale avrebbe mancato di esaminare, ponendosi, in ipotesi, solo una questione di adeguatezza e sufficienza della motivazione, censura che non è più proponibile all’indomani della riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ed inoltre il motivo in parte qua è inammissibile anche perché si verte in ipotesi di doppia conforme ex art. 348ter , comma 5, c.p.c., rispetto alla quale il ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del
rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura ex art. 360, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. nn. 26774/2016, 5528/2014).
2.6. Non ricorre, infine, neppure il dedotto vizio di apparenza della motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., in quanto la motivazione sussiste, è comprensibile e non apparente, e la ricorrente lamenta piuttosto la mancata valorizzazione nella sentenza impugnata di fatti ed argomentazioni affermati dalla parte, da articolare, tuttavia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata (cfr. Cass. n. 26764/2019).
3.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, «violazione di legge e difetto di motivazione -articolo 360 c.p.c. numeri 3 e 5 -d.P.R. n. 131 del 1986 articoli 51 e 52 -legge 212 del 2000 articolo 7 -accertamento e difese in giudizio prive di motivazione -omesso esame delle contestazioni ai valori OMI -» e lamenta difetto di motivazione dell’atto impositivo, in quanto sarebbero stati richiamati unicamente i valori OMI, senza ulteriori elementi a supporto della stima del valore dell’immobile , nonché omesso esame delle «contestazioni … ai valori OMI ed alla inesistenza degli atti similari» da assumere in termini comparativi.
3.2. Le doglianze formulate ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., sono inammissibili sulla scorta delle medesime considerazioni dianzi illustrate.
3.3. Questa Corte, con indirizzo condiviso, ha precisato che in tema di accertamento dei redditi di impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della L. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con
modif., dalla l. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta «anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti»), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti(cfr. Cass. nn. 2155 del 2019, 9474/2017).
3.4. Il principio è applicabile anche all’imposta di registro, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea (cfr. Cass. n. 11439/2018).
3.5. Le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (cfr. Cass. n. 25707/2015).
3.6. Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili del medesimo comune, non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (cfr. Cass. nn. 21813/2018, 11439/2018, 18651/2016).
3.7. Ne consegue che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori OMI non può ritenersi fondato sotto il profilo motivazionale e, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene.
3.8. È dunque onere dell’Amministrazione finanziaria provare, anche in giudizio, l’effettiva sussistenza dei presupposti applicativi del criterio di rettifica indicato nell’avviso di liquidazione (cfr. Cass. n. 6914/2011; Cass.
n. 11560/2016; Cass. n. 11270/2017) e, in tale prospettiva, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Agenzia, non è sufficiente il semplice riferimento ai valori OMI, poiché questi rappresentano, come si è detto, solo valori di massima e non la prova della pretesa erariale (cfr. Cass. n. 14117/2018), dovendosi dare rilievo, ad integrazione, ad ulteriori indizi utili a determinare il valore del bene oggetto di accertamento.
3.9. Gli elementi sui quali fondare la rettifica del valore in comune commercio del cespite devono avere, pertanto, le caratteristiche della precisione, della gravità e della concordanza, non risultando idoneo a tal fine il mero scostamento del prezzo di cessione dai valori normali risultanti dalle quotazioni OMI o di altri listini, ma dovendosi valutare a tal fine, ad esempio, il contratto preliminare, l’importo del mutuo contratto dall’acquirente dei cespiti, la perizia di stima ovvero la destinazione dell’immobile, la sua collocazione, la sua tipologia, la superfice, lo stato di conservazione, l’epoca di costruzione, a condizione che tali criteri di valutazione non siano elencati in modo meramente generico e di stile, onde consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa (cfr. Cass. n. 1961/2018; Cass. n. 2951/2006; Cass. n. 3419/2001), o ancora la rendita catastale moltiplicata e rivalutata, criterio, quest’ultimo, indicato dal legislatore quale discrimine obiettivo ed automatico, su opzione del contribuente, della ammissibilità della suddetta attività accertativa (cfr. Cass. n. 29143/2018).
3.10. Nel caso in esame, la decisione impugnata non è dunque conforme ai principi di diritto dianzi illustrati, in quanto la Commissione Tributaria Regionale non ha riscontrato la sussistenza di ulteriori elementi probatori a supporto della stima UTE basata sui valori, limitandosi ad affermare che i riferimenti OMI, nella fattispecie, costituivano «validi elementi di valutazione, in mancanza di puntuali contestazioni, … per esempio sul ‘non normale stato di conservazione e fruibilità dell’immobile’ » e sulla mancanza di perizie di parte ricorrente, elementi, tuttavia, che non possono costituire, di per sé soli, prova del maggior valore accertato, se non fondate su oggettivi e certi elementi di riscontro.
4.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, «violazione di legge -articoli 112 e 132 c.p.c. -motivazione inesistente -dl 223/2006 -rilievo della dichiarazione delle parti nel rogito -il reato di diffamazione -articoli 185 c.p. e 2059 c.c.» per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto legittima la rettifica di valore dell’immobile effettuata dall’AF senza tenere conto del prezzo pattuito e corrisposto per la vendita.
4.2. Le censure sono infondate.
4.3. 3.3. È dirimente evidenziare infatti che ai sensi dell’art. 51 d.P.R. 26/4/1986 n. 131, relativamente alla base imponibile da assoggettare a tassazione ai fini dell’imposta di registro , si assume, quale «valore dei beni o dei diritti … quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto», con la specificazione che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari nonché aziende o diritti reali su di esse, «si intende per valore il valore venale in comune commercio».
4.4. Al principio di carattere generale, enunciato all’art. 51, comma 1, per i contratti onerosi traslativi o costitutivi di diritti reali, il legislatore, al successivo comma 2, ha dunque posto un’eccezione per l’ipotesi di atti aventi ad oggetto immobili o diritti reali immobiliari nonché aziende o diritti reali su di esse, stabilendo in tal caso doversi assumere come base imponibile il relativo «valore venale in comune commercio», con la conseguente possibilità per l’Ufficio di disattendere il valore dichiarato nell’atto qualora risulti inferiore al predetto valore venale, procedendo all’accertamento di quest’ultimo e ad eventuale rettifica ai sensi del successivo art. 52.
4.5. La norma in questione (art. 51, comma 3) precisa infatti che l’ U fficio «ai fini dell’eventuale rettifica, controlla il valore di cui al comma 1 avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili … nonché ad
ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni».
4.6. Ne consegue che al l’Ufficio è consentito accertare l’effettivo valore venale dell’immobile se superiore al prezzo pattuito e corrisposto dalle parti, non sussistendo alcuna preclusione a verificare la corrispondenza del valore di mercato con il prezzo incassato.
Il ricorso va dunque accolto limitatamente al secondo motivo, respinti i rimanenti motivi, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio per nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da