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Valore in dogana: la Cassazione su royalties e sanzioni

Una società internazionale del settore moda ha impugnato un avviso di accertamento che aumentava il valore in dogana dei beni importati, includendovi commissioni d’acquisto, costi di assistenza tecnica e royalties. La Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso. Ha stabilito che le commissioni d’acquisto possono essere escluse dal valore in dogana se derivano da un autentico mandato di rappresentanza, demandando al giudice di merito la verifica. Ha inoltre giudicato sproporzionata la sanzione di 20.000 euro per un’imposta evasa di 3.586 euro, imponendone la rideterminazione in base al diritto europeo. È stata invece confermata l’inclusione delle royalties nel calcolo.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore in dogana: la Cassazione chiarisce su royalties, commissioni e sanzioni sproporzionate

La corretta determinazione del valore in dogana è un elemento cruciale per le aziende che operano a livello internazionale, poiché incide direttamente sui dazi da versare. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna su questo tema complesso, offrendo importanti chiarimenti su quali costi debbano essere inclusi nella base imponibile e, soprattutto, sul principio di proporzionalità delle sanzioni. Il caso ha riguardato una nota azienda del settore moda e l’Agenzia delle Dogane, fornendo principi applicabili a tutte le imprese importatrici.

I Fatti: L’Accertamento Doganale e le Voci di Costo Contestate

Una multinazionale del settore abbigliamento e calzature si è vista notificare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Dogane. L’amministrazione contestava la mancata inclusione nel valore in dogana di tre specifiche categorie di costi:
1. Commissioni d’acquisto: somme corrisposte a una società del medesimo gruppo, con sede all’estero, per servizi legati all’approvvigionamento dei beni.
2. Costi di assistenza tecnica (TAC): spese di design, sviluppo e gestione di campionari.
3. Royalties: corrispettivi versati ai titolari dei marchi per l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’Agenzia, confermando l’accertamento e le relative sanzioni. L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando punto per punto la decisione dei giudici di merito.

L’Analisi della Corte sul Valore in Dogana e le Commissioni d’Acquisto

Il primo motivo di ricorso riguardava l’erronea inclusione delle commissioni d’acquisto nel valore in dogana. La normativa comunitaria (art. 32 del Reg. CEE n. 2913/92) prevede espressamente che le “commissioni d’acquisto” siano escluse dalla base imponibile. Si definiscono tali le somme versate a un agente che rappresenta l’importatore al momento dell’acquisto.

La Corte di Cassazione ha accolto questo motivo, ritenendolo fondato. I giudici di legittimità hanno criticato la sentenza di merito per aver liquidato la questione in modo sbrigativo, qualificando il ruolo della società del gruppo come mera “intermediazione” senza un’analisi approfondita del contratto di agenzia (cd. Buying Agency Agreement). La Corte ha sottolineato che è fondamentale verificare se l’agente agisca effettivamente nell’interesse esclusivo dell’importatore. La semplice appartenenza al medesimo gruppo societario non è sufficiente a escludere un vero rapporto di agenzia. Per questo, la sentenza è stata cassata con rinvio, affinché il giudice di secondo grado compia questa verifica cruciale.

Royalties e Controllo di Fatto: Quando si Includono nel Valore in Dogana?

Un altro punto centrale era l’inclusione delle royalties. La regola generale è che le royalties vanno aggiunte al valore della merce se il loro pagamento costituisce una “condizione della vendita”. L’azienda sosteneva che, non essendo tale condizione prevista esplicitamente nei contratti, le royalties non dovessero essere incluse.

La Cassazione ha respinto questa tesi, confermando un orientamento consolidato. Il presupposto per l’inclusione non richiede un’espressa previsione contrattuale. È sufficiente che il licenziante (titolare del marchio) sia in grado di esercitare un potere di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, sul produttore. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano riscontrato tale controllo attraverso l’analisi dei contratti di licenza, che imponevano al licenziatario di stipulare accordi con i produttori per garantire standard qualitativi e l’integrità del marchio. Questo reciproco collegamento contrattuale, secondo la Corte, dimostrava l’esistenza di un controllo che rendeva il pagamento delle royalties una condizione implicita della vendita.

La Questione Cruciale delle Sanzioni: Il Principio di Proporzionalità

Il motivo di ricorso più dirompente riguardava l’entità della sanzione. A fronte di maggiori diritti accertati per circa 3.586 euro, era stata irrogata una sanzione di 20.000 euro, applicando il minimo edittale previsto dall’art. 303 del Testo Unico delle Leggi Doganali (TULD).

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente questa doglianza, affermando un principio di diritto di fondamentale importanza. I giudici hanno riconosciuto l’evidente sproporzione tra l’imposta evasa e la sanzione. Richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la Cassazione ha stabilito che il principio di proporzionalità è un principio generale del diritto dell’Unione che deve essere applicato anche in materia di sanzioni doganali.

le motivazioni

La Corte ha specificato che il giudice nazionale ha l’obbligo di interpretare la normativa interna (in questo caso l’art. 303 TULD) in modo conforme al principio di proporzionalità. Questo significa valutare la sanzione in concreto, tenendo conto della gravità della violazione e degli obiettivi della normativa. Qualora un’interpretazione conforme non sia possibile, il giudice deve procedere alla disapplicazione della norma nazionale che si pone in contrasto con il diritto europeo. La sanzione, pertanto, non può essere un automatismo basato su scaglioni fissi, ma deve essere adeguata al caso specifico. Su questo punto, la sentenza è stata cassata e il caso rinviato al giudice di merito per una nuova determinazione della sanzione.

le conclusioni

Questa sentenza offre spunti operativi essenziali per le imprese. In primo luogo, ribadisce l’importanza di strutturare correttamente i contratti di agenzia per gli acquisti, al fine di poter legittimamente escludere le relative commissioni dal valore in dogana. In secondo luogo, conferma che la valutazione sull’inclusione delle royalties dipende da un’analisi sostanziale del controllo esercitato dal licenziante, al di là del tenore letterale dei contratti. Infine, e soprattutto, sancisce con forza l’applicazione del principio di proporzionalità, aprendo la strada alla contestazione di sanzioni doganali che, seppur applicate nel minimo di legge, risultino manifestamente eccessive rispetto alla violazione commessa. Si tratta di un’affermazione di civiltà giuridica che bilancia le esigenze dell’erario con i diritti del contribuente.

Le commissioni pagate a una società del proprio gruppo per l’acquisto di merci vanno sempre incluse nel valore in dogana?
No. Secondo la Corte, le “commissioni d’acquisto” sono escluse dal valore in dogana. È però necessario verificare la natura del rapporto: se si tratta di un vero servizio di rappresentanza fornito nell’interesse dell’importatore, le commissioni sono escluse. Se invece è un’attività di intermediazione generica, vanno incluse. La mera appartenenza allo stesso gruppo non è decisiva.

I pagamenti per le royalties su un marchio devono essere aggiunti al valore della merce importata?
Sì, se costituiscono una condizione di vendita. La Corte chiarisce che tale condizione esiste non solo quando è prevista espressamente, ma anche quando il titolare del marchio (licenziante) esercita un potere di controllo o di orientamento, di fatto o di diritto, sul produttore delle merci, anche qualora il pagamento sia effettuato verso una società diversa dal venditore.

È legittima una sanzione doganale di 20.000 euro a fronte di maggiori diritti evasi per 3.586 euro?
No, la Corte ha ritenuto tale sanzione in violazione del principio di proporzionalità del diritto dell’Unione Europea. Il giudice nazionale ha il dovere di interpretare la norma sanzionatoria in modo conforme a tale principio o, se impossibile, di disapplicare la norma nazionale e rideterminare la sanzione in modo che sia adeguata alla gravità della violazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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