Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6166 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6166 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 23442-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. 97210890584, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE c.f. 00671810133, in persona del legale rappresentante p.t.; RAGIONE_SOCIALE c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del legale rappresentante; entrambe elettivamente domiciliate in Roma, al v.INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME sono rappresentate e difese –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 1713/05/2023 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 15.05.2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 settembre 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Dogane -Dazi -Royalties -Valore di transazione -Inclusione -Configurabilità -Disciplina del CDU
sentita la Procura Generale, nella persona del Sostituto procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentite le parti presenti;
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata e dal ricorso si evince che la controversia trae origine dalla importazione di merce (abbigliamento e accessori) da parte della RAGIONE_SOCIALE , tramite il rappresentante doganale RAGIONE_SOCIALE, che l’acquistava da terzi produttori, sedenti in paesi extraeuropei (Cina). La merce acquistata dalla società italiana era a sua volta distribuita con autorizzazione all’utilizzo del marchio RAGIONE_SOCIALE, in forza del contratto (‘ Sublicense agreement ‘) dell’1 .12.2013, sottoscritto con la RAGIONE_SOCIALE quest’ultima licenziante del suddetto marchio.
A seguito dell’acquisizione di informazioni e delle verifiche eseguite per accertare il pagamento delle royalties relative al contratto di licenza sottoscritto con la licenziante, l’Agenzia delle dogane contestò alle odierne controricorrenti che il valore imponibile dichiarato in dogana non comprendeva il corrispettivo del diritto di licenza. Procedette pertanto alla revisione dell’accertamento, rideterminando la base imponibile su cui calcolare i diritti di confine, notificando due avvisi di rettifica e constatazione di illeciti doganali.
Seguì la controversia, esitata dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Como nella sentenza n. 265/01/2019, con cui furono accolte le ragioni delle società. L’appello promosso dall’ufficio fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 1713/05/2023. Il giudice d ‘ appello ha ritenuto che la contestazione dell’Ufficio, secondo cui il valore delle royalties pagate dalla contribuente alla licenziante doveva essere compreso nella dichiarazione doganale, sussistendo i presupposti evincibili dal Reg. di Esecuzione UE n. 2447/2015, ossia tanto la prova del pagamento del corrispettivo delle royalties come condizione di vendita (art. 136 Reg. Es.), quanto il controllo penetrante della licenziante sulla ideazione e sulla stessa produzione della merce soggetta a licenza (art. 127 Reg. Es.), non aveva invece trovato corpo nelle risultanze di causa. A tal fine, e al contrario, il giudice regionale ha ritenuto che la tutela del marchio era stata attuata dalla licenziante attraverso il mero
esercizio del diritto del controllo del rispetto degli standards qualitativi da parte dei soggetti produttori, senza tuttavia incidere sulla autonomia della licenziataria o dei terzi fabbricanti.
L’Agenzia delle dogane ha censurato la sentenza, della quale ha chiesto la cassazione, affidandosi ad un unico motivo, cui ha resistito la contribuente con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Nell a pubblica udienza del 24 settembre 2024, all’esito della discussione la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’Agenzia delle dogane si duole della « Violazione o falsa applicazione degli artt. 70, 71 e 73 CDU, 136 R. Es. 2447/2015, dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ».
Sostiene che il giudice dell’appello , nel disconoscere che ai fini dell’importazione della merce con marchio RAGIONE_SOCIALE mancavano i presupposti per tener conto, nel valore di transazione, delle royalties dovute dalla licenziataria RAGIONE_SOCIALE alla licenziante RAGIONE_SOCIALE, avrebbe erroneamente interpretato il contratto, violando le regole dettate dall’art. 1362 cod. civ., che impone un’indagine sul la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, nonché dalla disciplina fissata al punto 22 della TAXUD/B4/2016-IT n. 808781, che assegna priorità alle circostanze commerciali e ai relativi accordi contrattuali.
Deve intanto rilevarsi che la difesa delle controricorrenti ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perché intervenuta una pronuncia tra le stesse parti e per le stesse questioni, con efficacia di giudicato esterno ex art. 2909 cod. civ. E’ richiamata a tal fine altra controversia, instaurata tra le medesime parti e relativa alla contestazione della mancata inclusione delle royalties per altra importazione di capi con marchio Levi’s, definitasi con la sentenza n. 4717/2019, pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia e decisa sulla base dell’interpretazione del medesimo accordo negoziale (‘ Sublicense agreement ‘ dell’1.12.2013 ), la cui impugnazione davanti alla Corte di legittimità da parte dell’Agenzia delle entrate è stata dichiarata inammissibile con ordinanza n. 15263 del 30
maggio 2023, e dunque successivamente alla pubblicazione della pronuncia ora al vaglio della Corte.
La questione va esaminata in via preliminare.
Essa è innanzitutto inammissibile.
Le società hanno omesso di allegare il testo della sentenza. Agli atti, infatti, diversamente da quanto affermano le controricorrenti, risulta allegata la sentenza con il diverso numero di raccolta generale ‘ 4716 ‘ del 2019 della CTR Lombardia, che peraltro, anche a voler reputare erronea la indicazione del numero della pronuncia, riporta quale unica attestazione quella della sua impugnazione e non della sua definitività. Infatti l’attestazione è datata ‘6.08.2020’ , d ata incompatibile con l’ordinanza di inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la stessa (del 2023). Pertanto, in assenza di una non contestazione del giudicato esterno, l’allegata pronuncia è del tutto inidonea a provare l’intervenuta sua definitività (cfr. Cass., 1 marzo 2018, n. 4803; 28 dicembre 2023, n. 36258).
In ogni caso, per mera completezza e ancorché l’efficacia di giudicato esterno voglia farsi discendere da altri precedenti, così come più dettagliatamente prospettato nella memoria illustrativa depositata ex art. 378 cod. proc. civ., va chiarito che, ai fini del giudicato esterno, ove, come nel caso di specie, la controversia risulti definita sulla base dell ‘ interpretazione del contenuto di un accordo negoziale e alla luce di alcune nozioni giuridiche qualificanti il medesimo accordo in relazione alla portata precettiva delle disposizioni unionali in materia doganale -quali, nel caso di specie, quelle di “condizioni di vendita” e di “legame” fra le parti-, perché la decisione possa spiegare effetti di giudicato esterno, è necessario verificare la correttezza interpretativa di quelle stesse nozioni giuridiche. Pertanto, in questo caso in gioco non c’è l’accertamento di un fatto, che in quanto tale sarebbe oggetto dello spiegamento degli effetti del giudicato esterno, bensì la regola giuridica applicata, rispetto alla quale è sempre possibile un controllo di adeguatezza alle regole di interpretazione.
Questa indagine sfugge al giudicato esterno, dovendosi dare continuità al principio secondo il quale il giudicato esterno, in quanto provvisto di vis imperativa e indisponibilità per le parti, va assimilato agli “elementi normativi”, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base
agli artt. 12 ss. disp. prel. cod. civ., con conseguente sindacabilità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (cfr. Cass., tra le più recenti, Cass., 29 novembre 2018, n. 30838; 12 giugno 2018, n. 15339). Ne consegue che il giudice di legittimità può sempre direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno, con cognizione piena, indipendentemente dall’interpretazione data dal giudice di merito alle clausole negoziali (Cass., 5 ottobre 2009, n. 21200; cfr. Sez. U, 28 novembre 2007, n. 24664).
Nel caso di specie la statuizione nella quale si è cristallizzata la regola della fattispecie esaminata nel precedente invocato dalle controricorrenti, regola ancorata all’interpretazione di un contratto , ma in relazione ad operazioni d’importazione comunque distint e da quelle afferenti la presente controversia, ossia le operazioni doganali ora al vaglio della Corte, non può trovare meccanica applicazione, restando pur sempre nel potere del giudice di legittimità comprendere e verificare in che termini ed in che contesto fattuale quella regola si è venuta a formare.
Sotto tale profilo l’eccezione di giudicato esterno, peraltro sollevata per la prima volta in sede di legittimità (perché giudicato che, si asserisce ma come chiaritoneppure si dimostra, formatosi successivamente alla pubblicazione della sentenza della CTR ora impugnata), andava confortata da un contesto di elementi non rappresentati né allegati al processo. Così essa difetta anche di specificità.
L ‘unico motivo di censura articolato dall’ufficio è dunque ammissibile, perché la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma l’identificazione delle nozioni giuridiche delineanti la portata precettiva delle disposizioni unionali applicate e le regole d’interpretazione applicabili in materia contrattuale.
Con ciò va rapidamente rigettata anche la seconda eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalle controricorrenti, con la quale si vuol sostenere che il motivo difetterebbe del requisito dell’autosufficienza, così come da respingere è la terza eccezione di inammissibilità del motivo, con cui si intende denunciare che l’ufficio insisterebbe su una diversa ricostruzione dei fatti.
RGN 23442/2023 Consigliere rel. COGNOME In realtà, come già delineato, il motivo è ampiamente descrittivo delle ragioni giuridiche a sostegno delle critiche formulate nei riguardi del
ragionamento operato dal giudice regionale, ed inoltre in esso è palese che la difesa erariale non si rivolga ad una distinta ricostruzione fattuale della vicenda, ma, al contrario, intende evidenziare e dolersi della cattiva applicazione di regole ermeneutiche. Ci si trova, dunque, nella piena perimetrazione di una denuncia di errores in iudicando .
Nel merito il motivo è fondato.
La fattispecie per cui è causa è regolata dal Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione (CDU) -in particolare dagli artt. 70, 71 e 73-, e dal Regolamento di Esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione del 24 novembre 2015 -in particolare da ll’art. 136-.
Questa disciplina, sostitutiva delle precedenti fonti, ossia il Reg. Cee n. 2913/1992 (codice doganale comunitario -CDC) e il Reg. Cee n. 2454/1993, senza peraltro sovvertirne del tutto i principi e le regole, per quanto qui di interesse, prevede nell’art. 70 CDU che « 1. La base primaria per il valore in dogana delle merci è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione, eventualmente adeguato. 2. Il prezzo effettivamente pagato o da pagare è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate. »; nell’art. 71 è previsto che « 1. Per determinare il valore in dogana ai sensi dell’articolo 70, il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate è integrato da: c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; ». Nell’art. 136 R.Es. n. 2447 del 2015 si prevede inoltre che « 1. Alle merci importate sono connessi corrispettivi e diritti di li cenza se, in particolare, i diritti trasferiti nell’ambito dell’accordo relativo alla licenza o ai corrispettivi sono incorporati nelle merci. Il metodo di calcolo dell’importo dei corrispettivi o dei diritti di licenza non è determinante. 2. Se il metodo di calcolo dell’importo di un corrispettivo
o di un diritto di licenza si basa sul prezzo delle merci importate, salvo prova contraria si presume che il pagamento di tale corrispettivo o diritto di licenza si riferisca alle merci oggetto della valutazione. 3. Se i corrispettivi o i diritti di licenza si riferiscono in parte alle merci da valutare e in parte ad altri ingredienti o componenti aggiunti alle merci successivamente alla loro importazione, oppure ad attività o servizi successivi all’importazione, viene effettuato un opportuno adeguamento. 4. I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tal e pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante. 5. Il paese in cui è stabilito il destinatario del pagamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza è irrilevante ».
Parimenti utile è il richiamo dell’art. 127 R. Es. 2447/2015, secondo il quale « 1. Ai fini del presente capo, due persone sono considerate legate se è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) l’una fa parte della direzione o del consiglio di amministrazione dell’impresa dell’altra e viceversa; b) hanno la veste giuridica di associati; c) l’una è il datore di lavoro dell’altra; d) un terzo possiede, controlla o detiene, direttamente o indirettamente, il 5% o più delle azioni o quote con diritto di voto delle imprese dell’una e dell’altra; e) l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra; f) l’una e l’altra sono direttamente o indirettamente controllate da una terza persona; g) esse controllano assieme, direttamente o indirettamente, una terza persona; h) sono membri della stessa famiglia. 2. Le persone associate in affari per il fatto che l’una è agente, distributore o concessionario esclusivo dell’altra, quale che sia la designazione utilizzata, si considerano legate solo se rientrano in una delle categorie di cui al paragrafo 1. 3. Ai fini del paragrafo 1, lettere e), f) e g), si ritiene che una parte controlli l’altra quando la prima è in grado, di diritto o di fatto, di imporre orientamenti alla seconda »; nonché del l’art. 129 del medesimo regolamento, nel quale si prevede che « 1. Il prezzo effettivamente pagato o da pagare ai sensi dell’articolo 70, paragrafi 1 e 2, del codice comprende la totalità dei
pagamenti eseguiti o da eseguire come condizione della vendita delle merci importate dal compratore a una delle seguenti persone: a) il venditore; b) un terzo a beneficio del venditore; c) un terzo collegato al venditore; d) un terzo quando il pagamento a quest’ultimo è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore » .
La disciplina richiamata, come già avvertito dalla giurisprudenza, prevede, rispetto alle regole pregresse, un significato più ampio del concetto di “condizione di vendita” e del concetto di rilevanza del “controllo” (Cass., 2 ottobre 2019, n. 21069).
Al pari che nella precedente disciplina, tuttavia, la finalità della disciplina unionale è quella di assicurare il valore in dogana delle merci importate, che, di regola, è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione (nella giurisprudenza unionale cfr. CGUE 12 dicembre 2013, in causa C-116/12, punti 38, 44 e 50 , COGNOME e a.; CGUE 21 gennaio 2016, in causa C-430/14, punto 15).
Esso riflette dunque il valore economico reale della merce importata e quindi considera tutti i fattori economicamente rilevanti (cfr. CGUE, sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-529/16 ) e pertanto anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.
Ciò era in verità già previsto nell’ art. 32 del CDC (Reg. n. 2913/92). D’altronde il Reg. n. 2454/93 specificava questa regola stabilendo che «… quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’articolo 29 del codice si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e – costituisce una condizione di vendita delle merci in causa » (art. 157, paragrafo 2).
Nella pregressa disciplina occorreva tuttavia il ricorso cumulativo di tre condizioni: a) che i corrispettivi o i diritti di licenza non fossero stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; b) che essi si riferissero alle
merci da valutare; c) che l’acquirente fosse tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare.
Per il caso del pagamento da parte dell’acquirente di un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il Regolamento prescriveva che «… le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento » (art. 160). La disciplina generale fissata dal paragrafo 2 dell’art. 157, dunque, trovava specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardasse un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. Ciò finiva col contrassegnare l’identificazione delle « condizioni di vendita delle merci in causa », che dovevano rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi in essi contemplate.
Il regolamento di attuazione specificava che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare « soltanto se: -il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, -le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore » (art. 159).
Per l’ipotesi del pagamento di un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo da parte dell’acquirente , il Regolamento prescriveva che «… le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento » (art. 160). La disciplina generale fissata dal paragrafo 2 dell’art. 157, dunque, trovava specificazione in quelle particolari ipotesi, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardava un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto doveva essere versato ad un terzo. E le particolarità finivano col contrassegnare l’identificazione delle «condizioni di vendita delle merci in causa», che devono rispondere ai presupposti rispettivamente richiesti dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate.
Quanto alla configurabilità del versamento dei diritti di licenza come condizione di vendita della merce, non precisato né dall’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale comunitario né dall’art. 157, paragrafo 2, del Reg. n. 2454/93, la Corte di giustizia, con sentenza 9 marzo 2017, in causa C-173/15, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE ha provveduto a fornirne una interpretazione
Nella detta sentenza la Corte di giustizia ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del commento n. 3 del comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana) relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica che il venditore sia disposto, o no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza. In generale, dunque, il pagamento in questione è una «condizione di vendita» delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata- e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere. Occorre dunque, come chiarito dalla giurisprudenza unionale (in causa C-173/15, punto 68), «verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente».
Sul punto l’allegato 23 delle DAC – Note interpretative in materia di valore in dogana, all’articolo 143, paragrafo 1, lettera e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), stabiliva che « si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda ». Secondo tale fonte il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto, dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato. A tal fine si è affermato che quest’accezione ampia e necessariamente casistica ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo,
anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene.
Utili indicatori erano tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale: queste indicazioni, precisa sempre la CGUE in causa C-173/15 cit., punto 45, «sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice».
Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, i seguenti: 1) il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; 2) il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); 3) il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; 4) il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; 5) il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; 6) il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc. -il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; 7) il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; 8) il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; 9) le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); 10) le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
RGN 23442/2023 Consigliere rel. NOME Si tratta con evidenza di una casistica molto ampia, che abbraccia una pluralità di ipotesi, da cui risulta agevole desumere che il concetto di
contro
llo declina in un pressoché totalizzante ventaglio di ipotesi inerenti i rapporti tra licenziante e licenziatario e/o produttore, quando questi realizzi i prodotti con marchio della licenziante.
Con riferimento alla disciplina previgente la Corte di legittimità ha dunque affermato il principio di diritto, secondo cui: “In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza”» (Cass., nn. 8473 del 2018; 25438 del 2018; 25437 del 2018; 24996 del 2018).
Riportando ora l’attenzione alla disciplina introdotta con il nuovo codice doganale, l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria, per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita. Pertanto, la nuova disciplina consente di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale.
In tal senso si esprime il Taxud/B4/2016, secondo il quale “il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi”.
La norma, del resto, come precisato anche nel citato documento TAXUD del 2016, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002.
D’altronde, anche la giurisprudenza di legittimità, con orientamento che questo collegio condivide, ha avvertito che « deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale ». Q uindi, la nozione di controllo prevista dall’art. 127 Regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3606).
Con riferimento poi alla nozione di “controllo”, essa conserva importanza, venendo presa in considerazione dal Reg. (UE) n. 2015 del 2447, art. 127 (§ 3), secondo la quale, ai fini della determinazione del valore in dogana, “si ritiene che una parte controlli l’altra quando la prima è in grado, di diritto o di fatto, di imporre orientamenti alla seconda”. Si tratta, con evidenza, di una definizione più ampia e ad un tempo più generica di quella precedente, perché il significante ‘controllo’, prima inteso in termini più rigidi, con la novella risulta interfacciarsi con il più ampio, e meno rigoroso, potere di orientamento, così da escludere che con il controllo sia investita la totalità delle attività significative del soggetto controllato.
A ben osservare, pur considerando la nuova disciplina, il documento Taxud/800/2002 mantiene il suo valore orientativo, sia perché la normativa successivamente introdotta privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (cfr. Cass., 12 settembre 2019, n. 22763; 13 febbraio 2020, n. 3606). E tuttavia nell’attuale disciplina non si ravvisano le regole stringenti, come quelle richieste dalla disciplina previgente, restando sufficiente ravvisare una capacità di orientamento.
Infine, con particolare riferimento alla terza condizione (ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Qualora (come nel caso in esame) il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo , sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ».
Può, dunque, ritenersi che il pagamento dei corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties ) dovuti dall’importatore, in relazione alle merci importate, costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima. Questo rileva significativamente e torna utile in ipotesi come il caso in esame, in cui il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties .
Ebbene, fatta questa ampia ma necessaria premessa, nella sentenza impugnata il giudice d’appello ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria non avesse fornito la prova (A) tanto del pagamento del corrispettivo delle royalties come condizione di vendita (art. 136 Reg. Es.), (B) quanto del controllo penetrante della licenziante sulla ideazione e sulla stessa produzione della merce soggetta a licenza (art. 127 Reg. Es.).
Nelle lunghe argomentazioni la difesa erariale critica la decisione e pretende di dimostrare che il pagamento delle royalties costituisse una condizione di vendita della merce. Ritiene inoltre di dimostrare che la
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licenziante esercitasse un controllo penetrante sulla ideazione e produzione della merce soggetta a licenza. Ciò fa percorrendo la lettura della disciplina unionale vigente al momento delle operazioni doganali, il cui valore dichiarato è stato contestato, con ciò implicitamente criticando la pronuncia d’appello che invece prevalente richiam a i regolamenti unionali previgenti. Inoltre si appella, dopo la citazione della disciplina vigente, all’atto negoziale regolatore dei rapporti tra licenziante e licenziatario, per sostenere come la corretta lettura del contenuto di quest’ultimo paleserebbe che dalle clausole contrattuali si evince agevolmente come il pagamento delle royalties costituisse condizione per la vendita, e, inoltre, come la licenziante disponesse anche di un controllo penetrante sulla produzione della merce portante il marchio, e non si limitasse dunque ad un mero controllo di qualità della merce.
Al fine di vagliare la fondatezza della critica erariale, nel dettaglio la sentenza impugnata ha affermato che l’ADM non aveva fornito alcuna dimostrazione della sussistenza di un controllo, anche solo di fatto, diretto o indiretto, della licenziante sul produttore/venditore asiatico e che non risultava alcun rapporto contrattuale diretto tra la licenziante e il produttore asiatico; al contrario, dall’esame delle clausole del Sublicence Agreement con il quale la licenziante RAGIONE_SOCIALE aveva autorizzato la RAGIONE_SOCIALE ad utilizzare i suoi marchi, si evinceva la più ampia libertà della licenziataria nella scelta del soggetto presso cui approvvigionarsi dei capi di abbigliamento (art. 3.2), indipendentemente dal pagamento delle royalties (da calcolarsi, peraltro, non sul fatturato, ma sulle vendite nette effettuate dalla licenziataria ai propri clienti, con esclusione di quelle effettuate agli affiliati della RAGIONE_SOCIALE e ai licenzi atari della RAGIONE_SOCIALE v. art. 3.1), per cui l’unico potere di controllo della licenziante titolare del marchio era un mero ‘ controllo di qualità sul prodotto, come tale non implicante un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva ‘ del produttore asiatico e sulle relative modalità (art. 4 del contratto), in quanto la società licenziante non imponeva i produttori terzi alla licenziataria che restava libera di scegliere il soggetto presso cui approvvigionarsi dei capi di abbigliamento.
Nel dare rilevanza al fatto che il contratto tra il produttore -venditore asiatico e l’importatrice RAGIONE_SOCIALE non prevedeva il pagamento dei diritti
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di licenza per l’uso del marchio RAGIONE_SOCIALE, dovuti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha ritenuto di considerare in modo distinto il contratto di licenza e il contratto stipulato con il produttore materiale del prodotto, pervenendo alla conclusione che per il produttore materiale del prodotto il pagamento delle royalties non aveva alcuna importanza, in quanto tale elemento non intersecava il rapporto di produzione e pagamento della merce da lui prodotta, dato che il fabbricante-venditore aveva ricevuto dal committente un ordine di realizzare prodotti le cui caratteristiche erano già nella disponibilità del committente stesso e ciò in virtù di accordi tra l’ordinante acquirente ed il titolare del diritto sul bene.
Sempre secondo la sentenza impugnata, quindi, le norme contrattuali avevano messo in evidenza che i rapporti di controllo legavano unicamente il licenziante al licenziatario e non coinvolgevano il terzo produttore, né sussistevano clausole che facessero ritenere che il terzo produttore non sarebbe stato disposto a vendere se la licenziataria non avesse pagato i diritti di licenza alla licenziante.
La conclusione a cui è pervenuto il giudice di secondo grado non è in linea con i principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e di legittimità.
Occorre innanzitutto eliminare un equivoco, ossia che la difesa erariale non si sia avveduta che per la regolamentazione negoziale ha richiamato ripetutamente il contratto di licenza (‘sublicense agreement’) dell’1 dicembre 2014, intercorrente non già tra le parti in causa, ma tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE laddove nel caso di specie a regolare il rapporto tra le parti in causa, ossia tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE vi era la sublicens agreement dell’1 dicembre 2013.
Appare evidente che si tratti di un erroneo richiamo, reiterato nel corso delle difese per confusione con altri contenziosi nei quali quell’altro accordo necessitava di esame. Si rivela peraltro non essenziale ai fini della decisione della causa, perché i contenuti di entrambi gli accordi negoziali, nelle clausole essenziali richiamate nelle difese delle rispettive delle parti, si rivelano sostanzialmente sovrapponibili.
Ciò chiarito, deve ancora premettersi che le facoltà riconosciute alle licenzianti di preservare il carattere distintivo e il valore commerciale del marchio, in cui si esprime « il controllo … finalizzato alla protezione dell’immagine del licenziante nei confronti dei consumatori finali », costituiscono elementi che offrono adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di orientamento del licenziante sul produttore-venditore, in relazione alla loro incisività nell’indirizzamento dell’attività di produzione e idoneità a conformare l’attività del produttore in funzione della tutela del marchio da perdite di immagine connesse a modalità di produzione non coerenti con il livello qualitativo dei prodotti che il pubblico è solito associare al marchio che li contraddistingue. Di conseguenza, quel che rileva non è un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, pertanto, ha omesso di considerare che una situazione di controllo, intesa quale possibilità di esercizio, di diritto o di fatto, di un potere di costrizione o di orientamento -può rinvenirsi anche qualora al licenziante sia riconosciuto il diritto di esigere il soddisfacimento dei livelli di qualità normalmente associati ai prodotti commercializzati con il marchio concesso in licenza.
A tale proposito è utile richiamare quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 10 ottobre 2018, con riferimento alle regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: «Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in
esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva» (cfr. Cass. 7 giugno 2023, n. 16134).
Nel caso di specie, il giudice di appello non ha considerato l’oggettiva rilevanza di alcune clausole, quali ‘indicatori’ del potere di controllo della licenziante (già quelli indicati dal documento TAXUD/800/2002), ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore della merce dichiarata in dogana.
Se è vero che il giudice di merito è esentato dal dare conto della connessione sistematica fra le diverse clausole dei contratti di licenza quando questa non appaia rilevante al fine di accertare il diverso significato della disposizione, è altrettanto vero che, nella specie, l’erronea interpretazione attiene a clausole (trascritte nel ricorso per cassazione) in astratto rilevanti al fine di verificare un significato della volontà contrattuale diverso da quello a cui è pervenuta la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, apparendo il loro contenuto non contrastante con la diversa interpretazione sostenuta dall’Ufficio, in base alla quale la licenziante eserciterebbe, direttamente o indirettamente, un controllo sul produttore-venditore, tale da integrare il presupposto per l’inclusione dei diritti di licenza nel valore doganale delle merci importate, e dunque del pagamento delle royalties come «condizione di vendita» delle merci medesime.
E’ essenziale, pertanto, procedere all’esame del contratto di licenza, che rappresenta una delle principali fonti di informazioni per stabilire se le royalties siano rilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci importate. La verifica deve avvenire tenendo conto anche dei termini del contratto di vendita e delle interrelazioni che possono esistere tra il medesimo contratto di vendita e quello di licenza, posto che il contratto di vendita spesso non menziona la necessità di pagare le royalties per le merci.
A tale proposito è sufficiente segnalare che, nel caso di specie, il contratto di sub-licenza («S ublicense agreement ») prevedeva, anche se non per tutte le importazioni, il pagamento delle royalties all’importazione della merce a marchio RAGIONE_SOCIALE all’art. 3.1 e che il mancato pagamento di esse rappresentava una causa di risoluzione del contratto medesimo all’art. 8.2;
in conseguenza della risoluzione del contratto la licenziataria cessava
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immediatamente dalla possibilità di commercializzare, distribuire, vendere i prodotti soggetti a licenza (art. 8.3, lett. a e b); inoltre, il requisito del pagamento delle royalties regolava tutte le vendite di prodotti indipendentemente dalle modalità di approvvigionamento del Licenziatario (art. 4.1); era previsto che, qualora il licenziatario riteneva che i prodotti non ottemperassero ai propri standard qualitativi, nonché alle caratteristiche e ai requisiti tecnici, il licenziante doveva notificare i difetti riscontrati e il licenziatario non poteva distribuire o vendere, ovvero autorizzare la distribuzione o la vendita dei prodotti in cui fossero stati riscontrati tali difetti, fino a quanto non venivano corretti in maniera ragionevolmente soddisfacente per il licenziante, eccezion fatta per i prodotti di seconda scelta (art. 4.2).
La prospettazione interpretativa della difesa erariale va letta peraltro alla luce dei principi della giurisprudenza unionale, la quale, anche di recente, ha precisato che « Il diritto dell’Unione in materia di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi » (CGUE, 21 settembre 2023, n. 770/21) e che ‘ Sebbene un operatore economico non possa sottrarsi al diritto dell’Unione invocando i propri obblighi contrattuali, la determinazione del valore in dogana di merci importate non può tuttavia essere stabilita in maniera astratta In tal senso, al fine di valutare se il valore in dogana delle merci importate rifletta il loro valore economico reale, occorre prendere in considerazione la situazione giuridica concreta delle parti del contratto di vendita . P ertanto, non tener conto delle condizioni di vendita nell’ambito della determinazione del valore in dogana di tali merci sarebbe non solo contrario alle disposizioni dell’articolo 29, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 70, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, ma condurrebbe inoltre a un risultato che non consente di riflettere il valore economico reale di dette merci’ (CGUE, 22 aprile 2021, n. 75/20, punto 35).
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del presente giudizio. In particolare, con riferimento alle operazioni di importazione contestate, il giudice di rinvio dovrà accertare, alla luce dei parametri sopra indicati ed, ancora, tenuto conto del
contenuto negoziale sia del contratto di licenza che del contratto di vendita, se il venditore fosse disposto a vendere la merce anche senza il pagamento del corrispettivo dei diritti di licenza e, dunque, se il pagamento delle royalties costituisse o meno una condizione della vendita e, quindi, se sussistesse un potere di controllo, anche indiretto, incidente non solo sulla qualità del prodotto, ma sull’intera produzione .
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 settembre 2024