Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12985 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12985 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
Oggetto:
Tributi – Dazi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 34030/2018 R.G. proposto da
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del controricorso (PEC: studiodeiureEMAIL);
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1770/09/2018, depositata il 18.04.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) avverso la sentenza della CTP di Milano che aveva accolto i ricorsi riuniti proposti dallo spedizioniere
doganale RAGIONE_SOCIALE avverso distinti avvisi di rettifica dell’accertamento, per dazio e IVA, e i correlati provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, emessi dall’Ufficio doganale di Milano, a seguito di PVC notificato alla licenziataria RAGIONE_SOCIALE con il quale era stato contestato l’importo del valore assunto in sede di computo dei diritti doganali per merci importate dal 2010 al 2012 dal predetto spedizioniere, in rappresentanza indiretta, per conto della RAGIONE_SOCIALE licenziataria in esclusiva per l’Europa del marchio RAGIONE_SOCIALE del gruppo americano RAGIONE_SOCIALE;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-il valore dichiarato all’atto dell’importazione era stato aumentato in sede di revisione dell’accertamento, essendovi stati inclusi i corrispettivi relativi a royalties corrisposte alla licenziante RAGIONE_SOCIALE
-la ricorrente aveva eccepito in primo grado che non era a conoscenza dell’applicazione delle royalties , essendosi attenuta al valore della merce risultante dalla documentazione fornitale dall’importatore e che, comunque, non sussistevano i presupposti previsti dall’art. 157 DAC, affinchè le royalties fossero contabilizzate nel valore dichiarato in dogana;
ai sensi degli artt. 32 par. 1 lett. c) e 32 par. 5 del CDC al valore di transazione vanno aggiunti i corrispettivi e i diritti di licenza che l’acquirente è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita della merce da valutare, qualora gli stessi non siano stati già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare;
i pagamenti effettuati dal compratore come corrispettivo dei diritti di licenza nella fase di rivendita delle merci, successiva alla loro importazione nel territorio comunitario, non costituiscono, di per sé,
la conditio sine qua non alla quale occorre fare riferimento per la rettifica del valore in dogana, come si evince anche dall’art. 157 par. 2 del DAC;
la disciplina è coerente con il regime IVA, in quanto, laddove la rettifica del valore in dogana non fosse legata al presupposto che le royalties vanno aggiunge al prezzo delle merci importate solo quando costituiscono condizione per la loro vendita, il pagamento di tali diritti sarebbe assoggettato ad una doppia imposizione, sia all’atto dell’importazione che a l momento successivo dell’effettivo pagamento al licenziante;
-l’art. 160 DAC stabilisce che se l’acquirente importatore paga un corrispettivo o un diritto di licenza ad un terzo diverso dal venditore -esportatore, le condizioni di cui all’art. 157 par. 2 sono soddisfatte solo se il venditore o un soggetto ad esso legato esige dall’acquirente il pagamento per conto e nell’interesse del licenziante;
dai contratti prodotti agli atti di causa non risultava che fosse stato richiesto all’acquirente -importatore RAGIONE_SOCIALE il pagamento dei diritti di licenza quale condizione per la vendita della merce importata;
-l’Ufficio non aveva in alcun modo fornito la prova che il pagamento diretto o indiretto (ad un terzo) della royalties costituisse la condizione della vendita, nel senso che il licenziante avrebbe potuto impedire la vendita della merce, se il compratore non avesse pagato le relative royalties, secondo il principio dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cod. civ.;
tale conclusione era confermata anche dalle concrete modalità con le quali erano state determinate le royalties e, segnatamente, sulla percentuale di fatturato della licenziataria, al netto dei resi e degli invenduti, e non sulle importazioni o sugli acquisti;
con specifico riguardo alla posizione dello spedizioniere appellato, poi, non emergeva alcun elemento di responsabilità ex art. 201 CDC, non essendo stata fornita alcuna prova che il predetto potesse essere a conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento di royalties da parte dell’importatore, in considerazione della regolarità e completezza della documentazione fornita da quest’ultimo e, dunque, del legittimo affidamento del rappresentante indiretto in ordine a quanto indicato dall’importatore in tale documentazione;
-l’A DM impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la società contribuente resisteva con controricorso, illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE
-Preliminarmente va rigettata l’istanza della controricorrente di discussione in pubblica udienza, atteso che ‘In tema di giudizio di cassazione, per effetto delle novità introdotte nell’art. 380 bis c.p.c. dal d.l. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla l. n. 197 del 2016, sull’istanza di fissazione dell’udienza proposta ai sensi dell’art. 391, comma 3, c.p.c. può essere disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, per essere riservata alla pubblica udienza la decisione delle sole questioni di diritto aventi rilievo nomofilattico’ (Cass. n. 2647 del 2/02/2018);
ciò posto, con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., 143, 157, 159 e 160 del Reg. CE 2454/1993 (DAC), nonché dell’Allegato 23 alle DAC, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR escluso erroneamente, dal valore della merce in dogana, i compensi corrisposti dalla società importatrice, a titolo di royalties , alla licenziante RAGIONE_SOCIALE sebbene detti corrispettivi dovessero ritenersi condizione della vendita, in quanto il controllo
esercitato dalla licenziante sui prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE non si limitava al mero controllo di qualità, ma aveva natura gestionale, nel senso che la licenziante era nella condizione incidere sull’attività di gestione della società importatrice e dei produttori terzi, come emergeva dalla documentazione complessiva esaminata in sede di verifica e versata agli atti del giudizio e, in particolare, dalla corretta interpretazione delle clausole del contratto intercorrente tra licenziante e licenziataria;
il motivo è fondato;
preliminarmente va disattesa la prima eccezione di inammissibilità di detto motivo, proposta dalla controricorrente, atteso che la censura diritto,
è circostanziata e delinea chiaramente le questioni di nell’ambito delle quali va inquadrata la fattispecie;
-anche la seconda eccezione di inammissibilità è priva di fondamento, in quanto l’ADM non ha contestato la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di appello, ma la corretta identificazione delle nozioni giuridiche (soprattutto di quelle di “condizioni di vendita” e di “legame” fra le parti), che delineano la portata precettiva delle disposizioni unionali applicate; l’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può, di conseguenza, formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. n. 29111 del 5/12/2017);
la ricorrente ha censurato, quindi, la sussunzione dei fatti come accertati nelle disposizioni di riferimento, in quanto sostiene che la
fattispecie concreta è stata giudicata mediante la non corretta applicazione delle previsioni normative di riferimento;
ciò posto, poiché il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sullo stesso incidono anche i diritti di licenza;
in particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC ( ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’ ;
-l’art. 157 DAC chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci;
qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto di importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: -il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’ ;
l’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’ ;
così ricostruito il quadro normativo, nella specie è pacifico che i diritti di licenza non erano stati inclusi nella determinazione del valore doganale, mentre è controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita;
premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC, né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE Dusseldorf, punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza;
-il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo dei diritti di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere;
nel caso come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto diverso dal venditore (il licenziante RAGIONE_SOCIALE), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi
dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.);
– di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza (RAGIONE_SOCIALE, nel senso che occorre verificare ‘ se la persona legata al venditore eserciti un controllo , sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.), dovendosi considerare che i l concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale ‘si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda’ ;
-sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45);
– fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante;
– come è stato precisato nello stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituiva di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi, che fosse andata al di là dei semplici ‘controlli di qualità’, avrebbe potuto dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di cui all’art. 143, par. l, lett. e) delle DAC, con la conseguenza che il pagamento
dei diritti di licenza costituiva una condizione di vendita ai sensi dell’art. 160 delle DAC;
-la questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana è stata più volte esaminata da questa Corte che ha stabilito come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente ” ratione temporis “) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019);
-è stato altresì precisato che deve tenersi conto oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, se alla stessa incorporati, i quali, se riferiti ad un marchio di fabbrica, rilevano quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti
dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019);
infine, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei suddetti corrispettivi, irrilevante essendo la soppressione del documento TAXUD-800-2002-EN e la sua sostituzione col nuovo TAXUD/B4/2016, il quale – fornendo linee orientative più sintetiche correlate al nuovo codice doganale, senza discostarsi da quelle generali del precedente -non costituisce atto normativo ma svolge una funzione esplicativa, anche interpretativa, della disciplina doganale, esulando quindi dalla portata dell’art. 11 delle disp. prel. c.c. (Cass. n. 22761 del 2019);
nel riassumere i termini della questione, dunque, può affermarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: 1) i corrispettivi o i diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; 2) essi si riferiscono alle merci da valutare; 3) l’acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare, nel senso che l’assolvimento degli stessi riveste un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere;
-con riferimento a quest’ultima condizione, poi, qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se
la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate ai diritti di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o dei diritti di licenza ad esse afferenti, potendosi ricavare utili elementi, al fine della individuazione del contenuto della nozione di ‘controllo’, dall’esemplificazione contenuta nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale;
– nel caso in esame, la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali, in quanto ‘dai contratti prodotti agli atti di causa non risulta in alcun modo che siano stati richiesti all’acquirente importatore NOME RAGIONE_SOCIALE né dall’esportatore né dal licenziatario, il pagamento di diritti di licenza quale condizione per la vendita delle merci importate’ e in considerazione della mancata dimostrazione della circostanza che il ‘pagamento diretto (al licenziatario) o indiretto (a soggetto terzo) delle royalties ‘ costituisse ‘condizione della vendita, per l’esportazione, a destinazione della Comunità delle merci importate’;
-la CTR ha poi evidenziato che ‘l’Agenzia delle Dogane non ha provato che il licenziante possa impedire di vendere le merci se il compratore -importatore NOME RAGIONE_SOCIALE non paga le relative royalties esercitando un vero e proprio potere di interdizione con conseguente blocco della produzione, della logistica e della consegna delle merci al licenziatario…’, considerate altresì ‘le modalità in concreto con le quali vengono determinate le royalties, che consistono nell’applicazione di una percentuale sul fatturato della
licenziataria al netto dei resi e degli invenduti, e non sulle importazioni o sugli acquisti’;
i giudici di appello hanno, dunque, ritenuto che i corrispettivi riguardanti le royalties non dovessero essere inclusi nel valore dichiarato in dogana, senza tuttavia esaminare, nel dettaglio, le clausole del contratto di licenza, alla luce dei principi giurisprudenziali prima indicati, e senza verificare, di conseguenza, se sussisteva o meno un potere di controllo da parte del titolare dei diritti di licenza sul fornitore;
da alcune clausole riprodotte nel contenuto del ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, emergono diversi indicatori dai quali si evince che l’ingerenza del licenziante non poteva ritenersi limitata ad un controllo di qualità sul prodotto, in quanto, ad esempio, al punto 5.3 del contratto di licenza, è previsto che la RAGIONE_SOCIALE, entro due settimane dalla prima produzione di un prodotto finito, deve consegnare alla RAGIONE_SOCIALE un prodotto finito rappresentativo della linea e, se questo prodotto non è fabbricato in conformità agli strandard imposti da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non risolverà il problema, il marchio verrà rapidamente rimosso dallo stesso, a scelta e senza nessun costo della RAGIONE_SOCIALE; al punto 5.4 del medesimo contratto si garantisce al licenziante il diritto di ispezionare i prodotti; al punto 7.1 si conferisce al licenziante la possibilità di autorizzazione preventivamente l’utilizzo di qualsiasi forma di pubblicità o imballaggio; i fornitori terzi, poi, devono rispettare il Codice di condotta e il Factory Vendor Agreement, che garantiscono al licenziante il perseguimento da parte degli stessi degli obiettivi produttivi stabiliti dal medesimo; al punto 12.2 lett. c) del contratto di licenza si obbliga la licenziataria di presentare annualmente alla licenziante il business plan relativo alla produzione e alla vendita dei prodotti;
– peraltro, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva »
-con il secondo motivo, denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per vizio di ultrapetizione, avendo la CTR statuito sulla responsabilità dello spedizioniere doganale, sebbene la controparte non avesse mai fatto valere nel ricorso introduttivo la violazione dell’art. 201 CDC;
-con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 201 CDC (ora art. 77 CDU -Reg. UE 952/2013) paragrafo 3, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere escluso erroneamente la responsabilità solidale del rappresentante indiretto;
anche il secondo motivo è fondato, con assorbimento del terzo motivo, avendo entrambe le parti concordemente affermato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva formulato, nel ricorso originario, alcuna censura in ordine alla questione della responsabilità dello spedizioniere doganale con riferimento all’art. 201 CDC;
la CTR si è evidentemente pronunciata oltre i limiti della domanda, in violazione della regola che stabilisce la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;
in conclusione, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, la sentenza va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata, con riferimento ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024