Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 848 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 848 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29392/2019 proposto da:
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE, n Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA n. 947/2019, depositata in data 1 marzo 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso avente ad oggetto l’avviso di rettifica e l’atto di irrogazione sanzioni emessi nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE quale spedizioniere coobbligato in solido con la società RAGIONE_SOCIALE riguardanti le operazioni di importazione effettuate nel semestre luglio 2011- dicembre 2011.
I giudici di secondo grado hanno evidenziato che:
-) l’appellata sentenza, anche in considerazione della accurata istruttoria svolta dai giudici di primo grado era da confermare, non essendo emersi quei «ragionevoli elementi di prova», di cui alla Circolare 21/D del 30 novembre 2012 sulla effettiva esistenza di un potere di controllo, diretto o indiretto, da parte della RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio, sul produttore (sia terzo che la stessa licenziataria) delle merci, come richiesto dalla normativa di settore, per legittimare l’inclusione del valore nella base imponibile dichiarata in Dogana;
-) la tutela del marchio da parte della licenziante, espressa attraverso l’esercizio del diritto di controllo del rispetto degli standards qualitativi da parte dei soggetti produttori, di cui al Codice di condotta, appariva evidente proprio attraverso le varie cautele introdotte da quest’ultimo, che giammai orientavano o condizionavano in modo coercitivo l’autonomia della licenziataria o dei terzi fabbricanti;
-) questi, infatti, RAGIONE_SOCIALE e quelli scelti dalla medesima ed approvati dalla Casa madre, operavano autonomamente, ancorché
sottoposti a controlli ispettivi/monitoraggi tesi solo alla verifica del rispetto degli standards qualitativi richiesti a fini cautelari.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo.
La società RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e memoria con contestuale istanza di trattazione della causa in pubblica udienza.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente va rigettata l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza, in quanto, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. U., 23 aprile 2020, n. 8093).
1.1 Ed invero, nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti, anche tento conto della giurisprudenza unionale, e i principi stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito, così da far ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (cfr. Cass. 20 novembre 2020, n. 26480). Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, va sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di «particolari ragioni giustificative», ove «obiettive e
razionali» (in particolare, Corte cost. 11 marzo 2011, n. 80). Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perché le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.
In via gradatamente preliminare va disattesa la richiesta di riunione depositata telematicamente dall’Agenzia delle Dogane, in presenza di atti impositivi notificati alla società importatrice responsabile in via principale e agli spedizionieri doganali coobbligati, perché, da un lato, non è opportuno disporre la riunione di cause vertenti tra parti diverse e che non hanno ad oggetto la stessa sentenza e, dall’altro, la trattazione disgiunta non è ostativa dell’applicazione dei medesimi principi di diritto.
2.1 Ed invero, la riunione delle impugnazioni è obbligatoria ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., ove abbiano ad oggetto la stessa sentenza, mentre può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia, ovvero ove si ravvisino in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27550; Cass., Sez. U., 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass., Sez. U., 4 agosto 2010, n. 18050).
Il primo ed unico mezzo deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., del combinato disposto degli artt. 143, 157, 159 e 160 del Reg. CE 2454/1993, nonché dell’Allegato 23 DAC. La sentenza impugnata era incorsa nella violazione delle norme indicate in rubrica laddove aveva apoditticamente affermato che, nel caso di specie, il potere della licenziante fosse limitato ad un mero controllo di qualità dei prodotti, in assenza di alcuna facoltà di orientamento o condizionamento
dell’autonomia della licenziataria o dei terzi fabbricanti. Dalle pattuizioni contrattuali emergeva con chiarezza che il licenziante, RAGIONE_SOCIALE esercitava, per il tramite della licenziataria, un controllo sui prodotti e sui produttori (subappaltatori) tale da poter affermare che il pagamento dei diritti di licenza da parte della acquirente-licenziataria, RAGIONE_SOCIALE era una «condizione di vendita delle merci» ai sensi dell’art. 157, par. 2 delle D.AC. (« La licenziataria può – ai sensi dell’art. 4.1 del Contratto di Licenza – ‘produrre i prodotti in una fabbrica o in fabbriche di sua proprietà, o può utilizzare subappaltatori indipendenti per fabbricare i prodotti. In entrambi i casi il licenziatario è responsabile della produzione lecita di prodotti di alta qualità che rispondano agli standard previsti da RAGIONE_SOCIALE“. Il licenziatario garantisce a RAGIONE_SOCIALE che i subappaltatori utilizzati per la fabbricazione dei prodotti abbiano l’esperienza e le capacità richieste per fabbricare prodotti che rispondano agli standard di RAGIONE_SOCIALE e che operino in conformità a tutte le leggi applicabili”(art. 4.2. del contratto di licenza). Il Licenziatario è responsabile della supervisione e del controllo delle azioni delle proprie fabbriche e dei propri subappaltatori (…). “Il licenziatario rispetta e garantisce che i suoi subappaltatori rispettino il codice di condotta, la certificazione (se applicabile) e gli altri requisiti relativi alla fabbricazione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE” (art. 4.3 del contratto di licenza). Inoltre, la licenziante si riserva il diritto di richiedere che il licenziatario utilizzi un soggetto terzo indipendente, approvato da RAGIONE_SOCIALE, per effettuare il monitoraggio periodico (anche su base trimestrale) dei subappaltatori, per assicurarsi che operino, in conformità a tutte le leggi applicabili e rispettino il codice di condotta. Si precisa, al riguardo, che il codice di condotta fornito dalla RAGIONE_SOCIALE, Licenziante, non è solo una sorta di codice etico ma contiene il “Quality Standards Manual’ in cui sono riportate dettagliate indicazioni in merito alle caratteristiche dei prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE e alla qualità delle materie prime impiegabili. I prodotti fabbricati da e per il licenziatario e venduti dal licenziatario devono attenersi strettamente a materiali, colore, fattura, design, lavaggi, dimensioni, linea, dettagli, imballaggio e qualità previsti dagli standard di qualità, servizio e immagine di GUESS. Se GUESS stabilisce che i Prodotti (incluse parti degli stessi o gli imballaggi) presenti sul mercato non sono conformi agli standard di qualità approvati, GUESS può richiedere che il licenziatario ritiri tali Prodotti a spese del solo licenziatario. Se il licenziatario non ritira rapidamente tali Prodotti, GUESS può acquistare i suddetti Prodotti a spese del licenziatario, e si riterrà che il licenziatario non abbia rispettato il presente Accordo. Il licenziatario rimborserà
immediatamente a GUESS tutti i costi sostenuti in relazione all’acquisto da parte di GUESS di tali Prodotti (v. art. 5.1. del contratto di licenza). Entro 2 settimane dalla prima produzione di un prodotto finito di ogni linea, il licenziatario deve consegnare a RAGIONE_SOCIALE almeno un prodotto finito rappresentativo di ogni linea. Se tale prodotto non è fabbricato in stretta conformità a materiali, colore, fattura, design, lavaggi, dimensioni, linea, dettagli, imballaggio e qualità degli standard di RAGIONE_SOCIALE INC, RAGIONE_SOCIALE comunicherà per iscritto tale mancata conformità, specificando i dettagli relativi. Se il licenziatario non risolve tali problemi, il marchio verrà rapidamente rimosso da tali prodotti a scelta e senza nessun costo per RAGIONE_SOCIALE (art. 5.3 del contratto di licenza). RAGIONE_SOCIALE si riserva il diritto di richiedere che il licenziatario utilizzi un terzo indipendente, approvato da RAGIONE_SOCIALE, per effettuare periodicamente il monitoraggio dei prodotti del licenziatario, così da assicurare che gli stessi siano conformi agli standard di GLTESS (punto 5.4). Il licenziatario ottiene il consenso preventivo di GUESS a partecipare a tutte le fiere in cui saranno esposti i prodotti o altri articoli recanti i Marchi di fabbrica, ivi incluso il consenso di GUESS a qualunque forma di presentazione che il licenziatario utilizza. Il licenziatario fornisce a GUESS tutte le informazioni richieste in relazione a tali fiere (art.6.5 lett.i). Né il licenziatario né alcuno degli enti ad esso affiliati, da esso detenuti, in proprietà comune con lo stesso o controllati dal licenziatario o nei quali il proprietario del licenziatario è socio, o di cui il licenziatario è socio ottiene o cerca di ottenere una licenza o altri accordi per la produzione o la distribuzione di linee di prodotti di accessori di moda che possano competere con i Prodotti, senza il consenso preliminare scritto di RAGIONE_SOCIALE ( art.6.5 lett. j). Prima di qualunque svendita da parte del licenziatario, il licenziatario fornisce a RAGIONE_SOCIALE. una descrizione dei prodotti oggetto di tale svendita e il prezzo di vendita proposto. GUESS ha la possibilità (ma non l’obbligo) di acquistare tutti o parte degli articoli in svendita dal licenziatario prima della vendita a terzi … (art. 6.5 lett. K). Il licenziatario non utilizza nessuna pubblicità o imballaggio o altro materiale commerciale relativo ai prodotti o recante i marchi di fabbrica incluso, senza limitazioni, documenti commerciali, fatture, materiale di cancelleria, pubblicità, promozioni, etichette e confezioni che non sia stato precedentemente approvato per iscritto da GUESS. (di cui al punto 7.1). Prima di utilizzare il materiale pubblicitario quali manifesti, imballaggi e materiali per i punti vendita, il licenziatario sottopone tali articoli a GUESS per l’approvazione (…) il licenziatario deve sottoporre tali pubblicità e promozioni all’approvazione di GUESS utilizzando il Modulo di Approvazione della Pubblicità. Il diritto di approvazione i n c l u d e anche la pianificazione e la programmazione dei media e l’esecuzione creativa. “In nessun caso il materiale pubblicitario o promozionale deve fare riferimento al nome del licenziatario ad eccezione di quanto a norma di legge, tuttavia, su opzione di GUESS, il licenziatario può inserire sulla propria Pubblicità, imballaggio e altro
materiale commerciale un’indicazione della relazione tra le parti in una forma approvata per iscritto da RAGIONE_SOCIALE“. La licenziataria ha l’obbligo di presentare al Licenziante entro 90 giorni dalla fine di ogni anno contrattuale il business plan relativo alla produzione e alla vendita dei prodotti (v. art. 12.2 lett. c) del contratto di licenza»). Sussistevano, nel caso di specie, anche se non correttamente valorizzati dal Collegio, gli indicatori di cui al Commento n. 11 («Indicatore n. 3: RAGIONE_SOCIALE. esercita infatti un controllo di fatto sulla produzione. Indicatore n. 12: il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante. Indicatore n. 13: le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica). Indicatore n. 14: le caratteristiche delle merci sono definite dal licenziante (v. anche art. 5.1. del contratto di licenza)». In sostanza, se era vero che la merce poteva essere prodotta in proprio dal licenziatario o tramite produttori terzi scelti dal medesimo licenziatario, era altrettanto vero che sussisteva, in capo alla RAGIONE_SOCIALE il diritto di effettuare (tramite un terzo indipendente approvato dalla stessa licenziante) due tipi di controllo sui produttori: 1) un monitoraggio periodico per assicurarsi che i produttori operassero in conformità a tutte le leggi applicabili e rispettassero il codice di condotta fornito da RAGIONE_SOCIALE (art. 4.3 del contratto di licenza); 2) un monitoraggio periodico dei prodotti così da assicurare che fossero conformi agli standard di RAGIONE_SOCIALE (art. 5.4 del contratto di licenza).Ulteriori elementi significativi ai fini della dimostrazione del legame si ricavavano dai divieti imposti ai produttori, di cui ai punti sub 12, 13 e 14 dei Factory Vendor Agreements (« Punto n. 12:il produttore/venditore non può rivelare a terzi le caratteristiche di tutti i disegni forniti da GUESS o sviluppati dal produttore per GUESS. Tutti tali disegni restano di esclusiva proprietà di RAGIONE_SOCIALE. Punto n. 13: il produttore/venditore non può mostrare a terzi i campioni di tutti i prodotti realizzati per GUESS. Punto n. 14: il venditore non pubblica alcuna informazione riguardante RAGIONE_SOCIALE INC »). Gli elementi sopra descritti, deliberatamente ignorati dal Collegio, inducevano a ritenere la sussistenza di un
potere di controllo indiretto da parte del titolare del marchio RAGIONE_SOCIALE sui produttori, necessario e sufficiente per ritenere che il pagamento dei diritti in oggetto costituiva una condizione della vendita. La Commissione tributaria regionale era pertanto incorsa, per il tramite di un errore di sussunzione, nella violazione del combinato disposto degli artt. 143, 157, 159 e 160 DAC, nonché dell’Allegato 23 DAC nella misura in cui aveva deliberatamente ignorato le numerose clausole di cui al contratto di licenza dalle quali avrebbe dovuto dedurre l’esistenza di plurimi elementi sintomatici di controllo indiretto della licenziante sulla produttrice estera, tale da costituire una condizione di vendita delle merci ai sensi dell’art. 157 DAC, anche alla luce della Circolare n. 21/D dell’Agenzia.
3.1 Il motivo è, innanzi tutto, ammissibile, in quanto l’Agenzia ricorrente con la censura formulata, non contesta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, né, tanto meno, l’interpretazione delle clausole negoziali dagli stessi offerta, ma assume che tali fatti e, in particolare, il contenuto di tali accordi determinerebbero l’applicazione della fattispecie astratta invocata, rappresentata dalla inclusione del valore delle royalties pagate alla licenziante nel valore delle merci importate, ai fini della determinazione dell’importo dei diritti doganali dovuti. La doglianza, investe, dunque, l ‘ individuazione che la Commissione tributaria regionale ha compiuto della norma applicata ai fatti per come accertati, riconducibile all’ipotesi di falsa applicazione della legge, usualmente definita «vizio di sussunzione» (Cass., Sez. U., 18 gennaio 2001, n. 5 e, successivamente, Cass., 26 settembre 2005, n. 18782; Cass., 28 novembre 2007, n. 24756; Cass., 29 agosto 2019, n. 21772).
3.1.1 Non rientra, infatti, nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è,
invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass., 14 gennaio 2019, n. 640), mentre, per converso, fa parte del sindacato di legittimità secondo il paradigma della «falsa applicazione di norme di diritto» il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo) è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era riconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato di farlo (Cass. 31 maggio 2018, n. 13747).
3.1.2 Non è, dunque, precluso al giudice di legittimità stabilire se il giudice di merito abbia correttamente sussunto sotto l’appropriata previsione normativa i fatti da lui accertati -ferma restando l’insindacabilità di questi ultimi e l’impossibilità di ricostruirli in modo diverso – e l’errore eventualmente commesso non è un errore di accertamento, ma un errore di giudizio, consistente nello scegliere in modo non corretto quella, tra le tante norme dell’ordinamento, della quale deve farsi applicazione al caso concreto (cfr. Cass., 18 gennaio 2018, n. 1106; Cass., 31 ottobre 2019, n. 28080 e, più di recente, Cass., 7 giugno 2023, n. 16134; Cass., 22 marzo 2024, n. 7868).
3.1.3 In conclusione ciò che nella specie il motivo propone, nella prospettiva di una falsa applicazione delle norme evocate, non è la ricostruzione della fattispecie concreta in termini difformi da quelli definiti nella sentenza della Commissione tributaria regionale, bensì la puntuale riconducibilità del complesso di clausole del contratto di
licenza, del codice di condotta e del contratto di vendita, esaminate e sottoposte all’attenzione della Corte e, al concetto di controllo indiretto o di fatto postulato dalla normativa comunitaria che integra l’essenziale presupposto di tassabilità delle merci oggetto d’importazione, e cioè proprio quel giudizio (sintetico a posteriori) di corrispondenza tra fattispecie concreta come accertata e fattispecie astratta descritta dalla norma. In altri termini, anche se l ‘Agenzia ricorrente enuncia un errore di interpretazione delle clausole, nel corpo del motivo intende richiederne una diversa lettura in termini di incidenza complessiva nel rapporto economico venditore-licenziante e licenziante-licenziatario, alla luce dei parametri di sintomaticità, integrativi delle suddette disposizioni comunitarie, contenuti nelle istruzioni e commenti TAXUD; diversa lettura che, appunto, non comporta una rivalutazione del fatto, né la violazione dell’art. 348 ter cod. proc. civ., ma la verifica della sua sussumibilità nella previsione astratta della normativa invocata, mediante la verifica del risultato del processo logico di confronto della lettura coordinata dell’efficacia del complesso testo contrattuale con una delle possibili ipotesi di controllo divisate dal complesso normativo che si assume violato, attraverso la semplice prospettazione di una valutazione alternativa dell’efficacia pratica delle stesse clausole sul rapporto licenziante-licenziatario.
3.2 E’ pure infondato l’ulteriore profilo di inammissibilità del motivo dedotto nel controricorso in ordine ai canoni legali di interpretazione contrattuale, dovendosi ribadire che « In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale
corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo » (cfr. Cass., 5 dicembre 2017, n. 29111 e, più di recente, Cass., 22 marzo 2024, n. 7868).
3.2.1 Si tratta di un principio di diritto che, pur nella sua formulazione generale, è da ritenersi senz’altro pertinente al caso di specie ove con il mezzo in esame, nella sostanza, per il tramite delle violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui alle disposizioni codicistiche evocate, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, si è posta la questione degli effetti fiscali, in relazione ai dazi doganali, di fattispecie negoziali condizionanti i presupposti impositivi degli stessi, nei termini ricostruttivi del quadro normativo di riferimento.
Il motivo, ammissibile, è fondato.
4.1 Deve premettersi che la presente fattispecie è regolata dal Regolamento (CEE) n. 2913/92, del 12 ottobre 1992, istitutivo del Codice doganale comunitario e al Regolamento Ce del 2 luglio 1993, n. 2454/1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario, in quanto le obbligazioni doganali di cui si discute sono state effettuate nel semestre luglio 2011 -dicembre 2011 ( dovendosi rilevare che il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del Codice doganale dell’Unione europea (CDU) è entrato in vigore il 1° maggio 2016 e così il corrispondente Regolamento di esecuzione Reg (UE) del 24 novembre 2015, n. 2447/2015 ).
4.1.1 L’art. 29 del Regolamento (CEE) n. 2913/92, del Consiglio del 12 ottobre 1992, che ha istituito il Codice doganale comunitario,
applicabile, come già detto, alla presente fattispecie ratione temporis , stabilisce che « il valore in dogana delle merci importate è, di regola, il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33 ».
4.1.2 L’art. 32, nell’individuare gli elementi che devono essere aggiunti al prezzo effettivamente pagato per determinare il valore in dogana, attribuisce rilevanza, tra gli altri, alla lett. c), ai « corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
4.1.3 L’art. 157, par. 1, Reg. (CEE) n. 2454/93 (che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento che istituisce il codice doganale comunitario), chiarisce, poi, che per « corrispettivi e diritti di licenza », ai fini dell’articolo 32, par. 1, lettera c), del codice doganale comunitario deve intendersi, in particolare, quanto versato per l’utilizzo di diritti inerenti alla fabbricazione delle merci importate, alla vendita per l’esportazione di tale merce e all’impiego e alla rivendita delle stesse; il successivo par. 2 del medesimo articolo precisa che al prezzo effettivamente pagato o da pagare devono essere aggiunti i corrispettivi o diritti di licenza soltanto nel caso in cui tale pagamento, da un lato, si riferisca alle merci oggetto della valutazione e, dall’altro, costituisca una condizione di vendita di tali merci; l’art. 159, poi, stabilisce che al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate va aggiunto un corrispettivo o diritto di licenza relativo al diritto di utilizzare un marchio commerciale o di fabbrica soltanto se il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali
o
formanti oggetto
unicamente di
lavorazioni secondarie
successivamente all’importazione, le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore.
4.2 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che le rettifiche del valore in dogana devono essere effettuate conformemente all’art. 32 e che, comunque, il valore doganale deve riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (cfr. Corte di Giustizia UE, 20 dicembre 2017, Hamamatsu; Corte di Giustizia UE, 21 gennaio 2016, COGNOME; Corte di Giustizia UE, 12 dicembre 2013, COGNOME).
4.2.1 La Corte di giustizia, in particolare, nella sentenza del 9 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE ha precisato che:
-) la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare;
-) i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come « relativi alle merci da valutare » anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale;
-) la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in
difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare;
-) qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente », ciò in coerenza con l’art. 160, Reg. (CEE) n. 2454/93, secondo cui il pagamento delle royalties costituisce una condizione della vendita quando il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento;
-) i corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties) dovuti dall’importatore in relazione alle merci importate costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana di cui all’art. 32 del codice doganale comunitario e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties.
4.3 Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale unionale, deve osservarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci
da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. Da ciò consegue che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione, poi, la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore (o la persona ad esso legata) e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare e qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente (ciò, in coerenza con l’art. 160, Reg. (CEE) n. 2454/93, secondo cui il pagamento delle royalties costituisce una condizione della vendita quando il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento). Può, dunque, ritenersi che i corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties) dovuti dall’importatore in relazione alle merci importate costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana di cui all’art. 32 del codice doganale comunitario e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore
delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties (cfr. sul tema, Cass. 6 aprile 2018, n. 8473). 4.4 Con riferimento alla nozione di controllo utilizzata nella richiamata pronuncia della Corte di Giustizia e presa in considerazione dall’art. 143, par. 1, lett. e), Reg. (CEE) n. 2454/93, questa Corte nell’ordinanza 31 ottobre 2019, n. 28080, che va richiamata nelle sue argomentazioni, del tutto condivise da questo Collegio, ha osservato che « L’allegato 23 a tale Regolamento chiarisce che ‘si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda’; il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta del potere di ‘orientamento’ del soggetto controllato; quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene; al fine della individuazione del contenuto della nozione di ‘controllo’ utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale; tale documento è ormai parte dell’acquis communautaire con valore di soft law, come riconosciuto anche dalla menzionata pronuncia della Corte di Giustizia secondo cui le conclusioni del predetto Comitato ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’; ebbene, il documento annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il
produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante; come precisato dallo stesso Commento n. 11, nessuno di questi elementi costituisce di per sé una condizione di vendita, tuttavia una combinazione di questi elementi dimostra che esiste quel ‘potere di orientamento’ della licenziante sulla venditrice, tale per cui il pagamento dei diritti di licenza costituisce una condizione di vendita; peraltro, possono esistere anche altri elementi, diversi da quelli presi in considerazione dal Commento n. 11, rivelatori dell’esistenza di una siffatta relazione tra le parti; non risulta rilevante, né dirimente, la circostanza relativa alla soppressione del richiamato documento, in quanto il documento TAXUD/B4/2016, che fornisce linee orientative più sintetiche (ma non meno lineari) e si correla al dettato del nuovo codice doganale (Regolamento n. 952/2013/UE) e al corrispondente Regolamento di esecuzione (Regolamento n. 2015/2447/UE); in proposito, si osserva che l’art. 70 del vigente codice doganale comunitario, pone, al primo comma, la regola generale per il valore in dogana è quello di transazione, ossia ‘il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci’, mentre il comma successivo dispone che questo ‘è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate’; con riguardo alla questione in esame, il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare’; l’art. 136 del regolamento di
esecuzione, precisa, poi, che ‘I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante’ (quarto comma); la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale; in tal senso si esprime il TAXUD/B4/2016, secondo cui ‘il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi’; quanto alla nozione di ‘controllo’, va rilevato che la stessa conserva importanza, venendo presa in considerazione dall’art. 127, Reg. (UE) n. 2015/2447, secondo la quale, ai fini della determinazione del valore in dogana, ‘si ritiene che una parte controlli l’altra quando la prima è in grado, di diritto o di fatto, di imporre orientamenti alla seconda’; una siffatta locuzione è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato; è, dunque, evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis, sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate » (Cass., 31 ottobre 2019, n. 28080, in motivazione).
4.4.1 Le medesime argomentazioni sono state già espresse da questa Corte che, in proposito, ha affermato che « In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei
diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza » (Cass., 10 ottobre 2018, n. 24996; Cass., 6 aprile 2018, n. 8473); inoltre, più di recente, è stato precisato che « Per determinare il valore in dogana delle merci da importare, il prezzo effettivamente pagato o da pagare è integrato dai corrispettivi e i diritti di licenza relativi, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci stesse. Ciò sempre considerando, da un lato, che devono essere valutati una pluralità di profili specificamente concernenti ciascuna fattispecie concreta e, dall’altro, che il mero controllo di qualità non è rilevante » (cfr., fra le tante, Cass., 1 dicembre 2022, n. 35359).
4.4.2 In sintesi, tenuto conto della nozione di controllo, come sopra delineata (una persona ne controlla un’altra quando la prima è in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda), deve evidenziarsi che il controllo è inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta del potere di «orientamento» del soggetto controllato; quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene (cfr. Cass., 16 maggio 2023, n. 13338, in motivazione).
4.4.3 Inoltre, questa Corte, con specifico riferimento al documento TAXUD-800-2002, ha precisato che l’indicato documento continua ad avere un valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta
nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis , sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338, in motivazione).
4.4.4 Più in particolare, questa Corte ha evidenziato che « La eliminazione del documento dalla raccolta non appare conseguenza della perdita del suo valore interpretativo, bensì dell’abrogazione del CDC e del DAC, che ha conseguentemente determinato la necessità di abbandonare il vecchio documento di prassi e sostituirlo con un nuovo documento che si riferisca alla nuova normativa unionale: Reg. n. 952/2013/UE-CDU (nuovo codice doganale) e Reg. n. 2015/2447/UE-RE (nuovo regolamento di esecuzione) » (Cass.30 gennaio 2020, n. 2140), così evidenziando che gli indicatori di cui al documento TAXUD-800-2002 non hanno perso il loro valore orientativo, in quanto la nuova normativa unionale ha disciplinato la materia in continuità con la precedente e che il potere di controllo è inteso « in un’accezione ampia, secondo cui è sufficiente anche un mero potere di orientamento, e necessariamente casistica, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene » ed « utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale », avendo la Corte di giustizia, nella sentenza 7 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE citata, stabilito che questi documenti « sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti
per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice » (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338, in motivazione).
4.5 Tanto premesso, i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali, oppure le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante. L’operazione ermeneutica che l’interprete deve effettuare è quella di stabilire se il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi all’operazione dai quali emerga, anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties. Così, in base a tali elementi è stata considerata come una condizione della vendita delle merci importate il pagamento preteso dal venditore come condizione per la distribuzione esclusiva delle merci sul territorio interessato, oppure la circostanza che il venditore delle merci, altresì beneficiario del pagamento, non avrebbe ceduto tali merci, senza tale pagamento, per la loro distribuzione esclusiva su un determinato territorio e, di contro, è stato ritenuto indifferente che detto pagamento dovesse essere effettuato solo per un periodo limitato di tempo (cfr. CGUE, 19 novembre 2020, causa C-775/19).
Ciò posto , nel caso in esame, ritiene questo Collegio che la Commissione tributaria regionale non abbia fatto corretta applicazione dei principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e da quella di legittimità; ed invero, la
disamina dei dati negoziali (contratti di vendita e contratti di licenza, oltre che del codice di condotta), poiché la controversia investiva la tematica della determinazione del valore in dogana basato sul valore di transazione, ponendo in apice l’esigenza di appurare se l’obbligatorietà del pagamento delle royalties venisse in rilievo o meno quale condizione della vendita, si presentava, all’evidenza, centrale e non obliterabile, nemmeno parzialmente, alla luce del perimetro normativo sopra acclarati. I giudici di secondo grado hanno ritenuto, invece, semplicisticamente l’autonomia della licenziataria e dei terzi fabbricanti rispetto alle indicazioni della licenziante e hanno considerato atomisticamente i negozi in essere tra licenziataria e licenziante e licenziataria e produttori, non confrontandosi, tuttavia, con le risultanze degli accordi tra le parti per come trascritti in ricorso e, soprattutto, non hanno correttamente inteso il concetto di controllo per come più sopra delineato, omettendo di compiere le necessarie verifiche alla stessa richiesta e incorrendo, in tal modo, nel vizio di sussunzione censurato; la Commissione tributaria regionale, dunque, non ha tenuto conto del contenuto delle clausole negoziali, contenuto contrattuale nemmeno riportato, quando invece, l’esame capillare dell’intero contratto di vendita e dei contratti di licenza era, in definitiva, imprescindibile per acclarare se il versamento delle royalties facesse o meno parte integrante del prezzo. In particolare, secondo la prospettazione erariale, dalle pattuizioni contrattuali specificamente indicate (artt. 4.1, 4.2, 4.3, 5.1, 5.3, 5.4, 6.5 lett. i, 6.5 lett. j, 6.5 lett. K, 7.1, 12.2 lett. c), del contratto di licenza, oltre che gli indicatori nn. 3, 12, 13 e 14 e i punti sub 12, 13 e 14 dei Factory Vendor Agreements), emergeva che la società licenziante, RAGIONE_SOCIALE esercitava, per il tramite della società licenziataria, RAGIONE_SOCIALE, due tipi di controllo sui produttori e sui prodotti e, in particolare, un monitoraggio periodico per assicurarsi che i produttori operassero in conformità a tutte le leggi applicabili e rispettassero il
codice di condotta fornito da RAGIONE_SOCIALE (art. 4.3 del contratto di licenza) ed un monitoraggio periodico dei prodotti così da assicurare che fossero conformi agli standard di RAGIONE_SOCIALE (art. 5.4 del contratto di licenza). Ed invero, deve precisarsi che le facoltà riconosciute alle licenzianti di preservare il carattere distintivo e il valore commerciale del marchio, in cui si esprime « il controllo … finalizzato alla protezione dell’immagine del licenziante nei confronti dei consumatori finali », costituiscono elementi che offrono adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di controllo del licenziante, in relazione alla loro incisività nell’indirizzamento dell’attività di produzione e idoneità a conformare l’attività del produttore in funzione della tutela del marchio da perdite di immagine connesse a modalità di produzione non coerenti con il livello qualitativo dei prodotti che il pubblico è solito associare al marchio che li contraddistingue; di conseguenza, quel che rileva non è un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva. Inoltre, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza nella sentenza n. 24996 del 10 ottobre 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati
dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (cfr., più di recente, Cass., 7 giugno 2023, n. 16134).
Per quanto esposto, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 10 dicembre 2024.