Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24771 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 3596/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso
(PEC: EMAIL;
EMAIL);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4209/03/2016, depositata il 27.06.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Roma accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento, per IRES, IRAP e IVA, in relazione
all’anno 20 07, con il quale erano stati determinati maggiori ricavi imponibili non dichiarati e recuperati a tassazione costi ritenuti non deducibili;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l ‘appello proposto da ll ‘Agenzia delle entrate, osservando, per quanto ancora qui interessa, che:
contrariamente a quanto rilevato dal primo giudice, non vi era stata alcuna violazione del contraddittorio preventivo, posto che la contribuente era stata ripetutamente invitata in fase precontenziosa per il contraddittorio, ma, nonostante i ripetuti inviti e le nuove convocazioni concesse per indisponibilità della stessa -l’ultima delle quali in data 4.10.2012 -la contribuente non si era mai presentata per interloquire con l’Amministrazione e ciò era attribuibile ad una sua rinuncia e non ad un comportamento colpevole dell’Ufficio;
la pretesa era fondata, in quanto la comparazione dei dati rilevabili nell’archivio OMI, che costituivano una fonte di informazioni attendibile al fine di determinare i reali valori delle vendite, evidenziava una discrepanza in relazione ai prezzi degli immobili venduti;
non erano deducibili le sopravvenienze passive per euro 10.000,00, oltre IVA, relative alla nota di credito n. 2/2007, per violazione del principio di competenza, non avendo la contribuente regolarizzato l’operazione entro il termine perentorio stabilito dall’art. 14 del d.P.R. n. 600 del 1973;
non erano deducibili i costi per la progettazione del cantiere 5, per l’importo di euro 19.921,88, oltre IVA, relativi alla fattura n. 16 del 9.08.2007, in quanto non era stata riscontrata la rispondenza del documento originale in contabilità;
era fondato anche il rilievo sulla omessa fatturazione di acconti per euro 186.500,00, in quanto ” il versamento di un acconto,
rappresentando l’anticipazione del corrispettivo pattuito, assume rilevanza ai fini Iva, con il conseguente obbligo, per il cedente o prestatore, di emettere la relativa fattura con addebito dell’imposta; l’aliquota applicabile è quella vigente al momento del pagamento dell’acconto “;
era legittimo anche il disconoscimento degli ulteriori costi non di competenza, accertati dall’Ufficio per un valore pari ad euro 15.665,07;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi;
l ‘Agenzia resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR deciso sul merito della pretesa (punti da 1 a 5 della sentenza impugnata -pp. 2 e 3), nonostante gli stessi fossero coperti da giudicato interno, data la mancanza di motivi specifici di impugnazione;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo la ricorrente riportato nel testo del ricorso per cassazione le parti dell’atto di appello censurate ;
la deduzione di un vizio processuale, che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n. 6, cod proc. civ., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti
e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. Un. n. 8950 del 2022; Cass. n. 3612 del 2022; Cass. n. 12481 del 2022);
il motivo è in ogni caso infondato;
va innanzitutto premesso che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte ( ex plurimis , Cass. n. 12202/2017; Cass. n. 24783/2018; Cass. n. 10760/2019; Cass. n. 30728/2022; Cass. n. 29220/2024), il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia; sicché, l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. n. 32563 del 2025);
occorre poi considerare che costituisce un indirizzo giurisprudenziale di legittimità altrettanto costante quello secondo il quale, ‘la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo
grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci’ (Cass. n. 32954 del 20/12/2018);
-nel processo tributario l’appello ha carattere devolutivo pieno, trattandosi di strumento di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 759 del 2025);
-la riproposizione nell’atto di appello delle stesse ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo, pertanto, non poteva né costituire una ragione sufficiente per ritenere inammissibile l’appello proposto dall’Ufficio per carenza di specificità dei motivi né determinare il giudicato interno sui ‘ punti 1-5, pagine nn. 2 e 3, dell’impugnata sentenza, la cui disamina analitica viene di seguito argomentata alle pagine n. 7 e ss. del presente ricorso’ ;
-con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non essendo stata la contribuente avvisata della trattazione della causa all’udienza del 26.05.2016, pur essendo la stessa costituita nel giudizio di appello;
anche questo motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto nel testo del ricorso per cassazione gli atti processuali rilevanti per supportare la suindicata censura, essendosi limitata ad affermare genericamente di non essere stata avvisata della trattazione dell’udienza del 26.05.2016;
con il terzo motivo deduce la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che i valori OMI
costituissero una ‘prova presuntiva legale assoluta’ dei maggiori ricavi non dichiarati;
il motivo è fondato;
-occorre rammentare che l’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) ha modificato l’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità -in relazione, specificamente, all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette -di tali disposizioni con il diritto comunitario;
a seguito di tale modifica è stata ripristinata la disciplina normativa anteriore al luglio 2006, con la soppressione della presunzione legale iuris tantum di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che il giudice può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, e ciò con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto unionale, che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (Cass. 12.04.2017, n. 9474, Cass. 21.12.2016, n. 26487 e Cass. 26.09.2014, n. 20419);
la decisione impugnata non ha correttamente applicato il mutato assetto normativo e i principi sopra richiamati, non avendo verificato se l’accertamento si fondava anche su altri elementi probatori, oltre ai dati desumibili dall’archivio dell’O.M.I., e, in caso positivo, se tali plurimi elementi integravano un quadro presuntivo grave, preciso e
concordante in ordine alla cessione degli immobili ad un prezzo superiore a quello risultante dall’atto di compravendita;
con il quarto motivo deduce la falsa applicazione degli artt. 101, comma 4, e 109, comma 1, del TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che le sopravvenienze passive non fossero fiscalmente deducibili, senza considerare il ‘fatto straordinario’ che si era verificato nel 2007 e che legittimava la loro contabilizzazione nel predetto esercizio, in cui si era verificata la sopravvenienza;
-con il quinto motivo deduce la falsa applicazione dell’art. 2712 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto non deducibili i costi di progettazione del cantiere 5, nonostante la mancanza di un disconoscimento formale da parte dell’Agenzia della copia dei documenti giustificativi di detti costi;
-i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo la ricorrente riprodotto nel testo del ricorso per cassazione o comunque localizzato gli atti e i documenti dai quali sia possibile comprendere l’esatto contenuto delle c ensure che, peraltro, impingono nel merito richiedendo, nella sostanza, una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di appello, per giungere ad un risultato opposto a quello stabilito nella sentenza impugnata;
-con il sesto motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 132, comma 3, n. 4 cod. proc. civ., per non avere la CTR indicato le ragioni a sostegno della ‘passiva ricezione delle censure dell’Amministrazione finanziaria’ in ordine alla qualificazione come acconti delle somme versate prima del rogito, le quali erano
state consegnate a titolo di caparra confirmatoria, come si evinceva dal libro giornale e dalle schede contabili, nonché dalle ricevute rilasciate dalla società a seguito della sottoscrizione delle schede di prenotazione;
il motivo, che va qualificato come omessa motivazione sulla questione attinente la qualificazione delle somme versate dagli acquirenti degli immobili prima del rogito, è fondato;
la decisione impugnata, infatti, si limita ad affermare che ‘ 4) Per quanto attiene l’omessa fatturazione di acconti per euro 186.500, anche di tale rilievo appare fondato in quanto “il versamento di un acconto, rappresentando l’anticipazione del corrispettivo pattuito, assume rilevanza ai fini Iva, con il conseguente obbligo, per il cedente o prestatore, di emettere la relativa fattura con addebito dell’imposta; l’aliquota applicabile è quella vigente al momento del pagamento dell’acconto”;
-la CTR non ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di qualificare dette somme come acconti e non come caparre confirmatorie, non essendosi in alcun modo espressa sulle prospettazioni della società contribuente che, nel libro giornale, nelle schede contabili e nelle ricevute rilasciate agli acquirenti a seguito della sottoscrizione delle schede di prenotazione, ha contabilizzato tali importi con la causale di “caparra confirmatoria”, non assoggettandoli ad IVA;
in relazione a tale parte della sentenza, quindi, la motivazione risulta meramente apparente, non avendo il giudice tributario di appello assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. Un. n. 8053 del 2014);
in conclusione, vanno accolti il terzo e sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza va cassata con riguardo ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del
giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia tributaria territorialmente competente, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e sesto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata, con riferimento ai motivi accolti, e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 luglio 2025