Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13026 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13026 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36423/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamenta domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-contricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. II° GRADO DELLA LOMBARDIA n. 2243/2018 depositata il 17/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle dogane e dei monopoli, all’esito di una verifica ispettiva su operazioni doganali di importazione, compiute dallo spedizioniere RAGIONE_SOCIALE negli anni 2010/2012 per conto della RAGIONE_SOCIALE, licenziataria di prodotti appartenenti al marchio RAGIONE_SOCIALE rilevò la mancata inclusione nel valore dichiarato in dogana dell’importo versato alla licenziante per l’utilizzo del suddetto marchio. Sul presupposto della debenza di maggiori dazi e maggiore Iva all’importazione, l’Agenzia notificò avviso di rettifica dell’accertamento e atto di irrogazione di sanzioni amministrative. Lo spedizioniere adì la Commissione tributaria provinciale di Milano, che ne accolse le ragioni. L’appello proposto dall’ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia fu rigettato. Il giudice regionale ha ritenuto di escludere che le royalties costituissero condizione per la vendita delle merci importate, non avendone l’Agenzia fornito prova. La Commissione lombarda ha, inoltre, escluso la responsabilità in capo allo spedizioniere, non emergendo prove nei suoi confronti, quale rappresentante indiretto, della conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento delle royalties da parte della licenziataria RAGIONE_SOCIALE L’Amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza, affidandosi a due motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e avanzato ricorso incidentale incentrato su tre motivi. Successivamente la contribuente ha depositato memoria. Nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso principale la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 201 Reg. CE 2013/1992 e degli artt. 2699 e ss. c.c., anche in combinato disposto fra loro, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., contestando le errate conclusioni cui il giudice regionale nella parte in cui ha affermato che l’ufficio avrebbe dovuto provare che il dichiarante era o avrebbe dovuto essere ragionevolmente a conoscenza dell’erroneità dei dati.
Con il secondo motivo di ricorso principale la ricorrente contesta la violazione falsa applicazione dell’art. 303 d.P.R. n. 43 del 1973 e 70 d.P.R. n. 633 del 1972, avuto riguardo all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la Commissione regionale ‘ implicitamente annullato come conseguenza dell’annullamento degli avvisi di accertamento, anche le sanzioni ‘.
Il primo motivo di ricorso principale è fondato e va accolto con assorbimento del secondo motivo del medesimo ricorso.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che lo spedizioniere che presenta merci in dogana per conto terzi, ma in nome proprio, beneficiando dell’ammissione alla procedura semplificata di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 374 del 1990, risponde, ai sensi degli artt. 201 e 202 del regolamento CEE n. 2913 del 1992 (Codice doganale comunitario), solidalmente col soggetto per conto del quale ha presentato la merce, di tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all’operazione commerciale, compresi gli interessi relativi, essendo tale figura di rappresentante indiretto in grado di valutare, anche per la propria preparazione professionale, la veridicità dei documenti trasmessigli e, quindi, consapevole dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità (cfr. Cass. 4 giugno 2019, n. 15207; 28 giugno 2019, n. 17496; 27 aprile 2021, n. 11029; 28 gennaio
2020, n. 1848). D’altronde non può certo parlarsi in questo caso di responsabilità oggettiva, e ciò sia perché è indiscutibile che il presidio di garanzia, che va offerto dal rappresentante indiretto, trova fondamento nella sua professionalità. In essa va senz’altro compresa la capacità di lettura della documentazione che accompagna o deve accompagnare la merce all’importazione, per la quale, ai fini della di dichiarazione del valore della merce in tema di royalties , non sono indifferenti, come chiarito, i rapporti di controllo o di orientamento della società licenziante sui produttorivenditori. Peraltro, ad esclusione della responsabilità oggettiva, resta salvo che lo spedizioniere rappresentante indiretto possa ben provare la propria buona fede, alle condizioni previste dall’art. 220, § 2, lett. b, del codice doganale comunitario.
La sentenza impugnata si limita invece ad affermare che ‘ non è stata fornita prova alcuna in merito al fatto che lo spedizioniere potesse essere a conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento di royalties da parte di RAGIONE_SOCIALE . Si tratta di una considerazione che manca di ogni riferimento specifico alla consapevolezza dei doveri di diligenza professionale da parte dello spedizioniere e che, pertanto, si palesa lontana dall’applicazione dei principi di diritto dispensati dalla Corte di legittimità in materia.
Con il primo motivo di ricorso incidentale si contesta la violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c. e degli artt. 32, par. 1, lett. c), 157, par. 2, e 160 Disp.Att. CDC (Reg. n. 2454 del 1993), in quanto la CTR ha erroneamente sostenuto che il pagamento delle royalties costituisse ‘condizione di vendita’ delle merci prodotte e che, conseguentemente, la licenziante NOME RAGIONE_SOCIALE, esercitasse un controllo indiretto sulla produzione e sui produttori, in contrasto, tra l’altro, con i criteri interpretativi fissati dalla prassi doganale comunitaria, internazionale e nazionale.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., ‘ in quanto la CTR ha
ritenuto di poter superare l’accertata insussistenza degli indicatori previsti dal Comitato, elementi indiziari decisivi ai fini della prova della mancanza di un controllo di fatto sul contenuto ‘.
Deve trattarsi in principalità il secondo motivo del ricorso incidentale, che è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del primo motivo.
Invero, la daziabilità delle royalties è affermata dalla Corte regionale senza specificare in alcun modo gli elementi contrattuali dai quali ha attinto la relativa convinzione. Non risultano esposti -nemmeno sommariamente -gli addentellati che sorreggono, nell’economia del ragionamento, la circostanza rappresentata dalla sussistenza nel rapporto negoziale del versamento dei diritti di licenza come ‘condizione di vendita’.
Ora, come si è accennato sopra i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico. Sicché, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa il relativo importo, l’art. 32 del codice doganale comunitario (Reg. n. 2913/92) stabilisce che al prezzo si addizionano « …c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare… ». Il Regolamento n. 2454/93 -parimenti segnalato prima -contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario (DAC), specifica questa regola. In generale, esso stabilisce che « …quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’articolo 29 del codice si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e costituisce una condizione di vendita delle merci in causa » (art.
157, paragrafo 2). Tuttavia, la daziabilità delle royalties postula il ricorso delle tre condizioni cumulative prima menzionate: i. omessa inclusione delle royalties nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; ii. riferibilità delle royalties alle merci da valutare; iii. obbligo dell’acquirente di corrispondere le royalties come condizione della vendita delle merci da valutare. In particolare, con riguardo al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, il regolamento di attuazione specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: -il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, -le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore (art. 159).
Sempre per il caso in cui l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il Regolamento prescrive che « …le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento » (art. 160).
La disciplina generale fissata dal paragrafo 2 dell’art. 157, dunque, trova specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardi un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. E le particolarità finiscono col contrassegnare, più di ogni altra, l’identificazione delle « condizioni di vendita delle merci in causa », che devono rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate. Quanto alla configurabilità del
versamento dei diritti di licenza, come condizione di vendita della merce, né l’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale né l’art. 157, paragrafo 2, del regolamento n° 2454/93 precisano cosa si debba intendere per « condizione di vendita » delle merci da valutare.
A riempire la lacuna soccorre l’interpretazione che della disciplina ha fornito la Corte di giustizia con la sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/15, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE Nella decisione la Corte di giustizia ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del commento n. 3 del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia disposto, oppure no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza. In generale, dunque, il pagamento in questione è una « condizione di vendita » delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata- e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; – occorre cioè, come ha chiarito la Corte di giustizia (in causa C-173/15, punto 68), « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ».
Sul punto, l’allegato 23 delle DAC – Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, paragrafo 1, lettera e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), stabilisce che « si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o
di orientamento sulla seconda ». Il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto, dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato. Quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene.
Questo quadro di principi si mostra obliterato nell’approccio assiomatico del giudice d’appello, il quale trascura di cimentarsi, da un lato con le clausole contrattuali, dall’altro con gli utili indicatori suscettibili d’esser tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ). Tali indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C-173/15, punto 45, « sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice ». Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto
concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc. -il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante. In tema di diritti doganali, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il condivisibile principio di diritto, secondo cui: ” Ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza ” (Cass. nn. 8473 del 2018; 25438 del 2018; 25437 del 2018; 24996 del 2018).
Il giudice regionale ha opinato in modo vistosamente difforme da tali principi e, in tal senso, si è posto in urto frontale anche con la norma codicistica in punto di presunzioni, l’art. 2729 c.c., lasciando in ombra l’identificazione degli elementi sintomatici e presuntivi
idonei a giustificare l’affermazione in punto di daziabilità correlata al versamento dei diritti di licenza come ‘condizione di vendita’.
Pertanto, la censura incidentalmente esplicitata dalla RAGIONE_SOCIALE va senz’altro accolta, rivelandosi imprescindibile che il giudice d’appello muova da una disamina minuziosa della documentazione contrattuale regolante il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE titolare dei marchi, e i terzi produttori (a loro volta esportatorivenditori della licenziataria RAGIONE_SOCIALE), tanto da poter appurare o -viceversa -escludere che la licenziante: a) esercitava un potere di orientamento sul produttore, nonché anche poteri di controllo, tramite attività periodica di auditing su di essi in ordine al rispetto del ‘Codice di condotta’; b) forniva i modelli da utilizzare per la produzione, definendo anche il carattere delle merci e la qualità dei componenti utilizzabili, con una conseguente produzione di specifica scelta della licenziante, per concezione e design; c) il produttore non era autorizzato a mostrare a terzi gli esemplari i disegni o comunque fornire informazioni riservate, relative al marchio, sottoposto a licenza.
In altri termini il giudice è tenuto a confrontarsi con la pluralità di indicatori rinvenibili nel documento TAXUD/800/2002, alla stregua delle regole ermeneutiche illustrate, nell’ottica di riconoscere o, viceversa, di escludere se il titolare dei diritti immateriali fosse dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e fosse il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza.
Il secondo motivo va dunque accolto.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura, ai sensi dell’art. 360, co. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un punto decisivo per la controversia, in quanto la CTR avrebbe omesso di considerare che il Codice di condotta e il relativo Quality Standard Manual provenivano dalla RAGIONE_SOCIALE e non dalla RAGIONE_SOCIALE e che il design dei capi era deciso da RAGIONE_SOCIALE e non da
GUESS RAGIONE_SOCIALE, così incorrendo in un errore percettivo su circostanze di fatto decisive per valutare la legittimità del teorema accertativo. Il terzo motivo è inammissibile.
Convergenti i profili che in tal senso depongono. Il mezzo di ricorso si risolve, innanzitutto, in una mescolanza non intellegibile e al fondo del tutto imperscrutabile di censure, dacché, da un lato, adombra l’omissione di motivazione, dall’altra, si duole di un errore percettivo. Inoltre, e in senso assorbente, agita una questione, quella relativa all’omessa considerazione del ‘Codice di condotta ‘ e del Quality Standard Manual , che nemmeno figura nella sentenza impugnata. Va allora richiamato il principio espresso dal questo Corte a tenore del quale ‘ Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla RAGIONE_SOCIALE. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione ‘ (Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 18018 del 2014).
In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo mezzo; va accolto, inoltre, il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il primo motivo e dichiarato inammissibile il terzo motivo del ricorso incidentale medesimo. Pertanto, la sentenza deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II° grado della Lombardia, che, oltre a provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, rivaluterà l’appello dell’Amministrazione delle dogane facendo applicazione dei principi di diritto esposti in sentenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e ne dichiara assorbito il secondo; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, ne dichiara assorbito il primo e ne dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II° grado della Lombardia, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10/12/2024.