Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3385 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29414 -20 19 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante COGNOME NOME, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME (pecEMAIL, NOME COGNOME (pecEMAIL e NOME COGNOME (pec: avvEMAIL, ed elettivamente domiciliata in Roma,
Oggetto:
dichiarazione
di valore in dogana –
royalties
alla INDIRIZZO presso lo RAGIONE_SOCIALE (pec: studiodeiureEMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 946/09/2019 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 01/03/2019;
nonché
sul ricorso iscritto al n. 29420 -2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante COGNOME NOME, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME (pecEMAIL, NOME COGNOME (pecEMAIL e NOME COGNOME (pec: avvEMAIL), ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo Studio RAGIONE_SOCIALE (pec: studiodeiureEMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 948/09/2019 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 01/03/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10 dicembre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, a seguito di verifica delle operazioni di importazione effettuate nell’anno d’imposta 2011 dalla RAGIONE_SOCIALE, società licenziataria del Gruppo RAGIONE_SOCIALE
in relazione alla produzione e distribuzione in Europa dei prodotti di abbigliamento a marchio RAGIONE_SOCIALE, accertava la mancata inclusione nel valore di transazione delle merci importate dei diritti di licenza (royalty) spettanti alla capogruppo statunitense RAGIONE_SOCIALE e, pertanto, emetteva nei confronti della predetta società importatrice e della RAGIONE_SOCIALE quale spedizioniere coobbligato in solido, un avviso di accertamento e rettifica dei diritti doganali e dell’IVA nonché un atto di irrogazio ne delle sanzioni.
1.1. La TNT con separati ricorsi impugnava tali atti dinanzi alla CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Milano che li accoglieva con le sentenze n. 9462/43/2016 e n. 9472/43/2016 e gli appelli proposti dall’Agenzia delle dogane veniva no rigettati dalla CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia con le sentenze impugnate.
1.2. I giudici di appello, con sentenze di identico contenuto motivazionale, sostenevano che dalla documentazione esaminata « non sono emersi quei “ragionevoli elementi di prova’ di cui alla più volte richiamata Circolare 21/D del 30/11/2012 circa la effettiva esistenza di un potere di controllo né diretto ma tantomeno indiretto da parte della RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio, sul produttore (sia terzo che la stessa Licenziataria) delle merci, come richiesto dalla normativa di settore, per legittimare l’inclusione del valore nella base imponibile dichiarata in Dogana. La tutela del marchio da parte della Licenziante, espressa attraverso l’esercizio del diritto di controllo del rispetto degli standards qualitativi da parte dei soggetti produttori, di cui al Codice di condotta citato, appare evidente proprio attraverso le varie cautele introdotte da quest’ultimo, che giammai orientano o condizionano in modo coercitivo l’autonomia della licenziataria o dei terzi fabbricanti. Questi infatti, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e quelli scelti dalla medesima ed approvati dalla Casa madre, operano autonomamente, ancorché
sottoposti a controlli ispettivi/monitoraggi tesi solo alla verifica del rispetto degli standards qualitativi richiesti a fini cautelari».
Avverso le predette sentenze d’appello l’Agenzia delle dogane propone separati ricorsi per cassazione affidati entrambi ad un unico motivo, cui replica la società intimata con controricorso.
La controricorrente deposita memoria in entrambi i giudizi istando per la trattazione dei ricorsi in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei due giudizi in quanto vertenti tra le stesse parti ed aventi ad oggetto atti impositivi (avviso di accertamento e rettifica dei diritti doganali e dell’IVA ed atto di irrogazione delle sanzioni) relativi alle medesime operazioni di importazione e tra loro strettamente collegati per essere l’uno prodromico all’altro. Pertanto, il ricorso di più recente iscrizione, RG n. 29420/2019, va riunito a quello precedentemente iscritto al n. 29414/2019 RG.
Preliminare alla trattazione nel merito del ricorso è anche l’esame della richiesta di rimessione della causa alla pubblica udienza, avanzata dalla controricorrente con le memorie, in cui dà atto dell’esistenza all’interno di questa Sezione, di due contrapposti orientamenti sulla nozione di controllo nonostante l’identità del contratto di licenza.
2.1. L’istanza dev’essere rigettata in quanto le questioni in giudizio sono state oggetto di ripetuta disamina da parte di questa Corte, da ultimo con le sentenze rese alla recente udienza pubblica del 24/09/2024 (tra cui n. 32597, n. 32599, 32607, n. 32601, n. 32611, 32620, 32621, 32623 e 32625), all ‘esito della quale può dirsi superato, per come si dirà esaminando i motivi di ricorso, quell’orientamento in base al quale il controllo della licenziante era inteso in termini di ‘controllo anche indiretto di natura contrattuale’, per giungere al diverso orientamento che ritiene sufficiente, ai fini
della sussistenza del controllo sulla licenziataria da parte della società licenziante, un ‘orientamento anche di fatto’ della prima.
Venendo, quindi, all’esame del ricorso, con un identico unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 143, 157, 159 e 160 del Regolamento della Comunità Europea n. 2454 del 02/07/1993 (DAC), nonché dell’Allegato 23 DAC, per avere la CTR «apoditticamente affermato che, nel caso di specie, il potere della Licenziante fosse limitato ad un mero controllo di qualità dei prodotti, in assenza di alcuna facoltà di orientamento o condizionamento dell’autonomia della Licenziataria o dei terzi fabbricanti».
3.1. La ricorrente richiama, al riguardo, la normativa in materia di diritti di licenza, tra cui l’art. 32 del Reg. CE n. 2913/92, recante il codice doganale comunitario (CDC) in base al quale al prezzo di importazione si addizionano i corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties) «che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare», e l’art. 157, par. 2, del Reg. (CEE) n. 2454/1993, recante le disposizioni di applicazione del CDC (cd. DAC), che prevede la contabilizzazione delle royalties nel valore dichiarato in dogana se il pagamento «costituisca una condizione di vendita delle merci in causa», che si realizza quando « il venditore estero non è disposto a vendere i propri prodotti senza il pagamento del diritto di licenza » (cfr. Commento n.3 TAXUD 800/ 2002- rev. 2007).
3 .2. Sostiene, quindi, che l’art. 157 delle DAC risulta pienamente soddisfatto quando le parti del contratto di compravendita coincidono con quelle dell’accordo di licenza (che è l’ipotesi del cd. scenario a due parti), non essendovi dubbio in tali casi che le royalties costituiscano una condizione della vendita e che
debbano essere incluse nel valore dichiarato in dogana, mentre la diversa ipotesi in cui, come nel caso di specie, il licenziante è soggetto terzo rispetto alle parti del contratto di compravendita in quanto il licenziatario si serve di terzisti extracomunitari per produrre le merci oggetto dell’accordo di licenza (cd. scenario a tre parti), è disciplinata dall’art. 160 delle DAC secondo cui , «Qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento», intendendosi per ‘person e legate ‘, ai sensi dell’art. 143, par. 1, lett. e), delle DAC, quelle in cui «l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra».
3.3. Pertanto, al fine di stabilire la natura giuridica del rapporto che intercorre tra licenziante e compratore o tra licenziante e produttore terzo, deve farsi riferimento al principio di diritto affermato da questa Corte nella sentenza n. 8473 del 6 aprile 2018 (conf. Cass. n. 20604 del 31/07/2019 ma anche CGUE, sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/1 5, RAGIONE_SOCIALE c/ RAGIONE_SOCIALE Dijsseldorf ), secondo cui «In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del Regolamento del Consiglio CEE n. 2913 del 1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Regolamento della Commissione CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei predetti diritti».
3.4. Fatte queste premesse in diritto, la ricorrente sostiene che, nel caso di specie, dalla disamina delle clausole del contratto di licenza tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, dei contratti di
compravendita stipulati tra quest’ultima e i singoli produttori extracomunitari della merce a marchio RAGIONE_SOCIALE, riportanti in calce il Codice di condotta e l’allegato Quality Standards Manual, emergeva «con chiarezza che il licenziante, NOME RAGIONE_SOCIALE esercita, per il tramite della licenziataria, un controllo sui prodotti e sui produttori (subappaltatori) tale da poter affermare che il pagamento dei diritti di licenza da parte della acquirente-licenziataria, RAGIONE_SOCIALE è una “condizione di vendita delle merci” ai sensi dell’ art. 157, par. 2 delle DAC, risultando a favore della Casa Madre «i l potere di controllare nel corso della lavorazione l’adeguatezza della programmazione e degli ordini di acquisto dei materiali ; Il potere di inibire al licenziatario (o ad un suo incaricato) qualsiasi forma di commercializzazione, distribuzione o vendita senza l’aver ricevuto la preventiva approvazione da parte del licenziante; Il potere di subordinare la vendita della merce alla approvazione scritta del licenziante di tutto l’artwork, gli articoli, i comunicati stampa ed i materiali in ciascuna fase del loro sviluppo e della loro produzione nonché i campioni di pre-produzione; Il potere del licenziante di imporre il “design” degli articoli da importare » .
3.5. Oltre a tali elementi vi erano altri indicatori dell’esistenza di un potere di controllo in capo alla RAGIONE_SOCIALE, individuabili nel Commento n. 11 del Comitato del valore della Commissione Europea TAXUD/800/2002, rev. 2007, e nei Factory Vendor Agreements.
3.6. Tutti gli elementi sopra indicati, in particolare le numerose clausole dei contratti di licenza da cui emergevano plurimi elementi sintomatici di controllo indiretto della licenziante sulla produttrice estera, che rendevano il pagamento dei diritti di licenza una condizione di vendita delle merci, erano stati deliberatamente ignorati dai giudici di appello che, pertanto, erano incorsi in «errore di sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito applicativo della normativa comunitaria in tema di quantificazione della base
imponibile dell’imposta doganale, per aver il giudice escluso che le clausole contrattuali richiamate conclamassero un’ipotesi di controllo indiretto del licenziante GUESS RAGIONE_SOCIALE sul produttore e/o venditore estero (c.d. terzista)».
3.7. Sostiene, infine, che le clausole contrattuali, «ove correttamente interpretate secondo i basilari canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 – 1363 e 1375 c.c. avrebbero condotto all’esatta applicazione delle norme regolanti l’inclusione delle royalties nella base imponibile doganale».
I ricorsi sono fondati e vanno accolti.
Preliminarmente vanno disattese le eccezioni proposte dalla controricorrente, di inammissibilità dei due motivi di ricorso, atteso che nelle censure, correttamente parametrate alla statuizione d’appello, sono chiaramente delineate e circostanziate le questioni, che sono di puro diritto , nell’ambito delle quali va inquadrata la fattispecie in esame. Invero, l’ADM non ha contestato la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di appello, ma la corretta identificazione delle nozioni giuridiche (soprattutto di quelle di “condizioni di vendita” e di “legame” fra le parti), che delineano la portata precettiva delle disposizioni unionali applicate; l’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può, di conseguenza, formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. n. 29111 del 5/12/2017). La ricorrente ha censurato, quindi, correttamente la sussunzione dei fatti come accertati nelle disposizioni di riferimento, in quanto sostiene che la
fattispecie concreta è stata giudicata mediante la non corretta applicazione delle previsioni normative di riferimento.
Venendo, quindi all’esame dei motivi proposti nei due ricorsi riuniti, deve premettersi che la questione posta in entrambi i giudizi è quella della sussistenza sub specie delle condizioni che rendevano necessaria la dichiarazione in dogana dei diritti di licenza (cd. royalties).
Al riguardo deve osservarsi che, poiché il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C529/16, Hamamatsu ), sullo stesso incidono anche i diritti di licenza; in particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC ( ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’
7.1. L ‘art. 157 DAC chiarisce , poi, che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare e l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci.
7.2. Qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto di importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: – il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni
secondarie successivamente all’importazione, -le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’ .
7.3. L’ art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’ .
Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, va rilevato che nel caso in esame, in cui è pacifico che i diritti di licenza non erano stati inclusi nella determinazione del valore doganale, quello che è controverso è se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita.
8.1. Premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c), CDC, né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per «condizione di vendita» delle merci da valutare, la Corte di giustizia nella sentenza 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE Dusseldorf (punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza.
8.2. Il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo dei diritti di licenza
rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere.
Nel caso come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto diverso dal venditore (il licenziante RAGIONE_SOCIALE), per l’identificazione delle «condizioni di vendita» è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da «una persona legata al venditore» (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.).
9.1. Deve, quindi, verificarsi se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria-acquirente e la società titolare del diritto di licenza (RAGIONE_SOCIALE, nel senso che occorre verificare « se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente » (punto 68 della sentenza C173/15 cit.), dovendosi considerare che il concetto di «legame» in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e), (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale « si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda ».
9.2. Sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione
dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che « sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice » (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45).
9.3. Orbene, fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
9.4. Come è stato precisato nello stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituiva di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi, che fosse andata al di là dei semplici «controlli di qualità» , avrebbe potuto dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di cui all’art. 143, par. l, lett. e) delle DAC, con la conseguenza che il pagamento dei diritti di licenza costituiva una condizione di vendita ai sensi dell’art. 160 delle DAC.
10. L a questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana è stata più volte esaminata da questa Corte che ha stabilito come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente ” ratione temporis “) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019)
10.1. E’ stato altresì precisato che deve tenersi conto oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, se alla stessa incorporati, i quali, se riferiti ad un marchio di fabbrica, rilevano quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante
a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019).
10.2. Si è, inoltre, affermato che, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei suddetti corrispettivi, irrilevante essendo la soppressione del documento TAXUD-800-2002-EN e la sua sostituzione col nuovo TAXUD/B4/2016, il quale – fornendo linee orientative più sintetiche correlate al nuovo codice doganale, senza discostarsi da quelle generali del precedente -non costituisce atto normativo ma svolge una funzione esplicativa, anche interpretativa, della disciplina doganale, esulando quindi dalla portata dell’art. 11 delle disp. prel. c.c. (Cass. n. 22761 del 2019).
10.3. Nel riassumere i termini della questione, dunque, può affermarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: 1) i corrispettivi o i diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; 2) essi si riferiscono alle merci da valutare; 3) l’acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della
vendita delle merci da valutare, nel senso che l’assolvimento degli stessi riveste un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere.
10.4. C on riferimento a quest’ultima condizione, poi, qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate ai diritti di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o dei diritti di licenza ad esse afferenti, potendosi ricavare utili elementi, al fine della individuazione del contenu to della nozione di ‘controllo’, dall’esemplificazione contenuta nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale.
11. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali in quanto i giudici di appello hanno sostenuto che dalla documentazione esaminata «non sono emersi quei “ragionevoli elementi di prova’ di cui alla più volte richiamata Circolare 21/D del 30/11/2012 circa la effettiva esistenza di un potere di controllo né diretto ma tantomeno indiretto da parte della RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio, sul produttore (sia terzo che la stessa Licenziataria) delle merci, come richiesto dalla normativa di settore, per legittimare l’inclusione del valore nella base imponibile dichiarata in Dogana. La tutela del marchio da parte della Licenziante, espressa attraverso l’esercizio del diritto di controllo del rispetto degli standards qualitativi da parte dei soggetti produttori, di cui al Codice di condotta citato, appare evidente proprio attraverso le varie cautele introdotte da quest’ultimo, che giammai orientano o
condizionano in modo coercitivo l’autonomia della licenziataria o dei terzi fabbricanti. Questi infatti, RAGIONE_SOCIALE e quelli scelti dalla medesima ed approvati dalla Casa madre, operano autonomamente, ancorché sottoposti a controlli ispettivi/monitoraggi tesi solo alla verifica del rispetto degli standards qualitativi richiesti a fini cautelari».
11.1. I giudici di appello hanno, dunque, ritenuto che i corrispettivi riguardanti le royalties non dovessero essere inclusi nel valore dichiarato in dogana, senza tuttavia esaminare, nel dettaglio, le clausole del contratto di licenza, alla luce dei principi giurisprudenziali prima indicati, e senza verificare, di conseguenza, se sussisteva o meno un potere di controllo da parte del titolare dei diritti di licenza sul fornitore.
11.2. Da alcune clausole riprodotte nel contenuto del ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, emergono diversi indicatori dai quali si evince che l’ingerenza del licenziante non poteva ritenersi limitata ad un controllo di qualità sul prodotto, in quanto, ad esempio, al punto 5.3 del contratto di licenza, è previsto che la RAGIONE_SOCIALE, entro due settimane dalla prima produzione di un prodotto finito, deve consegnare alla RAGIONE_SOCIALE un prodotto finito rappresentativo della linea e, se questo prodotto non è fabbricato in conformità agli strandard imposti da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non risolverà il problema, il marchio verrà rapidamente rimosso dallo stesso, a scelta e senza nessun costo della RAGIONE_SOCIALE; al punto 5.4 del medesimo contratto si garantisce al licenziante il diritto di ispezionare i prodotti; al punto 7.1 si conferisce al licenziante la possibilità di autorizzazione preventivamente l’utilizzo di qualsiasi forma di pubblicità o imballaggio; i fornitori terzi, poi, devono rispettare il Codice di condotta e il Factory Vendor Agreement, che garantiscono al licenziante il perseguimento da parte degli stessi degli obiettivi produttivi stabiliti dal medesimo; al punto 12.2 lett. c)
del contratto di licenza si obbliga la licenziataria di presentare annualmente alla licenziante il business plan relativo alla produzione e alla vendita dei prodotti.
11.3. Peraltro, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: «Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva».
In estrema sintesi i ricorsi riuniti vanno accolti e le sentenze vanno cassate con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
riunisce il ricorso iscritto al n. 29420/2019 RG a quello iscritto al n. 29414/2019 RG; accoglie i ricorsi riuniti, cassa le sentenze
impugnate e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 10 dicembre 2024