Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 898 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 898 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
NOME RIMBORSO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13112/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME e associati e rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG, LOMBARDIA. n. 4200/2021, depositata il 19 novembre 2021.
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
dato atto che il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto, con memoria scritta, di accogliere il ricorso e cassare la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione e che le medesime conclusioni sono state rassegnate in udienza dal Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME
sentito l’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ricorre nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r., pronunciandosi quale giudice di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 23863 del 2019, ha rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Milano che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso di parte dell’Ires versata per l’anno di imposta 2010.
La contribuente, a seguito di una complessa operazione societaria, era divenuta titolare di una partecipazione, pari al 6,55 per cento, nella Holding RAGIONE_SOCIALE -capogruppo del RAGIONE_SOCIALE operante nel settore dell’energiafiscalmente residente nel cantone svizzero di Neuchatel, incluso nei paesi c.d. b lack list , e la cui attività prevalente consisteva nella gestione di partecipazioni e nel finanziamento di circa duecento altre società. In data 31 maggio 2010, la RAGIONE_SOCIALE dismetteva la partecipazione nella RAGIONE_SOCIALE dalla vendita, per il corrispettivo di euro 306.105.045,00, emergeva una minusvalenza fiscalmente rilevante di Euro 198.177.966,00 rispetto al costo di euro 504.283.041, sebbene la partecipazione ceduta -a seguito di due
svalutazioni eseguite nel 2009 e nel 2010 -risultasse iscritta in bilancio con il valore di euro 90.552.316,00.
La contribuente, per ragioni prudenziali -nel dubbio in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui all’ art. 101 comma 1 t.u.i.r. -non deduceva la minusvalenza dal reddito imponibile, versando, pertanto, a titolo di Ires, la maggior somma di euro 54.498.949,99 (pari al 27,5 per cento di euro 198.177.997,00). Successivamente dopo aver presentato istanza di interpello cui l’Amministrazione non dava risposta, con istanza del 21 dicembre 2012, chiedeva la somma a rimborso.
Formatosi sull’istanza provvedimento implicito di rigetto, impugnava il silenzio rifiuto.
La società, in particolare, premetteva che non aveva potuto beneficiare del regime della partecipations exemption (c.d. pex ) di cui all’art. 87. t.u.i.r. mancando il presupposto di cui alla lettera c) atteso che le partecipate che costituivano il maggior valore della holding risiedevano in Stati c.d. black list ; che, di conseguenza, la minusvalenza era deducibile ai sensi dell’art. 101 t.u.i.r. Aggiungeva che il disposto dell’ art. 87, comma 5 t.u.i.r. -ai sensi del quale, in caso di holding finanziarie la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) e d) andava verificato nei confronti delle partecipate che rappresentassero la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante -andava interpretato avendo riguardo al valore contabile (ovvero al valore iscritto in bilancio) e non al valore corrente (inteso come valore di mercato) delle partecipate di RAGIONE_SOCIALE; precisava, infine di non essere in alcun modo in grado di determinare detto ultimo.
Alla pretesa resisteva l’Ufficio il quale, invece, riteneva, conformemente a quanto già ritenuto con propri circolare (la n.36/E 04 agosto 2004) che dovesse aversi riguardo al valore di mercato.
La C.t.p. rigettava il ricorso con sentenza confermata in appello dalla C.t.r. la quale ultima, tuttavia, veniva annullata con rinvio da questa Corte per intrinseca contraddittorietà e «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili».
La C.t.r., pronunciandosi in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe, confermava il rigetto della domanda di rimborso. In particolare, il giudice del rinvio non condivideva l’assunto della contribuente, secondo la quale il valore delle partecipazioni cui faceva riferimento l’ar t. 87, comma 5, t.u.i.r. non fosse il valore effettivo o corrente, bensì quello in bilancio. Assumeva, viceversa, che doveva aversi riguardo proprio al valore corrente la cui prova gravava sul contribuente che aveva chiesto il rimborso. Concludeva, pertanto, affermando che la società non aveva dimostrato, come era suo onere, che i requisiti previsti dall’art. 87, comma 5, t.u.i.r. sussiste vano in capo alle società partecipate dalla holding rappresentanti la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante, inteso come valore corrente (o di mercato).
Avverso della sentenza la contribuente ricorre in Cassazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli art. 87, comma 5, e 101 t.u.i.r. nonché dell’art. 5 par. 4 del Trattato sull’Unione Europea.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che, nell’applicazione dell’art. 87 cit. , debba farsi riferimento ai valori contabili del patrimonio sociale.
Per l’ipotesi di non accoglimento dell’interpretazione dell’art. 87 t.u.i.r. prospettata nel motivo, chiede, previa sospensione del giudizio,
la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale in ragione della violazione del principio di uguaglianza -sub specie del divieto di discriminazione tra contribuenti -del principio di ragionevolezza e di non arbitrarietà delle scelte del legislatore tributario, del principio di capacità contributiva.
Per l’ipotesi di persistenza di dubbi interpretativi sulla violazione e/o errata applicazione delle norme e dei principi di natura comunitaria e della loro interazione con la disciplina interna, chiede, pregiudizialmente, di sospendere il giudizio e rinviare alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee ai sensi dell’articolo 234 del Trattato CE la controversia affinché verifichi la legittimità del diniego qui opposto e della prassi amministrativa seguita rispetto alle norme ed ai principi comunitari e, in particolare, al principio di proporzionalità.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui l’ha co ndannata alle spese processuali nonostante l’assoluta novità della questione trattata integrasse le «gravi ed eccezionali ragioni» di cui alla norma che avrebbero dovuto, viceversa, determinare una statuizione di compensazione.
Il primo motivo è infondato.
3.1. Occorre ricostruire il quadro normativo nel quale si innesta la questione controversa.
L’ art. 101 comma 1, t.u.i.r. prevede che «le minusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1, e 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell’art. 86 commi 1, lettere a e b, e 2». Pertanto, solo nel caso in cui non si sia in presenza di operazioni connotate da plusvalenze esenti di cui all’art. 87
cit. (ovvero laddove non sussistano i presupposti per l’applicazione del regime della participation exemption , c.d. pex , il quale prevede un’ esenzione parziale da tassazione della plusvalenza maturata dalla cessione di partecipazioni) è possibile la deducibilità delle minusvalenze. Al contrario, ove sussistano tutti i requisiti per la pex le plusvalenze non sono tassabili e, allo stesso modo, le minusvalenze non sono deducibili.
L’art. 87, comma 1, t.u.i.r. prevede una serie di requisiti per poter beneficiare del l’esenzione secondo il regime pex. Tra questi ultimi rilevano i requisiti di cui alla lettera c) (residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato) e di cui alla lettera d) (esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’articolo 55).
L’art. 87, comma 5, t.u.i.r. che si occupa della verifica dei requisiti in capo alle holding , dispone che per dette ultime (cioè come previsto dalla norma per il caso delle partecipazioni in società la cui attività consiste nell’assunzione di partecipazioni) i requisiti di cui alle lettere c) e d) cit. devono sussistete in capo alle società indirettamente partecipate che rappresentino «la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante».
3.2. Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, deve rilevarsi che il tenore letterale della disposizione, nella parte in cui fa riferimento al valore del patrimonio sociale della partecipante depone nel senso che, per determinare quest’ultimo , debba aversi riguardo al valore di mercato o corrente e non al valore contabile, come iscritto in bilancio.
Tanto trova conferma nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 ( relazione allo schema di decreto legislativo recante riforma dell’imposizione sul reddito delle società in attuazione
dell’articolo 4, comma 1, lettere da a) a o), della legge 7 aprile 2003, n. 80 ) che, a proposito delle disposizioni contenute nel nuovo art 87 t.u.i.r. ha precisato, quanto al riferimento al valore del patrimonio «che esso è configurabile non nel valore contabile del patrimonio netto, bensì nel valore corrente del patrimonio stesso».
A ciò deve aggiungersi che il legislatore del testo unico, laddove ha inteso fare riferimento al patrimonio netto contabile, lo ha detto espressamente (cfr. artt. 67, 115, 173 t.u.i.r.).
3.3. Il riferimento al valore corrente è coerente con la specifica finalità antielusiva dell’art. 87 t.u.i.r. Detta disposizione, infatti, è volta ad impedire che il regime di esenzione possa essere fruito, anche con riferimento a partecipazioni in società prive dei requisiti della commercialità e/o della residenza, attraverso la loro intestazione ad una società holding e la successiva cessione della partecipazione in quest’ultima. Il raggiungimento di questo obiettivo impone, dunque, di superare lo schermo societario rappresentato dalla società holding e di verificare la sussistenza dei requisiti della commercialità e della residenza direttamente in capo alle società da quest’ultima partecipate. Occorre, pertanto, che la qualificazione di holding di partecipazioni ai fini della pex , coerentemente alla ratio normativa, consenta di intercettare la quantità del valore (e quindi del plusvalore) della partecipazione ceduta meritevole di esenzione, fondata sui valori effettivi degli assets che compongono il patrimonio della holding stessa. Di qui la rilevanza non de valore di iscrizione in bilancio della partecipazione ma del suo valore corrente.
3.4. Successivamente a tale assetto normativo è intervenuto l’art. 162bis , t.u.i.r. -inserito, nel titolo terzo contenente le Disposizioni comuni -introdotto dall’art. 12 , comma 1, lett. d) d.lgs. 29 novembre 2018, n. 142 di recepimento delle c.d. direttive Atad (Direttiva n. 2016/1164/UE-ATAD1 e Direttiva 2017/952/UE-ATAD2). La nuova
disposizione -che a norma dell’art. 13, comma 9, si applica a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2018 -ha fornito una definizione trasversale, sia ai fini delle imposte sui redditi sia ai fini Irap, di intermediario finanziario e di società di partecipazione.
I commi 2 e 3 del l’art. 162bis , cit. definiscono holding di partecipazioni (finanziarie e non) quei soggetti che, sulla base di valori di bilancio (e quindi non correnti o di mercato) mostrano una preponderanza di valore contabile nelle partecipazioni detenute, ovvero negli altri elementi patrimoniali intercorrenti con le dette partecipate (tipicamente i finanziamenti effettuati a favore delle partecipate), rispetto al totale attivo del documento contabile.
Pertanto, ai fini dell’ asset test per individuare le società di partecipazione e determinarne la natura finanziaria o industriale/commerciale delle holding , dunque, rilevano esclusivamente i valori risultanti dai dati di bilancio relativi alle partecipazioni e altri elementi patrimoniali intercorrenti con le società partecipate e non il valore corrente di mercato degli stessi.
Va rammentato che l’art. 12 d.lgs. n. 142 del 2018 ha inteso dare una definizione sistematica per l’individuazione degli intermediari finanziari ai fini Ires e Irap, nonché delle holding finanziarie e di quelle industriali. Prima di questo intervento normativo, infatti, l’individuazione dei soggetti aventi natura finanziaria era stata effettuata dal legislatore fiscale prevalentemente avendo riguardo alle norme civilistiche che stabilivano, per l’appunto, quali fossero i sogge tti cui attribuire tale natura ai fini della vigilanza della Banca d’Italia e della disciplina di bilancio applicabile. In quest’ottica, erano stati in origine individuati ai fini fiscali i soggetti aventi natura finanziaria mediante il rinvio al d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 87, contenente la disciplina del bilancio degli enti creditizi e finanziari. Successivamente, la disciplina degli intermediari finanziari aveva subito numerose
modifiche, fino a giungere, nel 2015, all’abrogazione del decreto legislativo n. 87 del 1992 e alla sostituzione di esso con altre disposizioni. Il legislatore, tuttavia, non aveva provveduto ad un analogo adeguamento ai fini fiscali. Ciò aveva comportato vari dubbi sulla possibilità di un automatico recepimento ai fini fiscali di queste modificazioni ai quali ha posto rimedio l’art 12 d.lgs. n. 142 del 2018 introducendo una nuova definizione dei soggetti svolgenti attività finanziaria.
Deve evidenziarsi, inoltre, che il legislatore nazionale, nel dare una definizione della holding , è andato oltre gli obiettivi posti dalle direttiva Atad le quali si erano limitata a delineare la nozione di intermediario finanziario ai più limitati fini dell’applicazione del regime di deduzione degli interessi passivi sui finanziamenti contratti dai gruppi multinazionali.
3.5. Il fatto che il legislatore nazionale, con l’art. 12 d.lgs. n. 142 del 2018, abbia dato una definizione più ampia della holding, ha posto la questione dell’applicabilità della definizione di società di partecipazione contenuta nell’art. 162 -bis t.u.i.r., introdotto da detta ultima norma, anche ai fini della disciplina della participation exemption dell’art. 87 t.u.i.r.
Tanto, tuttavia, è da escludersi sulla base di una serie di considerazioni.
In primo luogo, da un punto di vista strettamente letterale, va rilevato che l’art. 12 d.lgs. n. 142 del 2018 ha espressamente individuato le norme alle quale doveva applicarsi la definizione di cui all’art. 162 bis t.u.i.r. e tra queste ultime non è compreso l’art. 87 t.u.i.r. che non rientra, infatti, tra le norme espressamente modificate.
Inoltre, l’art. 87 t.u.i.r. detta una norma di carattere speciale avente, come detto, una specifica finalità antielusiva che, come tale, non può ritenersi derogata dalla legge posteriore generale secondo il
principio per il quale lex specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non derogat legi priori speciali .
La definizione di holding contenuta nell’art. 87 t.u.i.r. si poneva già prima dell’introduzione dell’art. 162 -bis t.u.i.r. in rapporto di specialità con la definizione di società di partecipazione e, infatti, per la sua applicazione non era determinate l’iscrizione della società nell’apposita sezione dell’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario di cui all’art. 113 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 358; iscrizione che viene collegata alla circostanza che i valori contabili di iscrizione in bilancio delle attività e dei proventi di natura finanziaria superino determinate soglie quantitative.
In disparte, pertanto, la considerazione che l’art. 162 -bis t.u.i.r. è stato introdotto con riferimento ad anno di imposta successivo a quello oggetto di giudizio, deve concludersi, in ogni caso, per l’attuale vigenza, dello specifico criterio di determinazione delle holding contenuto dell’art. 87 , comma 5, t.u.i.r., trattandosi di disposizione autonoma rispetto ad ogni diversa definizione di società di partecipazione previ sta dal legislatore.
3.6. Così ricostruita la disciplina applicabile, vanno, altresì, disattese le istanze avanzate dalla ricorrente in ragione della ipotizzata incostituzionalità o contrarietà ai principi comunitari dell’art. 87 t.u.i.r., ove interpretato con riferimento ai valori di mercato.
In primo luogo, rileva la ratio antielusiva dell’art. 87 t.u.i.r. che porta ad escludere di per sé la violazione del principio di uguaglianza o di capacità contributiva o di proporzionalità in quanto la individuazione, ai fini dell’applicazione della disc iplina pex , di una definizione di holding che abbia ad oggetto i valori effettivi appare congrua rispetto alla finalità della disposizione.
Deve escludersi, altresì, che la violazione dei principi costituzionali o comunitari possa discendere, come ipotizzato dalla ricorrente, dalla
impossibilità -in ipotesi in cui le società partecipate dalla holding siano numericamente considerevoli o appartengano ad ordinamenti nei quali i soci di minoranza non hanno accesso alle informazioni -di recuperare i valori correnti delle partecipazioni possedute. Infatti, ai fini della corretta interpretazione della norma, non appaiono rilevanti le contingenze nelle quali venga a trovarsi la contribuente che voglia accedere ad un determinato beneficio, né queste ultime possono avere rilievo ai fini di verificare la tenuta della norma ai principi di uguaglianza e propor zionalità, laddove quest’ultima si fondi comunque , come nel caso in esame, su elementi oggettivi e verificabili.
3.7. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto: « La definizione di società di partecipazione contenuta nell’art. 162 -bis t.u.i.r. non si applica ai fini della disciplina della partecipatin exemption (c.d. pex) di cui all’art. 87, comma 5, t.u.i.r. che è norma speciale rispetto alla prima. L’a rt. 87, comma 5, t.u.i.r. -nella parte in cui prevede che ‘ per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante’ -va interpretato nel senso che, per valutare l’attività prevalente , occorre avere riferimento al valore corrente delle partecipazioni e non al valore iscritto in bilancio ».
3.8. La sentenza impugnata è conforme a questi principi.
Infatti, la C.t.r. ha correttamente affermato che il valore di cui all’art. 87, comma 5, t.u.i.r al quale occorre fare riferimento è il valore corrente; che grava sul contribuente che chiede il rimborso l’onere di provare la correttezza, certezza e legittimità della restituzione; che la
società avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dei requisiti previsti dall’ art. 87, comma 5, t.u.i.r.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. La contribuente si duole del provvedimento di condanna alle spese, nonostante la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che avrebbero dovuto determinarne la compensazione.
4.2. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso di gravi ed eccezionali ragioni (cfr. Cass. 04/08/2017, n. 19613 Cass. 11/01/2008, n. 406).
Si è, pertanto, chiarito che la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (. 26 aprile 2019, n. 11329);
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 40.000,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, 12 ottobre 2023.