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Valore in dogana: quando includere le royalties?

Una società importatrice di modellini di lusso ha contestato l’inclusione delle royalties nel valore in dogana, necessario per il calcolo di dazi e IVA. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che la richiesta della società rappresentava un inammissibile tentativo di riesaminare il merito della questione, già deciso dai giudici dei gradi inferiori. La Corte ha stabilito che la valutazione dei contratti e delle prove spetta ai giudici di merito e non può essere rivista in sede di legittimità, confermando così la correttezza dell’operato dell’Agenzia delle Dogane nell’includere le royalties nel calcolo del valore in dogana.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore in dogana: la Cassazione chiarisce l’inclusione delle royalties

L’ordinanza in esame affronta una questione cruciale per le aziende che importano beni prodotti su licenza: le somme pagate come royalties per l’utilizzo di marchi famosi devono essere incluse nel valore in dogana della merce? La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia, ha confermato un orientamento rigoroso, stabilendo i limiti del proprio sindacato e ribadendo i principi che regolano la determinazione della base imponibile per dazi e IVA.

I Fatti di Causa

Una società italiana, specializzata nella produzione e commercializzazione di modellini da collezione di auto di lusso, importava una partita di prodotti realizzati su licenza di noti marchi automobilistici. Per poter utilizzare tali marchi, la società pagava delle royalties ai titolari dei brand.

Al momento dell’importazione, l’Agenzia delle Dogane contestava la dichiarazione presentata, sostenendo che le royalties avrebbero dovuto essere incluse nel valore dichiarato della merce. Di conseguenza, l’Agenzia notificava un processo verbale di constatazione, rideterminando i dazi e l’IVA dovuti e irrogando le relative sanzioni.

La società importatrice impugnava il provvedimento, ma sia la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado sia quella di secondo grado respingevano i suoi ricorsi. Giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, la società presentava otto motivi di ricorso, lamentando principalmente la violazione delle normative europee sul valore in dogana e vizi di motivazione da parte dei giudici di merito.

La Decisione della Corte: Inammissibilità e Limiti del Giudizio di Legittimità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili la maggior parte dei motivi di ricorso, riunendoli in un esame congiunto. I giudici hanno sottolineato un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il ricorso per Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove poter ridiscutere i fatti e le prove del caso. Il ruolo della Suprema Corte è quello di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto (sindacato di legittimità), non di effettuare una nuova valutazione del merito della controversia.

La ricorrente, secondo la Corte, cercava di ottenere una nuova e più favorevole interpretazione delle clausole contrattuali e degli elementi di prova, un’attività che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. L’apprezzamento dei fatti, una volta effettuato in modo logico e coerente, non può essere messo in discussione in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che i primi sette motivi di ricorso, pur essendo formulati come violazioni di legge, mirassero in realtà a una riconsiderazione del merito. La società contestava il modo in cui i giudici di appello avevano interpretato gli accordi di licenza e i documenti di prassi europea, sostenendo che non vi fossero i presupposti per includere le royalties nel valore in dogana. Tuttavia, la Cassazione ha ribadito che l’interpretazione dei contratti e la valutazione della rilevanza delle prove sono compiti riservati al giudice di merito. Poiché la sentenza impugnata presentava una motivazione logica e giuridicamente corretta, non vi era spazio per un intervento della Suprema Corte.

Anche l’ottavo motivo, relativo all’omesso esame di un fatto decisivo, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha spiegato che la motivazione della sentenza d’appello, sebbene sintetica, era sufficiente a superare il cosiddetto ‘minimo costituzionale’. Non era né mancante, né meramente apparente, né affetta da contraddizioni insanabili. Pertanto, non sussisteva il vizio lamentato dalla ricorrente.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. Primo, riafferma che il calcolo del valore in dogana è un’operazione complessa in cui le royalties pagate come condizione per la produzione e vendita di beni importati sono, di norma, un elemento da includere nella base imponibile. Le aziende che operano con contratti di licenza devono prestare la massima attenzione a questo aspetto per evitare contenziosi con l’amministrazione doganale. Secondo, la pronuncia delinea con chiarezza i confini del giudizio di Cassazione: non è la sede per contestare l’accertamento dei fatti o l’interpretazione delle prove, ma solo per denunciare vizi di legittimità. Una strategia difensiva basata sulla richiesta di una nuova valutazione del merito è, come dimostra questo caso, destinata all’insuccesso.

Le royalties pagate per l’utilizzo di un marchio su prodotti importati devono essere incluse nel valore in dogana?
Sì, la sentenza conferma implicitamente la decisione dei giudici di merito che hanno ritenuto corretto includere le royalties pagate ai titolari dei marchi nel valore delle merci importate ai fini del calcolo di dazi e IVA, respingendo le contestazioni dell’importatore.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le clausole di un contratto già valutate dai giudici di merito?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, inclusa l’interpretazione delle clausole contrattuali. Il suo ruolo è limitato a controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, la valutazione già fatta dal giudice di merito.

Cosa succede se la motivazione di una sentenza d’appello è considerata sufficiente?
Se la motivazione della sentenza d’appello raggiunge il ‘minimo costituzionale’, ovvero non è mancante, contraddittoria o meramente apparente, il ricorso per Cassazione basato su un presunto vizio di motivazione (come l’omesso esame di un fatto decisivo) viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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