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Valore in dogana: la Cassazione su royalties e sanzioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32989/2024, interviene sulla determinazione del valore in dogana delle merci importate. Il caso riguarda una multinazionale del settore abbigliamento sportivo a cui l’Agenzia delle Dogane aveva contestato l’omessa inclusione di costi per commissioni, assistenza tecnica e royalties. La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, cassando la sentenza precedente con rinvio. Ha stabilito che il giudice di merito dovrà verificare se le commissioni corrisposte a una società del gruppo fossero vere ‘commissioni d’acquisto’ (escluse dal valore in dogana) o di intermediazione. Ha invece confermato l’inclusione delle royalties, ritenendo sufficiente un potere di controllo di fatto del licenziante sul produttore. Fondamentale, infine, l’accoglimento del motivo sulla sanzione, giudicata sproporzionata: i giudici dovranno applicare il principio di proporzionalità di matrice europea, disapplicando la norma interna se necessario.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore in Dogana: La Cassazione detta le regole su Royalties, Commissioni e Sanzioni

La corretta determinazione del valore in dogana è un aspetto cruciale per le aziende che operano a livello internazionale, poiché incide direttamente sull’ammontare dei dazi da versare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32989 del 2024, ha fornito chiarimenti fondamentali su quali elementi debbano essere inclusi in tale valore, con un focus specifico su commissioni d’acquisto, royalties e, soprattutto, sulla proporzionalità delle sanzioni. Questa decisione rappresenta un punto di riferimento importante sia per gli operatori del settore che per i professionisti del diritto tributario.

I Fatti di Causa: La Determinazione del Valore in Dogana

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di una nota multinazionale del settore dell’abbigliamento sportivo e della sua società di logistica. L’Agenzia contestava l’errata determinazione del valore in dogana di alcuni beni importati, sostenendo che la società avesse omesso di includere tre tipologie di costi:

1. Commissioni di acquisto: pagate a una società del medesimo gruppo per servizi di sourcing.
2. Costi di assistenza tecnica (TAC): relativi a design, sviluppo e campionari.
3. Royalties: corrisposte per l’utilizzo del marchio.

I giudici di primo e secondo grado avevano dato ragione all’Agenzia, confermando la rettifica e le relative sanzioni. La società importatrice ha quindi proposto ricorso in Cassazione, articolando quattro motivi di contestazione.

La Decisione della Corte: Accoglimento Parziale del Ricorso

La Suprema Corte ha accolto il primo e il quarto motivo di ricorso, rigettando gli altri due e cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per una nuova valutazione.

Le Commissioni d’Acquisto e il Ruolo dell’Agente

Sul primo punto, la Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza della ricorrente. La normativa doganale europea esclude dal valore in dogana le cosiddette “commissioni d’acquisto”, definite come le somme pagate a un agente che rappresenta l’importatore al momento dell’acquisto. La Corte ha chiarito che il giudice di merito ha errato nel qualificare l’attività della società di sourcing come mera intermediazione senza un’adeguata analisi del contratto. Sarà quindi necessario, in sede di rinvio, verificare la natura dell’incarico per stabilire se si trattasse di una vera rappresentanza nell’interesse esclusivo del compratore, nel qual caso le commissioni non sarebbero imponibili.

Royalties e Controllo sul Produttore: un criterio di fatto

La Corte ha invece rigettato il motivo relativo all’inclusione delle royalties. Secondo la giurisprudenza consolidata, i corrispettivi per l’uso del marchio devono essere aggiunti al valore in dogana se il loro pagamento costituisce una “condizione di vendita”. Tale condizione sussiste non solo per previsione contrattuale esplicita, ma anche quando il titolare del marchio (licenziante) esercita, di diritto o di fatto, un potere di controllo o di orientamento sulle scelte del produttore. La valutazione di tale controllo è un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato dal giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità.

Il Valore in Dogana e il Principio di Proporzionalità delle Sanzioni

Il punto più innovativo e dirompente della sentenza riguarda il quarto motivo, relativo alla sproporzione della sanzione applicata (oltre 500.000 euro a fronte di maggiori dazi per circa 193.000 euro). La Cassazione ha accolto pienamente la tesi della ricorrente, svolgendo un’approfondita analisi del principio di proporzionalità, alla luce sia della giurisprudenza costituzionale che di quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Le Motivazioni

La Corte ha affermato un principio di diritto di fondamentale importanza: in materia di tributi armonizzati come i dazi doganali, il giudice nazionale ha il dovere di applicare il principio di proporzionalità delle sanzioni, che è un principio generale del diritto dell’Unione. Questo dovere si esplica in due fasi:

1. Interpretazione conforme: Il giudice deve prima tentare di interpretare la norma sanzionatoria nazionale (in questo caso, l’art. 303 del T.U. Leggi Doganali) in modo che la sanzione irrogata in concreto sia proporzionata alla gravità della violazione.
2. Disapplicazione: Qualora l’interpretazione conforme non sia possibile e la norma interna porti a un risultato palesemente sproporzionato, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna in favore del principio unionale.

Nel caso specifico, una sanzione pari a due volte e mezzo l’imposta evasa è stata giudicata contraria al principio di proporzionalità. Il giudice del rinvio dovrà quindi rideterminare la sanzione tenendo conto della gravità effettiva della condotta e dell’obiettivo di tutela degli interessi finanziari dell’Unione.

Conclusioni

Questa sentenza segna un passo importante nella tutela dei contribuenti e nell’affermazione dei principi europei nell’ordinamento nazionale. Le implicazioni pratiche sono notevoli. In primo luogo, le aziende devono prestare massima attenzione alla strutturazione dei contratti di sourcing per poter beneficiare dell’esclusione delle commissioni d’acquisto. In secondo luogo, la decisione conferma che il controllo di fatto sul processo produttivo è un elemento chiave per l’inclusione delle royalties nel valore in dogana. Infine, e soprattutto, viene rafforzato il ruolo del giudice tributario, che non è più un mero applicatore di sanzioni predeterminate, ma è chiamato a un’attiva valutazione di proporzionalità, con il potere di disapplicare le norme nazionali che portano a risultati iniqui e contrastanti con il diritto europeo.

Quando le royalties per l’uso di un marchio devono essere incluse nel valore in dogana?
Le royalties devono essere incluse nel valore in dogana quando il loro pagamento costituisce una condizione per la vendita delle merci importate. Secondo la Corte, questa condizione sussiste non solo quando è prevista espressamente, ma anche quando il titolare del marchio esercita, di fatto o di diritto, un potere di controllo o di orientamento sulle scelte del produttore dei beni.

Cosa distingue una ‘commissione d’acquisto’ (esclusa dal valore in dogana) da altri costi di intermediazione?
Una ‘commissione d’acquisto’ è una somma versata da un importatore al proprio agente per il servizio di rappresentanza fornito al momento specifico dell’acquisto delle merci. Per essere considerata tale, l’attività deve essere svolta nell’esclusivo interesse dell’acquirente. Se l’attività è più assimilabile a una generica intermediazione o è svolta anche nell’interesse del venditore, il costo non è qualificabile come commissione d’acquisto e va incluso nel valore in dogana.

Cosa deve fare un giudice se ritiene una sanzione doganale sproporzionata?
Il giudice deve innanzitutto tentare di interpretare la norma sanzionatoria nazionale in modo conforme al principio di proporzionalità del diritto dell’Unione Europea, per adeguare la sanzione alla gravità della violazione. Se tale interpretazione non è possibile e la norma nazionale impone una sanzione palesemente eccessiva, il giudice ha il dovere di disapplicare la norma interna e applicare direttamente il principio europeo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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