Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32871 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32871 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ha emesso la seguente ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 8786/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, INDIRIZZO giusta procura in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Dogane dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 2077/2020, depositata in data 29 settembre 2020, non notificata udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 25 settembre 2024, dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per la parte ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso per cassazione; NOME COGNOME che ha chiesto udito per la parte controricorrente, l’Avv. il rigetto del ricorso per cassazione;
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto il diniego alle istanze di rimborso presentate per avere versato diritti doganali in relazione alle operazioni effettuate presso la RAGIONE_SOCIALE di Pioltello, nelle annualità 2015 e 2016, calcolati sul valore della merce comprensivo del valore delle royalties.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) la sentenza riportava in motivazione che i rapporti contrattuali tra la contribuente ed il fabbricante esportatore erano regolati da una sublicenza;
-) il controllo da parte della licenziante sulla esportazione era naturalmente penetrante e senza una serie di clausole dei due contratti non c’era la sicurezza del pagamento delle royalties;
-) questi contratti andavano interpretati non come singoli ma come facenti parti di un accordo unico perché, su concessione del titolare della licenza, un commerciante domestico faceva costruire i prodotti
ad un fabbricante straniero in modo tale che i prodotti avessero quello standard di qualità reputato accettabile dalla licenziante;
-) sostanzialmente senza l’autorizzazione della licenziante il costruttore non poteva spedire la merce e naturalmente la licenziante prima di accordare tale autorizzazione a spedire voleva la garanzia del pagamento delle royalties da un operatore finanziario per conto dell’importatore;
-) non risultando la forma tecnica del pagamento dalla documentazione versata in giudizio da parte della RAGIONE_SOCIALE non vi era la dimostrazione che il pagamento delle licenze non fosse condizione di vendita della merce e che non vi fosse il pagamento richiesto da un soggetto legato da un particolare rapporto negoziale al fornitore estero.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992 e degli artt. 157, 159 e 160 del Regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione del 2 luglio 1993. La pronuncia di secondo grado era infondata, in quanto, conformandosi alla posizione assunta dai Giudici di primo grado e limitando la propria indagine alla verifica della sussistenza di un contratto di licenza, non aveva esaminato le pattuizioni contrattuali intercorse tra le parti e non aveva minimamente valutato la normativa applicabile al caso di specie. In particolare, la sentenza impugnata non aveva considerato l’art. 159 DAC e aveva affermato la daziabilità delle royalties senza valutare
se ricorresse un obbligo dell’acquirente di rivolgersi solo a determinati produttori. Nella fattispecie in esame, trattandosi dell’utilizzo di marchi di fabbrica e non risultando soddisfatte tutte le condizioni richieste dall’art. 159 del DAC, il pagamento dei diritti di licenza non poteva assolutamente configurarsi quale condizione alla vendita, ponendosi la valutazione della norma appena citata, in virtù della sua natura «speciale», in una posizione antecedente, prodromica ed esclusiva rispetto all’esame delle disposizioni contenute nell’art. 160 del DAC. Appariva, pertanto, evidente come la dissertazione dei Giudici di secondo grado si sarebbe dovuta concentrare sulla verifica dell’eventuale esistenza di un «collegamento», di una sorta di «interdipendenza» fra il contratto di vendita delle merci (stipulato tra l’acquirente e il produttore) e il contratto di licenza (stipulato tra la licenziataria/acquirente e la licenziante), per effetto della quale la licenziante risultasse tutelata in relazione al pagamento dei diritti di licenza dagli stessi produttori e alla circostanza che questi avessero consapevolezza, interesse e titolo per richiederne il pagamento, negando, in carenza della relativa corresponsione, la vendita delle merci, elementi che non sussistevano nel caso di specie. 2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1362, 1363, 1371, 1372 cod. civ.. La sentenza impugnata si fondava sul presupposto, del tutto erroneo, che i contratti di licenza e gli accordi conclusi tra la licenziataria ed i singoli fornitori non comunitari dovevano essere interpretati «non come singoli ma come facenti parti di un accordo unico». Il Collegio aveva affermato la daziabilità dei diritti di licenza, senza esaminare i contratti tra la licenziataria e i produttori, nonostante la presunta sussistenza della condizione della vendita doveva trovare sede proprio in tali accordi. Infatti, nella pronuncia impugnata, si trovavano, unicamente, indicazioni in merito all’obbligo della licenziataria di garantire un certo standard qualitativo dei
prodotti, mentre nessun accenno veniva fatto a quel legame che doveva collegare le posizioni dei soggetti coinvolti ed in particolare porre in relazione i vincoli imposti ai produttori non comunitari affinché si perfezionasse la vendita da quest’ultimi alla società e, infine, con il pagamento dei diritti di licenza. Emergeva, quindi, la violazione delle norme civilistiche indicate in rubrica, posto che i contratti intercorsi tra le parti erano stati interpretati in modo difforme da quanto la disciplina codicistica di riferimento imponeva di fare. Essendo i contratti separati ed indipendenti, il collegamento tra gli stessi, ipotizzato dai Giudici di appello, in mancanza di clausole che lo prevedevano, violava in primo luogo l’art. 1372 cod. civ., che assegnava valore normativo al contratto con riferimento alle sole parti che avevano preso parte all’accordo, escludendo, salvo casi specifici, i terzi che non vi avevano preso parte. Restava violato il canone ermeneutico dell’art. 1362 cod. civ., in quanto la sentenza impugnata, nella sintesi delle clausole ritenute indicative, alludeva a rapporti bilaterali, rispetto ai quali mancava ogni riferimento testuale o logico ai contratti riguardanti altre parti. Ancora, il collegamento tra le clausole di cui all’art. 1363 cod. civ. era arbitrario, poiché se da un lato erano richiamati alcuni elementi contrattuali che imponevano vincoli al produttore dall’altro, non erano stati considerati altre clausole o accordi delle parti collegati che, invece, sconfessavano l’esistenza di quei vincoli. In particolare, se si intendeva assumere che i vincoli sul produttore fossero espressione di un condizionamento della vendita, non poteva essere omessa l’indicazione dei luoghi del contratto che contenevano una condizione implicita. La lettura delle clausole contrattuali, arrivando a ipotizzare, in modo del tutto presuntivo, un condizionamento delle vendite al pagamento dei diritti di licenza, che non era esplicitamente previsto, era antitetica al criterio interpretativo della minore gravosità e dell’equo contemperamento dell’interesse di tutte le parti coinvolte. La sentenza
impugnata risultava viziata in quanto la motivazione era stata redatta sulla base di valutazioni fondate su metodi interpretativi errati e che si ponevano in contrasto con quanto previsto dall’ordinamento.
I motivi che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
3.1. Deve premettersi che la presente fattispecie, secondo la prospettazione della società ricorrente, non contestata dall’Agenzia delle Dogane, è regolata dal Regolamento (CEE) n. 2913/92, del 12 ottobre 1992, istitutivo del Codice doganale comunitario e al Regolamento Ce del 2 luglio 1993, n. 2454/1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario, in quanto le obbligazioni doganali di cui si discute sono state effettuate negli anni 2015 e 2016 ( dovendosi rilevare che il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del Codice doganale dell’Unione europea (CDU) è entrato in vigore il 1° maggio 2016 e così il corrispondente Regolamento di esecuzione Reg (UE) del 24 novembre 2015, n. 2447/2015 ).
3.1.1 L’art. 29 del Regolamento (CEE) n. 2913/92, del Consiglio del 12 ottobre 1992, che ha istituito il Codice doganale comunitario, applicabile, come già detto, alla presente fattispecie ratione temporis , stabilisce che « il valore in dogana delle merci importate è, di regola, il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33 ».
3.1.2 L’art. 32, nell’individuare gli elementi che devono essere aggiunti al prezzo effettivamente pagato per determinare il valore in dogana, attribuisce rilevanza, tra gli altri, alla lett. c), ai « corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione
della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
3.1.3 L’art. 157, par. 1, Reg. (CEE) n. 2454/93 (che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento che istituisce il codice doganale comunitario), chiarisce, poi, che per « corrispettivi e diritti di licenza », ai fini dell’articolo 32, par . 1, lettera c), del codice doganale comunitario deve intendersi, in particolare, quanto versato per l’utilizzo di diritti inerenti alla fabbricazione delle merci importate, alla vendita per l’esportazione di tale merce e all’impiego e alla rivendita delle stesse; il successivo par. 2 del medesimo articolo precisa che al prezzo effettivamente pagato o da pagare devono essere aggiunti i corrispettivi o diritti di licenza soltanto nel caso in cui tale pagamento, da un lato, si riferisca alle merci oggetto della valutazione e, dall’altro, costituisca una condizione di vendita di tali merci; l’art. 159, poi, stabilisce che al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate va aggiunto un corrispettivo o diritto di licenza relativo al diritto di utilizzare un marchio commerciale o di fabbrica soltanto se il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore.
3.2 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che le rettifiche del valore in dogana devono essere effettuate conformemente all’art. 32 e che, comunque, il valore doganale deve riflettere il valore economico reale della merce importata e, quindi, considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (cfr. Corte di Giustizia UE, 20 dicembre 2017, Hamamatsu; Corte di Giustizia UE,
21 gennaio 2016, COGNOME; Corte di Giustizia UE, 12 dicembre 2013, COGNOME).
3.2.1 La Corte di giustizia, in particolare, nella sentenza del 9 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE ha precisato che:
-) la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare;
-) i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come « relativi alle merci da valutare » anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale;
-) la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare;
-) qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente », ciò in coerenza con l’art. 160, Reg. (CEE) n. 2454/93, secondo cui il pagamento delle royalties costituisce una condizione della vendita quando il venditore o una
persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento;
-) i corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties) dovuti dall’importatore in relazione alle merci importate costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana di cui all’art. 32 del codice doganale comunitario e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties.
3.2.2 Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale unionale, deve osservarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. Da ciò consegue che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione, poi, la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore (o la persona ad esso legata) e
l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare e qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente (ciò, in coerenza con l’art. 160, Reg. (CEE) n. 2454/93, secondo cui il pagamento delle royalties costituisce una condizione della vendita quando il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento). Può, dunque, ritenersi che i corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties) dovuti dall’importatore in relazione alle merci importate costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana di cui all’art. 32 del codice doganale comunitario e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties (cfr. sul tema, Cass. 6 aprile 2018, n. 8473).
3.3 Con riferimento alla nozione di controllo utilizzata nella richiamata pronuncia della Corte di Giustizia e presa in considerazione dall’art. 143, par. 1, lett. e), Reg. (CEE) n. 2454/93, questa Corte nell’ordinanza 31 ottobre 2019, n. 28080, che va richiamata nelle sue argomentazioni, del tutto condivise da questo Collegio, ha osservato che « L’allegato 23 a tale Regolamento chiarisce che ‘si considera che una persona
ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda’; il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta del potere di ‘orientamento’ del soggetto controllato; quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene; al fine della individuazione del contenuto della nozione di ‘controllo’ utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale; tale documento è ormai parte dell’acquis communautaire con valore di soft law, come riconosciuto anche dalla menzionata pronuncia della Corte di Giustizia secondo cui le conclusioni del predetto Comitato ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’; ebbene, il documento annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche
delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante; come precisato dallo stesso Commento n. 11, nessuno di questi elementi costituisce di per sé una condizione di vendita, tuttavia una combinazione di questi elementi dimostra che esiste quel ‘potere di orientamento’ della licenziante sulla venditrice, tale per cui il pagamento dei diritti di licenza costituisce una condizione di vendita; peraltro, possono esistere anche altri elementi, diversi da quelli presi in considerazione dal Commento n. 11, rivelatori dell’esistenza di una siffatta relazione tra le parti; non risulta rilevante, né dirimente, la circostanza relativa alla soppressione del richiamato documento, in quanto il documento TAXUD/B4/2016, che fornisce linee orientative più sintetiche (ma non meno lineari) e si correla al dettato del nuovo codice doganale (Regolamento n. 952/2013/UE) e al corrispondente Regolamento di esecuzione (Regolamento n. 2015/2447/UE); in proposito, si osserva che l’art. 70 del vigente codice doganale comunitario, pone, al primo comma, la regola generale per il valore in dogana è quello di transazione, ossia ‘il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci’, mentre il comma successivo dispone che questo ‘è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate’; con riguardo alla questione in esame, il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare’; l’art. 136 del regolamento di esecuzione, precisa, poi, che ‘I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante’ (quarto comma); la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale; in tal senso si esprime il TAXUD/B4/2016, secondo cui ‘il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare
royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi’; quanto alla nozione di ‘controllo’, va rilevato che la stessa conserva importanza, venendo presa in considerazione dall’art. 127, Reg. (UE) n. 2015/2447, secondo la quale, ai fini della determinazione del valore in dogana, ‘si ritiene che una parte controlli l’altra quando la prima è in grado, di diritto o di fatto, di imporre orientamenti alla seconda’; una siffatta locuzione è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato; è, dunque, evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis, sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate » (Cass., 31 ottobre 2019, n. 28080, in motivazione).
3.3.1 Le medesime argomentazioni sono state già espresse da questa Corte che, in proposito, ha affermato che « In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza » (Cass., 10 ottobre 2018, n. 24996; Cass., 6 aprile 2018, n. 8473); inoltre, più di recente, è stato precisato che « Per determinare il valore in dogana delle merci da importare, il prezzo effettivamente pagato o da pagare è integrato dai corrispettivi e i diritti di licenza relativi, che il compratore,
direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci stesse. Ciò sempre considerando, da un lato, che devono essere valutati una pluralità di profili specificamente concernenti ciascuna fattispecie concreta e, dall’altro, che il mero controllo di qualità non è rilevante » (Cass., 1 dicembre 2022, n. 35359).
3.3.2 In sintesi, tenuto conto della nozione di controllo, come sopra delineata (una persona ne controlla un’altra quando la prima è in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda), deve evidenziarsi che il controllo è inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta del potere di «orientamento» del soggetto controllato; quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene (cfr. Cass., 16 maggio 2023, n. 13338, in motivazione).
3.3.3 Come affermato da autorevole dottrina la circostanza che le royalties siano relative alle merci importate e siano considerate ai fini della determinazione del valore delle merci è evidente quando i beni importati sono essi stessi oggetto dell’accordo di licenza e incorporano il marchio per il quale vengono pagati i diritti di licenza oppure quando le merci oggetto della licenza costituiscono ingredienti o componenti delle merci importate, mentre, al fine di verificare se le royalties siano connesse alle merci importate, il metodo di calcolo del loro importo diventa rilevante soltanto se detto metodo si basa sul prezzo delle merci importate, in quanto si presume, salvo prova contraria, che il pagamento del diritto di licenza si riferisce alle merci oggetto di valutazione; in ogni caso, si deve tenere conto che sebbene i diritti di licenza debbano considerarsi in via di principio «relativi alle merci da
valutare», ciò non significa che debbano essere addizionati dal valore delle merci in modo automatico, perché l’integrazione del valore delle merci con i diritti di licenza presuppone anche che il compratore sia tenuto a pagarle come condizione per la vendita delle merci da valutare.
3.4 Tanto premesso, i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali oppure le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante. L’operazione ermeneutica che l’interprete deve effettuare è quella di stabilire se il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi all’operazione dai quali emerga, anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties. Così, in base a tali elementi è stata considerata come una condizione della vendita delle merci importate il pagamento preteso dal venditore come condizione per la distribuzione esclusiva delle merci sul territorio interessato, oppure la circostanza che il venditore delle merci, altresì beneficiario del pagamento, non avrebbe ceduto tali merci, senza tale pagamento, per la loro distribuzione esclusiva su un determinato territorio e, di contro, è stato ritenuto indifferente che detto pagamento dovesse essere effettuato solo per un periodo limitato di tempo (cfr. CGUE, 19 novembre 2020, causa C-775/19).
3.5 E’ appena il caso di precisare che con il nuovo codice doganale l’esigenza di stabilire l’esistenza di un «legame» tra i soggetti coinvolti nelle operazioni che danno luogo all’importazione delle merci e al
pagamento dei corrispettivi e diritti di licenza si è attenuta, in quanto, con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita, con la conseguenza che, nei rapporti trilaterali, i corrispettivi e i diritti di licenza concorrono ad integrare il valore delle merci importate se sono versati in un contesto in cui il licenziante può controllare i produttori che vendono i beni al licenziatario e per stabilire se ricorrono tali condizioni è necessario esaminare tutti i contratti commerciali, ivi compresi i contratti di licenza.
3.5.1 Come già precisato da questa Corte, in modo condivisibile, « deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale » e che la nozione di controllo prevista dal Regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3606, in motivazione).
3.5.2 In tal senso si esprime il Taxud/B4/2016: « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo
di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi ».
3.5.3 Ciò che, come evidenziato anche nel citato documento TAXUD del 2016, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002, con la conseguenza che il documento Taxud/800/2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci ed anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (cfr. Cass., 16 maggio 2023, n. 13338; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3606).
3.5.4 E’, dunque, evidente che il documento TAXUD-800-2002 continua ad avere un valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis , sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338, in motivazione).
3.5.5 Più in particolare, questa Corte ha evidenziato che « La eliminazione del documento dalla raccolta non appare conseguenza della perdita del suo valore interpretativo, bensì dell’abrogazione del CDC e del DAC, che ha conseguentemente determinato la necessità di abbandonare il vecchio documento di prassi e sostituirlo con un nuovo documento che si riferisca alla nuova normativa unionale: Reg. n. 952/2013/UE-CDU (nuovo codice doganale) e Reg. n. 2015/2447/UE-
RE (nuovo regolamento di esecuzione) » (Cass.30 gennaio 2020, n. 2140), così evidenziando che gli indicatori di cui al documento TAXUD800-2002 non hanno perso il loro valore orientativo, in quanto la nuova normativa unionale ha disciplinato la materia in continuità con la precedente e che il potere di controllo è inteso « in un’accezione ampia, secondo cui è sufficiente anche un mero potere di orientamento, e necessariamente casistica, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene » ed « utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale », avendo la Corte di giustizia, nella sentenza 7 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE, citata, stabilito che questi documenti « sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice » (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338, in motivazione).
3.6 Ciò posto , nel caso in esame, ritiene questo Collegio che la Commissione tributaria regionale non abbia fatto corretta applicazione dei principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e da quella di legittimità; ed invero, la disamina dei dati contrattuali, poiché la controversia investiva la tematica della determinazione del valore in dogana basato sul valore di transazione, ponendo in apice l’esigenza di appurare se l’obbligatorietà del pagamento delle royalties venisse in rilievo o meno quale condizione della vendita, si presentava, all’evidenza, centrale e non obliterabile, nemmeno parzialmente, alla luce del perimetro normativo sopra acclarato. I giudici di secondo grado
hanno affermato , invece, tra l’altro in qualche momento motivazionale anche in modo poco chiaro, che « La sentenza riporta in motivazione che i rapporti contrattuali tra la contribuente ed il fabbricante esportatore siano regolati da una sub-licenza, collegando tra loro allo stesso modo di come previsto dall’art. 160 DAC. Il controllo da parte della licenziante sulla esportazione è naturalmente penetrante e senza una serie di clausole di due contratti non avrebbe la sicurezza di essere pagata delle royalties. Questi contratti vanno interpretati non come singoli ma come facenti parti di un accordo unico perché su concessione del titolare della licenza un commerciante domestico fa costruire i prodotti ad un fabbricante straniero che deve non solo limitare la sua produzione a quanto è l’ordine ma deve permettere una serie di controlli acchè i prodotti abbiano quello standard di qualità reputato accettabile dalla licenziante. Sostanzialmente senza l’autorizzazione della licenziante il costruttore non può spedire la merce. Naturalmente la licenziante prima di accordare tale autorizzazione a spedire vuole la garanzia del pagamento delle royalties da un operatore finanziario per conto dell’importatore, sarebbe quanto meno inverosimile se fosse il contrario. Dalla documentazione versata in giudizio da parte della RAGIONE_SOCIALE non risulta la forma tecnica del pagamento e la conseguente documentazione dello stesso sicché non vi è stata la dimostrazione che il pagamento delle licenze non era condizione di vendita della merce e che non vi fosse il pagamento da essere richiesto da un soggetto legato da un particolare rapporto negoziale al fornitore estero » (pag. 2 della sentenza impugnata), prescindendo del tutto dall’indicazione del contenuto delle clausole da cui erano state tratte le considerazioni pure genericamente svolte, contenuto contrattuale nemmeno riportato, quando invece, l’esame capillare dell’intero contratto di vendita e de i contratti di licenza stipulati con le diverse società era, in definitiva, imprescindibile per acclarare se il versamento delle royalties facesse o meno parte integrante del prezzo. Ed invero, deve precisarsi che le facoltà riconosciute alle licenzianti di preservare il carattere distintivo e il valore commerciale del marchio, in cui si esprime « il controllo … finalizzato alla protezione dell’immagine del licenziante nei confronti dei consumatori finali », costituiscono elementi che offrono adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di controllo del licenziante, in relazione alla loro incisività nell’indirizzamento dell’attività di
produzione e idoneità a conformare l’attività del produttore in funzione della tutela del marchio da perdite di immagine connesse a modalità di produzione non coerenti con il livello qualitativo dei prodotti che il pubblico è solito associare al marchio che li contraddistingue; di conseguenza, quel che rileva non è un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva. Inoltre, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza nella sentenza n. 24996 del 10 ottobre 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (cfr., più di recente, Cass., 7 giugno 2023, n. 16134). Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale non ha considerato l’oggettiva rilevanza d elle clausole negoziali, quali «indicatori» del potere di controllo del licenziante. Ed invero, l’esame del contratto di licenza è essenziale in quanto rappresenta una delle principali fonti di
informazioni per stabilire se le royalties siano rilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci importate. Tale analisi deve però avvenire tenendo conto anche dei termini del contratto di vendita e delle interrelazioni che possono esistere tra il contratto di vendita stesso e quello di licenza e ciò anche in considerazione del fatto che sovente il contratto di vendita non menziona la necessità di pagare le royalties per le merci.
La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che dovrà operare la verifica sulle operazioni di importazioni in esame, al fine di accertare se, alla luce dei parametri sopra indicati, la società ricorrente, ha un potere di controllo, anche indiretto, in modo tale da incidere sul ciclo di produzione e non sulla qualità del prodotto, sia in virtù delle pattuizioni del contratto di licenza, che del contenuto negoziale del contratto di vendita.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 25 settembre 2024.