Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9004 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9004 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 352/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. delle MARCHE n. 408/2019 depositata il 29/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
con la sentenza n. 408/04/2019, depositata in data 29/05/2019 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento ICI relativo alla annualità 2010 emesso dal Comune di Porto Sant’Elpidio, rideterminava il valore dell’ area di proprietà della contribuente, ai fini ICI, in euro 8.794.442,00;
1.1. come emerge dalla sentenza impugnata secondo i giudici di appello , alla luce dei criteri posti dall’ art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992, tenuto conto del valore di acquisto dell’area e detratti i costi di urbanizzazione primaria e di bonifica, esclusi gli ulteriori oneri emergenti dal progetto di variante del 2016, appariva congruo il valore di euro 8.794.442,00 già calcolato dall’ente impositore per l’ anno 2009;
avverso detta sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati con memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.;
il Comune di Porto Sant’Elpidio resiste con controricorso;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia sull ‘ eccezione di nullità della sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione;
con il secondo motivo lamenta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia sull ‘ eccezione
ultrapetizione, per avere il giudice di primo grado interferito sul potere dispositivo delle parti alterando gli elementi di identificazione dell’azione in quanto aveva fatto riferimento ad un elaborato peritale che non aveva mai avuto ingresso nel processo;
3. con il terzo motivo deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione de ll’ art. 7, legge n. 212 del 2000 e 3, legge n. 241 del 1990, lamentando che la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente ritenuto adeguatamente motivato l’impugnato avviso in questione sebbene tale atto fosse stato motivato, in effetti, in maniera ‘postuma’ sulla scorta di elementi successivamente dedotti dall’ente impositore; 4. con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992 non avendo i giudici di merito considerato che la misura del valore venale in comune commercio doveva essere tassativamente ricavata dai parametri vincolanti previsti dalla suddetta norma, criteri violati in quanto la Commissione tributaria regionale non avevano tenuto conto degli ulteriori oneri di bonifica – il cui ammontare, già nel 2016, si conosceva, seppure in linea di massima – voci tassativamente previste dalla legge come rilevanti ai fini della individuazione del valore venale dell’area edificabile. Precisa che, sin dal 2010, era emerso che l’originario piano di bonifica era inadegu ato e che, in assenza dei necessari lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, il valore venale dell’area risultava, già all’epoca dei fatti, sensibilmente ridotto;
5. con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992 nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., non avendo i giudici di appello considerato che, ai fini della determinazione del valore imponibile, occorreva tenere conto, sulla scorta della normativa vigente, degli ulteriori costi di bonifica il cui
valore -pari a 6,7 milioni di euro -non era stato contestato dall’ ente impositore e, quindi, era determinabile, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, sicchè tali ulteriori costi dovevano essere necessariamente considerati ai fini della quantificazione del valore venale dell’area;
il ricorso è infondato;
i primi due motivi – da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi- sono privi di fondamento;
7.1. va, in primo luogo, rilevato che la Commissione Tributaria Regionale, disatteso ogni altro motivo di impugnazione – ivi compreso quello relativo alla eccepita nullità della sentenza di primo grado per vizio assoluto di motivazione -ha integralmente riesaminato il tema del contendere, rideterminando il valore venale dell’area ai fini ICI;
7.2. orbene costituisce principio cardine in tema di giudizio di impugnazione che la sentenza d’appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente a quella di primo grado, ed a tale principio si associa quello che le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, con la conseguenza che il giudice di secondo grado, investito delle relative censure, non può limitarsi a dichiarare la nullità ma deve decidere nel merito;
7.3. pertanto non può essere denunciato in cassazione un vizio della sentenza di primo grado ritenuto insussistente dal giudice d’appello (cfr. Cass. nn. 1323/2018, 11537/1996) e, sempre in virtù dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità della sentenza soggetta ad appello si convertono in motivi di impugnazione, ne deriva, ancora, che non può essere denunciato in cassazione il vizio della sentenza di primo grado – per la quale si deduce la mancanza di motivazione – non rilevato dal giudice di appello (cfr. Cass. n. 1323 del 19/01/2018, Cass. n. 17072 del 03/08/2007, Cass. n. 11537 del 28/12/1996);
7.4. sulla scorta delle superiori considerazioni le censure formulate con entrambi i primi due motivi, non possono, dunque, trovare ingresso nell’odierno giudizio di legittimità;
il terzo motivo è inammissibile o, comunque, infondato;
8.1. va premesso che qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ” ex actis ” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 – 01). Nel caso in esame parte ricorrente non chiarisce in che termini e in che sede la questione dell’omessa motivazione dell’ atto impositivo di cui non vi è cenno alcuno nella sentenza impugnata- sarebbe stata devoluta;
8.2. la doglianza, per l’asserito difetto di motivazione dell’avviso de quo , è, in ogni caso, inammissibile per difetto di specificità, ex art. 366 cod. proc. civ., non avendo la ricorrente riprodotto e allegato al ricorso l’avviso e ciò, tanto più, a fronte dell’ accertamento operato dai giudici di merito, che hanno ritenuto che l’ atto era certamente adeguatamente motivato;
8.3. va dato seguito, invero, al condiviso principio di diritto secondo il quale «in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce
imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo» (cfr. Cass. nn. 16147/2017, 2928/2015, 8312/2013);
8.4. tale condizione di ammissibilità del mezzo di impugnazione proposto non è stata concretizzata dalla società ricorrente nella sua formulazione, non essendo stata affatto riportata, neanche per estratto nei punti rilevanti, la motivazione dell’atto impositivo impugnato;
8.5. occorre, infine, ribadire che in tema di ICI, secondo principi applicabili anche all’IMU, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta, ed in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass. n. 1694 del 24/01/2018; Cass. n. 26431 del 08/11/2017), situazione, certamente, verificatasi nella fattispecie in esame (già, ab origine , con il provvedimento impugnato) secondo quanto è dato, anche, desumere dal tenore delle difese della contribuente di cui al ricorso introduttivo ed ai successivi atti difensivi;
il quarto ed il quinto motivo – i quali, in ragione della loro intrinseca connessione, possono essere presi in esame congiuntamente appaiono privi di fondamento;
9.1. va evidenziato che i giudici di appello hanno fatto corretta applicazione dei criteri posti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992 avendo provveduto a detrarre dal valore dell’ area, quale risultante dal valore di acquisto dichiarato, (euro 19.631.579) i costi di urbanizzazione primaria e di bonifica quantificati in euro 7.000.000,00, escludendo ai fini del computo del valore venale dell’ area gli ulteriori oneri emergenti dal progetto di variante del 2016, i quali, a dire dei giudici di appello, potevano semmai rilevare per gli anni successivi;
9.2. osserva preliminarmente il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);
9.3. siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte. È appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della
giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno, poi, ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631). Con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);
9.4. nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la società ricorrente con i motivi d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, ha omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione (né alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) – essendosi limitata ad indicare solamente meri ‘stralci’ – comprovanti il dedotto errore in ragione dell’ omessa valutazione di dati decisivi ai fini della
determinazione del corretto valore venale dell’ area de qua , con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza dei motivi d’impugnazione proposti;
9.5. peraltro, a fronte di un accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, la società ricorrente muove delle censure generiche lamentando, del tutto apoditticamente, che gli ulteriori oneri, peraltro nemmeno esattamente specificati ed indicati, dovevano essere comunque quantificati e presi in considerazione ai fini del computo del valore dell’ area ma una simile contestazione è inammissibile sotto il profilo della violazione di legge, perché mette in discussione l’accertamento del giudice di ap pello fondato, comunque, su criteri legali;
9.6. una tale contestazione è priva di fondamento alcuno anche quale vizio motivazionale, in ragione dei limiti fissati dalla novella all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.: posto che l’esame della questione di fatto (effettiva incidenza di ulteriori oneri) non è stata omessa dal giudice di merito, la ricorrente finisce per contestare le conclusioni raggiunte dalla C.T.R. sotto il profilo dell’insufficienza motivazionale, il che è ormai precluso in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018). Invero, le critiche della contribuente si risolvono, contrapponendo differenti valutazioni del bene, nella inammissibile richiesta di riesame nel merito della causa;
9.7. va, infine, rilevato che del tutto priva di pregio è la censura relativa alla violazione del disposto di cui all’art. 115 cod. proc. civ. in quanto la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non specifica in alcun modo sulla base di quali emergenze processuali, il valore degli ulteriori oneri di emergenti dal progetto di
variante del 2016 -asseritamente già rilevanti all’ epoca dell’ imposizione -sarebbe risultato non contestato;
9.8. invero i fatti allegati da una parte possono considerarsi “pacifici”, esonerando la stessa dalla necessità di fornirne la prova, solamente quando l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri. (La S.C. ha espresso il principio in controversia avente ad oggetto il rimborso parziale dell’Iva versata dal contribuente, in cui la convenuta amministrazione finanziaria si era limitata a rimettersi al giudice, nel primo grado del processo, mentre in grado di appello aveva contestato i fatti posti dal contribuente a fondamento della sua pretesa). (Sez. 5 – , Ordinanza n. 23862 del 29/10/2020, Rv. 659532 – 01);
10. conseguentemente il ricorso proposto dalla società contribuente deve essere rigettato e la stessa va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del Comune di Porto Sant’Elpidio liquidate come da dispositivo;
10.1. ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Porto Sant’Elpidio le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 6.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella
misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione