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Valori OMI: Non bastano per l’accertamento fiscale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17841/2025, ha accolto il ricorso di una società contro l’Agenzia delle Entrate. La Corte ha stabilito che un avviso di rettifica del valore di un immobile ai fini dell’imposta di registro non può basarsi esclusivamente sui valori OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare). Tali valori sono considerati stime di massima e non una prova sufficiente. L’Agenzia ha l’onere di fornire ulteriori elementi probatori, gravi, precisi e concordanti per giustificare un valore superiore a quello dichiarato nell’atto di compravendita. La sentenza è stata cassata con rinvio per un nuovo esame.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valori OMI: Perché non Bastano per l’Accertamento Fiscale

L’accertamento del valore degli immobili ai fini fiscali è un tema cruciale che tocca molti cittadini e imprese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’Agenzia delle Entrate non può rettificare il valore di un immobile basandosi unicamente sui valori OMI. Questa decisione rafforza le tutele per il contribuente, chiarendo i limiti del potere di accertamento del Fisco e l’onere della prova che grava su di esso. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa: La Compravendita e l’Accertamento dell’Agenzia

Il caso ha origine dalla compravendita di un locale commerciale. Una società acquirente dichiarava un determinato corrispettivo nell’atto notarile. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di rettifica e liquidazione, contestando il valore dichiarato e pretendendo il pagamento di una maggiore imposta di registro. La pretesa del Fisco si fondava essenzialmente sullo scostamento tra il prezzo pagato e i valori medi indicati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) per la zona di riferimento.

La società impugnava l’atto impositivo, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione all’Agenzia, ritenendo legittimo l’utilizzo dei dati OMI. La contribuente, non arrendendosi, portava la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte e il Corretto Utilizzo dei Valori OMI

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso principale della società, incentrato proprio sull’illegittimità di un accertamento fondato esclusivamente sui valori OMI. I giudici supremi hanno ribadito un orientamento ormai consolidato: le quotazioni OMI non costituiscono una fonte di prova diretta del valore venale di un immobile.

Essi, infatti, sono idonei a fornire solo “indicazioni di valore di larga massima” e non possono sostituire l’onere dell’Amministrazione Finanziaria di provare la sua pretesa. L’accertamento di un maggior valore deve basarsi su presunzioni “gravi, precise e concordanti”. Il semplice riferimento allo scostamento dal valore OMI non soddisfa questi requisiti.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che il valore di un immobile è influenzato da una molteplicità di parametri specifici che i dati OMI, per loro natura generici, non possono cogliere. Tra questi rientrano l’ubicazione esatta, la superficie, lo stato di conservazione, le caratteristiche costruttive, la presenza di opere di urbanizzazione e la fruibilità effettiva.

L’errore del giudice di merito è stato quello di ritenere i valori OMI come “validi elementi di valutazione” in assenza di contestazioni puntuali da parte del contribuente, invertendo di fatto l’onere della prova. È l’Agenzia, e non il contribuente, a dover dimostrare, con elementi concreti e specifici, che il prezzo dichiarato non corrisponde al reale valore di mercato. Tali elementi possono includere perizie di stima, contratti preliminari, l’importo di un eventuale mutuo o la comparazione con atti di compravendita di immobili con caratteristiche analoghe.

In assenza di questi ulteriori elementi probatori, l’atto impositivo risulta privo di una motivazione adeguata e, pertanto, illegittimo.

Conclusioni

La pronuncia in esame rappresenta un’importante conferma a tutela del contribuente. Essa chiarisce che l’Agenzia delle Entrate non può procedere ad accertamenti “automatizzati” basati unicamente sulle proprie banche dati. Ogni rettifica deve essere supportata da un’istruttoria approfondita e da prove concrete che giustifichino la pretesa fiscale.

Per i contribuenti, ciò significa che un avviso di accertamento basato solo sui valori OMI è pienamente contestabile. Per l’Amministrazione Finanziaria, invece, la sentenza è un monito a fondare i propri atti su basi probatorie solide e circostanziate, nel rispetto dei principi dello Statuto del Contribuente e del giusto procedimento.

L’Agenzia delle Entrate può basare un accertamento fiscale solo sui valori OMI?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che le quotazioni OMI, da sole, non costituiscono una prova sufficiente del valore venale di un immobile, essendo idonee a fornire solo indicazioni di larga massima.

Chi ha l’onere di provare il maggior valore di un immobile in un accertamento fiscale?
L’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria. È l’Agenzia a dover dimostrare, con elementi gravi, precisi e concordanti, che il valore dichiarato dal contribuente è inferiore a quello effettivo di mercato.

Quali elementi aggiuntivi deve fornire il Fisco per giustificare una rettifica di valore?
L’Agenzia deve integrare i valori OMI con ulteriori indizi, come perizie di stima, l’importo di un mutuo, il contratto preliminare, o il confronto con compravendite di immobili simili per caratteristiche e ubicazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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