Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6511 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6511 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7543/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO; -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE A SOCIO UNICO, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO pres so lo studio dell’avvocato studio tributario Deiure;
-controricorrenti-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 4025/2018, depositata il 26 settembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -In data 2 febbraio 2012 l’Agenzia delle Dogane, Ufficio di Milano 1, ha iniziato una verifica nei con fronti della RAGIONE_SOCIALE, società licenziataria del Gruppo RAGIONE_SOCIALE in relazione alla produzione e distribuzione in Europa dei prodotti di abbigliamento a marchio RAGIONE_SOCIALE. Il controllo fiscale, teso ad accertare la regolarità e la veridicità degli elementi assunti a base dell’imposizione fiscale, con particolare riguardo al valore dichiarato in dogana, ha riguardato le operazioni di importazione effettuate dalla società nel periodo dal l’ 1 luglio 2010 al 31 dicembre 2012. Da tale controllo è emerso che al valore delle merci a marchio RAGIONE_SOCIALE importate in Italia, non è stato addizionato il diritto di licenza ( royalty ) che la RAGIONE_SOCIALE in qualità di licenziataria, è tenuta a corrispondere alla capogruppo statunitense, RAGIONE_SOCIALE, determinato in percentuale sulle vendite effettuate in Europa. I verificatori, pertanto, hanno proceduto all’esame dei documenti in possesso della società, al fine di verificare se il pagamento delle royalties alla casa madre si riferisse alle merci oggetto della valutazione e se costituisse una condizione di vendita delle merci in causa ai sensi dell’art. 32, par. 1, lett. c), del Codice dogale europeo e dell’art. 157, paragrafo 2, delle relative disposizioni di applicazione (normativa applicabile ratione temporis ). Sulla base degli elementi sopra accennati, l’Ufficio, in data 20 novembre 2013, ha notificato il Processo verbale
di constatazione n. 33129 alla RAGIONE_SOCIALE . L’Ufficio emetteva, nei con fronti di RAGIONE_SOCIALE sagl e di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (Italy) RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, 28 avvisi di rettifica dell’accertamento e 14 atti irrogativi della sanzione che riprendevano a tassazione le bollette presentate dal 1 gennaio 2011 al 31 marzo 2011.
Tutti gli atti venivano impugnati con separato ricorso in cui, premessa la normativa applicabile e gli indicatori del Comitato Taxud, si deduceva che la RAGIONE_SOCIALE ha piena libertà di decidere di produrre la merce presso propri stabilimenti ovvero presso terzisti comunitari o extracomunitari e che sotto il profilo contrattuale e fattuale, i rapporti (formali o sostanziali) con tali terzisti sono esclusivamente riservati a RAGIONE_SOCIALE, mentre RAGIONE_SOCIALE non esercita alcuna forma di controllo (né formale, né tanto meno sostanziale). Le società rappresentavano che non sussistevano, nel caso di specie, gli indicatori previsti dalla prassi doganale comunitaria; deducevano , altresì, la violazione dell’art. 32, paragrafo 1, lett. c) del Codice dogale europeo e 157 e ss. delle disposizioni di applicazione, nonché del Commento n. 11 del Comitato. In relazione alle sanzioni, veniva dedotta la violazione dell’art. 10 della legge 212 del 2000.
L’Ufficio si costituiva in tutti i giudizi , affermando la legittimità del proprio operato.
La Commissione tributaria provinciale di Milano, previa riunione di tutti i ricorsi, con sentenza n. 2787/44/16, accoglieva i ricorsi.
-Avverso la suddetta sentenza interponeva appello l’Agenzia.
Si costituivano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e tutti gli altri coobbligati che ribadivano quanto già dedotto in primo grado.
Con sentenza n. 4025/09/2018 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello .
-L’ Agenzia delle dogane e dei monopoli ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE e gli altri coobbligati si sono costituiti con controricorso ad eccezione della RAGIONE_SOCIALE che non ha svolto attività difensiva.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
I controricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente va respinta la richiesta di trattazione in pubblica udienza.
In tema di giudizio di cassazione, l’art. 375 cod. proc. civ. , nel testo novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, delinea un rapporto di regola-eccezione, secondo cui i ricorsi sono normalmente destinati ad essere definiti all’esito dell’adunanza camerale nelle forme previste dall’art. 380 bis.1 cod. proc. civ., salvo nei casi di revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, ipotesi quest’ultima non ricorrente ove la questione sia già stata risolta dalla Corte ovvero qualora il principio di diritto da enunciare sia solo apparentemente nuovo, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, seppur in relazione a fattispecie concrete diverse rispetto a quelle già vagliate (Cass., Sez. Un., 19 febbraio 2024, n. 4331).
Nel giudizio di cassazione, il collegio giudicante può escludere, nell’esercizio della propria discrezionalità, la rimessione di una causa alla pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato del principio di diritto da applicare e quando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica; ne consegue che la sede dell’adunanza camerale è compatibile con la trattazione di questioni
nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite (Cass., Sez. VI-5, 26 ottobre 2022, n. 31679).
Nel caso di specie, le questioni prospettate non rivestono rilevanza nomofilattica, essendovi già state pronunce di questa S.C. sulla determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, vigente al momento della verifica dell’accertamento di cui è causa.
2. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. e degli artt. 157, 159 e 160 del Regolamento Comunità Europea del 2/07/1993 n. 2454 (DAC), dell’art. 143 DAC e dell’art. 23 DAC, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente contesta la pronuncia della Commissione tributaria regionale nella parte in cui ha affermato che dai contratti prodotti agli atti di causa non risulta in alcun modo che siano stati richiesti all’acquirente-importatore RAGIONE_SOCIALE, né dall’esportatore né dal licenziatario, il pagamento dei diritti di licenza quale condizione per la vendita delle merci importate. Con tale affermazione, la Commissione tributaria regionale avrebbe commesso un evidente violazione delle norme che regolano la materia, in contrasto con il senso letterale delle parole e non comprendendo la comune intenzione delle parti. Secondo quanto prospettato, utilizzando i criteri enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, si può ritenere che i poteri di controllo previsti dalle clausole contrattuali costituiscano quella serie di elementi che, connessi tra loro, in base alle ‘ regole di esperienza proprie del rapporto di licenza ‘ consentono al titolare del marchio e dei modelli di ‘ controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva ‘ .
2.1. -Il motivo è fondato.
Preliminarmente vanno respinte le eccezioni sollevate dalla controricorrente in ordine alla sua inammissibilità. Non risponde al vero che il motivo sia affetto da indeterminatezza e assenza di ragioni di critica specifica alla sentenza, perché l’ufficio ha chiarito in che termini fosse evidente la sussistenza dei presupposti per tener conto delle royalties , ai fini della determinazione del valore della merce importata dal licenziatario, ed ha esplicitato gli errori di diritto commessi dal giudice regionale nell’applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 e ss., cod. civ., in materia di interpretazione del contratto.
Per le medesime ragioni va respinta l’ulteriore eccezione di inammissibilità del motivo, fondata sull’assunto che con esso l’Amministrazione finanziaria abbia sollecitato un giudizio in fatto in sede di legittimità, indirizzandosi invece le censure all’emersione dell’erronea applicazione delle regole ermeneutiche sull’interpretazione del contratto.
Priva di pertinenza, oltre che di fondamento, è, infine, l’eccepita inammissibilità ex art. 348 ter cod. proc. civ., cd. doppia conforme, posto che la censura è di violazione di legge e non di omesso esame.
Occorre premettere, in primo luogo, che la prospettata lesione dei criteri ermeneutici risulta ben posta: la ricorrente, senza limitarsi a riproporre l’interpretazione dei contratti a sé favorevole, ha infatti fatto esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate incluse le Disposizioni d’applicazione del Codice doganale comunitario (DAC) e l’Allegato 23 alle stesse ed ai principi in esse contenuti, precisando anche in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si è discostato dai canoni legali assunti come violati con riferimento alle clausole contrattuali riportate in ricorso per compiuta autosufficienza e, sulla base di argomentazioni illogiche, è giunto ad escludere il valore delle royalties dal valore
della merce da dichiarare alla dogana ai fini degli artt. 157 par. 2 e 160 DAC.
Ciò premesso, è opportuno esaminare la disciplina applicabile in materia.
La nozione coinvolta è quella del valore in dogana delle merci importate, che, di regola, è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve le rettifiche da effettuare conformemente all’art. 32 Codice doganale comunitario (CDC) (Corte giust. 12 dicembre 2013, COGNOME e a ., causa C-116/12, punti 38, 44 e 50, nonché 21 gennaio 2016, COGNOME , causa C-430/14, punto 15). Esso deve riflettere il valore economico reale della merce importata, con conseguente considerazione di tutti i fattori economicamente rilevanti (in termini, da ultimo, Corte giust. 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu ).
Anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico. Sicché, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa il relativo importo, l’art. 32 del codice doganale comunitario (Reg. n. 2913/92) stabilisce che al prezzo si addizionano «…c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare …».
Il Regolamento n. 2454/93, contenente disposizioni di attuazione del Codice doganale comunitario, specifica questa regola. In generale, esso stabilisce che «… quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’articolo 29 del codice si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o
pagabile soltanto se tale pagamento: si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e costituisce una condizione di vendita delle merci in causa » (art. 157, paragrafo 2).
È necessario, dunque, il ricorso di tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare.
In particolare, con riguardo al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, il regolamento di attuazione specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare «soltanto se: il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore (art. 159).
Sempre per il caso in cui l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il Regolamento prescrive che «… le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento » (art. 160).
La disciplina generale fissata dal paragrafo 2 dell’art. 157, dunque, trova specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardi un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. E le particolarità finiscono col contrassegnare, più di ogni altra, l’identificazione delle «condizioni di vendita delle merci in
causa», che devono rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate.
Quanto alla configurabilità del versamento dei diritti di licenza, come condizione di vendita della merce, né l’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale né l’art. 157, paragrafo 2, del regolamento n° 2454/93 precisano cosa si debba intendere per «condizione di vendita» delle merci da valutare. A riempire la lacuna soccorre l’interpretazione che della disciplina ha fornito la Corte di giustizia con la sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/15, RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE . Nella decisione la Corte di giustizia ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del commento n. 3 del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia disposto, oppure no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza. In generale, dunque, il pagamento in questione è una «condizione di vendita» delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore o la persona ad esso legata e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; occorre cioè, come ha chiarito la Corte di giustizia (in causa C-173/15, punto 68), « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ».
Sul punto, l’allegato 23 delle DAC – Note interpretative in materia di valore in dogana – all’articolo 143, paragrafo 1, lettera e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se
l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), stabilisce che « si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda ».
Il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto, dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell’effetto di ‘ orientamento ‘ del soggetto controllato. Quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene.
Utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale (ormai parte del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft la w): queste indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C-173/15, punto 45, « sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice (sentenza del 6 febbraio 2014, COGNOME COGNOME, C -2/13, EU:C:2014:48, punto 51 e giurisprudenza ivi citata) ».
Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna
delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da uti lizzare/fornisce dei modelli ecc. il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro conce zione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
In tema di diritti doganali, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il condivisibile principio di diritto, secondo cui: « ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza » (Cass. n. 8473 del 2018; n. 25438 del 2018; n. 25437 del 2018; n. 24996 del 2018).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali, in quanto « dai documenti prodotti agli atti di
causa non risulta in alcun modo che siano stati richiesti all’acquirente -importatore RAGIONE_SOCIALE né dall’esportatore né dal licenziatario, il pagamento di diritti di licenza quale condizione per la vendita delle merci importate » e in considerazione della mancata dimostrazione della circostanza che il « pagamento diretto (al licenziatario) o indiretto (a soggetto terzo) delle royalties ‘ costituisse « condizione della vendita, per l’esportazione, a destinazione della Comunità delle merci importate ».
La Commissione tributaria regionale si è, quindi, limitata a rilevare che « l’Agenzia delle Dogane non ha provato che il licenziante possa impedire di vendere le merci se il compratore -importatore RAGIONE_SOCIALE non paga le relative royalties esercitando un vero e proprio potere di interdizione con conseguente blocco della produzione, della logistica e della consegna delle merci ha licenziatario, finalizzato alla tutela dello specifico interesse patrimoniale del licenziante al pagamento delle royalties », senza peraltro analizzare nel dettaglio le clausole del contratto di licenza alla luce dei principi giurisprudenziali prima indicati e, in particolare, se sussisteva o meno un potere di controllo da parte del titolare del diritto di licenza sul fornitore.
Da alcune clausole riprodotte nel contenuto del ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, emergono diversi indicatori dai quali si evince che l’ingerenza del licenziante non poteva ritenersi limitata ad un controllo di qualità sul prodotto, in quanto, ad esempio, al punto 5.3 del contratto di licenza, è previsto che la RAGIONE_SOCIALE, entro due settimane dalla prima produzione di un prodotto finito di ogni linea, deve consegnare alla RAGIONE_SOCIALE un prodotto finito rappresentativo della linea e, se questo prodotto non è fabbricato in conformità agli strandard imposti da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non risolverà il problema, il marchio verrà rapidamente rimosso dallo stesso, a scelta e senza nessun costo della RAGIONE_SOCIALE; al punto 5.4 del medesimo contratto si garantisce al licenziante il diritto di
monitorare i prodotti; al punto 7.1 si prevede che il licenziatario non utilizza nessuna pubblicità o imballaggio o altro materiale commerciale relativo ai prodotti o recante i marchi di fabbrica incluso, senza limitazioni, documenti commerciali, fatture, materiale di cancelleria, pubblicità, promozioni, etichette e confezioni che non sia stato precedentemente approvato per iscritto da RAGIONE_SOCIALE.
3. -Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 201 CDC paragrafo 3 (ora art. 77 C.D.U. – Reg Ue 952/2013) ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. per avere escluso erroneamente la responsabilità solidale del rappresentante indiretto.
3.1. -Il motivo è fondato.
Al di là della deduzione – del tutto generica e mancante di specificità – contenuta nel controricorso sull’assenza del motivo nel ricorso originario, a fronte di una pluralità di ricorsi presentati in primo grado e successivamente riuniti, sussiste l’ interesse del l’Agenzia delle dogane a proporre la questione della responsabilità solidale alla luce della motivazione adottata dalla Commissione tributaria regionale.
Poiché lo spedizioniere doganale era rappresentante indiretto dell’importatore, risponde in solido con quest’ultimo dell’obbligazione doganale per il semplice fatto di avere presentato la dichiarazione (Cass., Sez. V, 26 febbraio 2019, n. 5560), che lo impegnava con riferimento all’esattezza delle indicazioni ivi contenute, all’autenticità dei documenti presentati e all’osservanza di tutti gli obblighi che scaturiscono dal vincolo delle merci importate (cfr. art. 199 del regolamento (CEE) n. 2454 del 1993).
La responsabilità dello spedizioniere è legata, quindi, al suo ruolo di dichiarante in dogana, ovvero di autore della dichiarazione doganale a norma dell’art. 201, par. 3, CDC, gravando sul rappresentante indiretto l’obbligo di vigilare – con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176, comma 2, cod. civ., alla
natura dell’attività esercitata – sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione, al fine di evitare abusi, posto che l’Unione Europea non è tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini, rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali ( ex multis , Cass., Sez. V, 8 febbraio 2019, n. 3739)
Sul punto questa Corte ha affermato che, in materia doganale, ai sensi degli artt. 4, 5 e 201 CDC e 199 del DAC ( ratione temporis applicabili), l’obbligazione tributaria sorge in capo al rappresentante indiretto in forza della mancata riscossione dei dazi (dovuti per legge) a seguito di dichiarazione doganale da lui presentata, non solo nei limiti del valore dichiarato, ma in relazione all’intero valore accertato in sede di rettifica e che egli avrebbe dovuto verificare e dichiarare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), implicante un obbligo di informazione ed anche di attento controllo dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito (Cass., Sez. V, 17 ottobre 2019, n. 26358).
La Commissione tributaria regionale, invece, ha ritenuto che il rappresentante indiretto non dovesse rispondere solidalmente con l’importatore, non avendo l’Ufficio fornito la prova «in merito al fatto che lo spedizioniere potesse essere a conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento delle royalties da parte della RAGIONE_SOCIALE » e non essendo emerso « alcun ruolo o contatto tra il doganalista ed il produttore dei beni e/o il licenziatario, circostanza che, in ipotesi, avrebbe potuto eventualmente far desumere una ragionevole conoscenza del dichiarante doganale circa l’obbligo di pagare le royalties », senza verificare se detto rappresentante avesse assolto l’obbligo di informazione sullo stesso gravante e se avesse
esperito il necessario controllo sull’esattezza dei dati dichiarati, con la diligenza richiesta dalla natura dell’attività professionale espletata.
– La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione