Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19815 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19815 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4595/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore , NOME COGNOME CF: CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO, indirizzo PEC EMAIL;
-ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro-tempore , con sede in Palazzago alla INDIRIZZO INDIRIZZO (c.f. P_IVA) , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso il seguente indirizzo di posta elettronica: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3834/2021, della Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione 20, depositata il 22.10.2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
La RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso/reclamo avverso il rifiuto tacito del Comune di Palazzago di procedere al rimborso Imu, per le annualità comprese dal 2013 al 2016, su aree di proprietà della stessa. La richiesta di rimborso era stata fondata sul fatto che la società aveva erroneamente determinato l’Imu utilizzando il valore determinato dal Comune di Palazzago in euro 130,00 al mq che non risultava corrispondere al valore venale in comune commercio per dette aree. Deduceva, in particolare, che l’avviso di accertamento IMU emesso dal Comune per l’anno 2012 era stato tempestivamente impugnato e che la CTR, nel rigettare l’appello proposto dal Comune di Palazzago avverso la decisione della CTP, aveva affermato che il valore determinato dal Comune non rispecchiava il valore venale degli immobili.
Il Comune contestava le pretese avversarie e la CTP di Bergamo, con sentenza n. 357/19, depositata il 2.7.2019, rigettava il ricorso.
La contribuente impugnava la sentenza di primo grado e la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello, determinando in euro 121,78 al mq il valore dell’area edificabile (prendendo come base di calcolo dell’Imu il valore che la società aveva pagato per il terreno) e mandando al Comune per il ‘ricalcolo del dovuto’.
Contro questa sentenza il contribuente ha proposto ricorso per ottenerne la cassazione, che ha affidato a quattro motivi.
Il Comune di Palazzago ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione di legge processuale (art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) con nullità della sentenza per non essersi pronunciata la CTR sul terzo motivo di appello relativo alla legittimità dell’operato
dell’ufficio nell’applicazione e nella procedura di determinazione dell’imposta’, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per non aver il giudice d’appello esaminato le eccezioni spiegate con il terzo motivo del gravame, relative ai criteri di determinazione del valore venale dell’immobile per cui è causa. In particolare, con il terzo motivo di appello, riprodotto nel ricorso (pagg. 9 e ss.), in ossequio al principio di autosufficienza, la COGNOME aveva lamentato il mancato aggiornamento annuale del valore venale in comune commercio previsto dalla normativa, la mancata applicazione di correttivi caratterizzanti le aree interessate, l’errata comparazione di atti aventi caratteristiche non similari, l’errato utilizzo di ‘indizi tecnici’, l’inesatta comparazione del valore venale in comune commercio al valore di bilancio, l’assenza di elementi a sostegno del Comune. La difesa del ricorrente ha evidenziato come le censure non esaminate dalla CTR (ed i documenti nelle stesse richiamate) avrebbero portato il giudice d’appello ad accogliere le deduzioni della ricorrente, così come avvenuto, con riferimento all’anno d’imposta 2012, con la sentenza della CTR n. 1875/2020 (impugnata dal Comune in Cassazione).
1.1. Il motivo è inammissibile.
Come eccepito dalla difesa del comune controricorrente, infatti, le censure contenute nel terzo motivo d’appello erano volte a contestare la determinazione del valore venale operata dal Comune nel regolamento adottato a norma degli artt. 52 e 58 del d.lgs. n. 446 del 1997, mentre la CTR non ha fondato la sua pronuncia sul valore accertato nella delibera, ma ha autonomamente rideterminato il valore venale delle aree con riferimento al prezzo di acquisto. Si tratta, pertanto, di una censura che non si confronta con le ragioni della decisione impugnata, come tale da dichiarare inammissibile.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato, ‘violazione di legge processuale con nullità della sentenza per motivazione inesistente,
apparente, fittizia (artt. 132 c.p.c., 36 D.Lgs. n. 546/1992, 24 e 111 Cost, 6 CEDU, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.), si censura la sentenza impugnata per aver, con motivazione illogica e contraddittoria, da un lato dato rilevanza ad una serie di circostanze (quali la diminuzione del valore commerciale del terreno, le difficoltà del periodo, la stagnazione del mercato, gli effetti del Covid) e dall’altro determinato il valore dei terreni con riferimento ad un valore di acquisto del 2009.
2.1. Il motivo è infondato.
Sebbene con argomentazioni sintetiche, il giudice regionale esplicita la ratio decidendi , affermando chiaramente che il valore venale del bene andava correlato al prezzo di acquisto pagato dalla società contribuente e che in detti termini andava rideterminato lo stesso valore assunto nella delibera adottata dall’ente impositore.
3. Con il terzo motivo, rubricato ‘violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento alla normativa in materia di IMU e al procedimento indicato dalla Cassazione per valutare prima analiticamente e poi complessivamente gli elementi di prova entrati nel processo (art. 5, comma 5, d.lgs. 504/1992, artt. 2697 c.c. e artt. 113, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) consistita nel fatto che la CTR ha deciso senza fare una corretta valutazione individuale e senza fare una valutazione complessiva, di sintesi e finale dei documenti forniti dalla società a giustificazione della metodologia di calcolo usata per determinare l’imposta e per avere deciso, quindi la CTR, non iuxta alligata e probata , ma in via equitativa, cosa non possibile nel caso di specie’, la società ricorrente lamenta che la CTR ha determinato il valore del cespite per cui è causa adottando un criterio equitativo mentre, invece, essa avrebbe dovuto pervenire alle sue determinazioni valutando le prove offerte dalle parti, in ossequio ai criteri di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992.
Con il quarto motivo, rubricato ‘violazione di legge processuale con nullità della sentenza per non avere la CTR deciso secondo diritto ed avendo deciso, invece, in violazione delle regole sulla valutazione delle prove (artt. 113, 115 e 116 c.p.c., 7 del D.Lgs. n.546 del 1992, 24, 111 Cost. 6 CEDU, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’, la censura svolta con il terzo motivo viene dedotta quale nullità della sentenza e del procedimento, per non avere la CTR deciso secondo diritto, in violazione dell’art. 113 c.p.c. ed in violazione delle regole sulla valutazione delle prove.
4.1. I due motivi, da trattarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati.
Nella sentenza impugnata si legge: ‘La Commissione ritiene che il valore da prendere a base per il calcolo dell’IMU pur riconoscendo la brusca diminuzione del valore commerciale de terreno, le difficoltà del periodo, della stagnazione del mercato, della riduzione della superficie imponibile per i nuovi standard e non ultimo gli effetti del Covid -sia senz’altro il valore che la società ha pagato il terreno. Quello è indiscutibilmente il valore di mercato sul quale calcolare l’imposta dovuta, anche se la società ha dichiarato, in sede di denuncia un corrispettivo di euro 30,00/mq, valore che poteva essere congruo se riferito a somme accessorie di acquisto (costo del notaio, imposta di registro, ecc.)’ (pag. 5).
Il giudice regionale, contrariamente rispetto a quanto dedotto dalla difesa della ricorrente, non ha operato una valutazione equitativa, ma ha correlato il valore venale delle aree al prezzo di acquisto dell’immobile per cui è causa.
4.2. Con riferimento ai criteri di determinazione del valore del terreno oggetto di stima, questa Corte, in tema di ICI, ha da tempo affermato che ai fini della determinazione del valore imponibile è necessario che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti e tassativi previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 504 (che, per
le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di 5 aree aventi analoghe caratteristiche) solo laddove si debba pervenire al calcolo del valore venale in comune commercio in mancanza di un valore direttamente riferibile al terreno oggetto di stima; diversamente nel caso in cui il valore del terreno, e quindi il suo prezzo, sia già assegnato, perché posto in vendita, il valore fissato a quel terreno, considerato congruo o rettificato con avviso di accertamento divenuto definitivo, ne rappresenta il valore venale in comune commercio, sicché la valutazione del giudice del merito che, investito della questione del valore attribuito ad un’area fabbricabile, assuma come parametro oggettivo di riferimento il prezzo dichiarato di acquisto dell’area fabbricabile, motivi congruamente le ragioni per le quali lo tesso debba considerarsi corretto, è incensurabile in sede di legittimità” (Cass. n. 14118 del 2017; Cass. n. 27807 del 208; Cass. 11445 del 2018).
In ragione dei rilievi espressi, si impone il rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
In considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 5.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 –
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, 31 gennaio 2015