Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5592 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5592 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
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Oggetto: valore in dogana
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art.
71
CDU
elencazione tassativa
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.NUMERO_DOCUMENTO proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE (PEC: EMAIL)
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore dott. COGNOME NOME, difesa e rappresentata come da procura speciale in atti dall’AVV_NOTAIO (PEC: EMAIL ) unitamente all’AVV_NOTAIO (quale associato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale di quest’ultimo, sito
in Bergamo, INDIRIZZO (PEC: EMAIL) come da procura speciale allegata in formato digitale;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria n. 215/03/23 depositata in data 20/03/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/01/2024 dal Consigliere Relatore NOME COGNOME;
Rilevato che:
-con distinti ricorsi la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di rettifica prot. NUMERO_DOCUMENTORU del 10 novembre 2017 relativo alla dichiarazione d’importazione IM 4T n.2825T per un valore di € 9.476,41 e l’atto di irrogazione della sanzione tributaria prot. n. 41435/RU del 10 novembre 2017, per un valore di € 5.000,00;
-la dichiarazione doganale veniva sottoposta ad un controllo documentale all’esito dei quali l’RAGIONE_SOCIALE, esperita la Mutua Assistenza Amministrativa con il collaterale organismo della Repubblica Popolare Cinese e venuta in possesso della bolletta di esportazione trasmessa dall’organo collaterale cinese e di copia della fattura di vendita, nelle quali il valore indicato era pari ad USD 15.178,75, contestava l’autenticità della fattura presentata alla dogana italiana;
-la CTP accoglieva i ricorsi; appellava l’Ufficio;
-la CTR con la pronuncia impugnata ha confermato la statuizione di prime cure in quanto ‘escluso quindi che il documento prodotto alla Dogana italiana dalla società importatrice costituisca un falso, resta da stabilire se una carenza formale, come la mancata indicazione della data nella dichiarazione circa il fabbricante destinatario del CADD utilizzato, possa inficiare la validità di tale dichiarazione. La risposta è negativa. Ritiene infatti il Collegio che il certificato di origine cinese n. 16C4406M0963/00007 del 22/12/2016, nel quale viene indicato
quale produttore della merce cinese la società RAGIONE_SOCIALE costituisca prova sufficiente a dimostrare che la merce in importazione è stata fabbricata da uno dei produttori espressamente indicati nel regolamento (UE) n. 917/2011;
-ricorre a questa Corte l’RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a un solo motivo di ricorso;
-resiste la società contribuente con controricorso;
Considerato che:
-il solo motivo proposto deduce in primo luogo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 3 del Reg. di Esecuzione (UE) 917/2011 del 12 settembre 2011 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per non avere la CTR ritenuto che la riduzione del dazio antidumping concessa dal regolamento di esecuzione 917 del 2011 alle imprese di cui all’allegato uno del regolamento spetti solo in presenza di una fattura i requisiti dell’allegato n. 2 del regolamento – che in particolare includono la sottoscrizione della fattura nel caso di specie mancante – né avendo indagato il giudice a quo se tale fattura fosse regolare o meno ai sensi di quello specifico regolamento;
-il motivo, sotto questo primo profilo, è infondato;
-invero, la CTR ha accertato in fatto come ‘ gli importi indicati in dichiarazione di esportazione (documenti relativi all’esportazione che costituiscono ed esauriscono l’impegno cinese nell’attività di mutua assistenza con l’UE), sono importi comprensivi di IVA cinese la cui aliquota generale è del 17% e che il valore indicato nella autofattura ricevuta dalla Dogana cinese, al netto del 17%, coincide sia con il valore indicato in fattura che con il prezzo pagato dalla importatrice’; ancora, il giudice dell’appello ha facilmente verificato in fatto come ‘scorporando infatti l’IVA (17%) dall’importo di USD 15.178,75, si ottiene un valore sostanzialmente analogo a quello esposto
nell’esemplare della fattura in possesso della società appellata, così come inoltratole dal fornitore/intermediario cinese e poi dalla stessa indicato nella dichiarazione di importazione’;
-ciò compiuto, secondo la CTR ‘resta da stabilire se una carenza formale, come la mancata indicazione della data nella dichiarazione circa il fabbricante destinatario del CADD utilizzato, possa inficiare la validità di tale dichiarazione’. Il Collegio di appello ha escluso tale eventualità, poiché ha ritenuto ‘che il certificato di origine cinese n. NUMERO_DOCUMENTO del 22/12/2016, nel quale viene indicato quale produttore della merce cinese la società RAGIONE_SOCIALE costituisca prova sufficiente a dimostrare che la merce in importazione è stata fabbricata da uno dei produttori espressamente indicati nel regolamento (UE) n. 917/2011′;
-alla luce di quanto sopra, si evince come la RAGIONE_SOCIALE abbia nel concreto proprio accertato quanto era necessario accertare, avvalendosi non solo di elementi formali, ma indagando la sostanza della fattispecie sottoposta al suo esame, così come dovevasi;
-difatti, parte ricorrente sostiene che la dichiarazione della quale contesta la validità ‘è di indubbia importanza in quanto certifica che le piastrelle siano prodotte da quella particolare società, la RAGIONE_SOCIALE , per la quale il Regolamento (UE) n. 917/2011 riconosce l’applicazione di un dazio agevolato’; in altri termini, era necessario per accertare proprio quanto la CTR ha verificato tramite l’esame del certificato di origine cinese;
-come è noto, secondo questa Corte (Cass. Sez. 5 , Sentenza n. 22647 del 11/09/2019) in tema di dazi all’importazione, il certificato di origine della merce, pur se ritenuto inizialmente veritiero dall’Autorità doganale di uno
RAGIONE_SOCIALE membro, non preclude l’esercizio di controlli “a posteriori” finalizzati a confermarne la veridicità, in quanto, alla luce del sesto considerando del codice doganale comunitario di cui al reg. CEE n. 2913 del 1992 (come interpretato dalla sentenza della Corte di Giustizia 15 settembre 2011, in causa C-138/10), suddetta autorità, al momento dell’accettazione iniziale RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni in dogana, non si pronuncia sulle informazioni fornite dal dichiarante, di cui quest’ultimo si assume la responsabilità, spettando all’importatore di dare prova anche della sua buona fede;
-ciò in quanto il certificato di origine RAGIONE_SOCIALE merci emesso dalle autorità del Paese di esportazione, previsto dapprima dall’ art. 26 del Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 e dagli artt. 80 e ss. del Regolamento CEE 2 luglio 1993, n. 2454, costituisce titolo di legittimazione esclusivo per esercitare il diritto di fruizione RAGIONE_SOCIALE specifico regime doganale previsto in relazione all’origine del prodotto (“condicio sine qua non”), pur non avendo efficacia di “prova legale assoluta” (“iuris et de iure”) della effettiva origine della merce importata dal Paese terzo che ha emesso il certificato, attesa, da un lato, l’assenza di obblighi di controllo in capo al Paese terzo e, dall’altro, la possibilità, per il Paese importatore, in presenza di ragionevoli dubbi, di contestare l’effettiva origine del prodotto importato e rifiutare, indipendentemente dalla regolarità formale del certificato, l’applicazione RAGIONE_SOCIALE specifico regime doganale;
-nel ritenere quindi determinante ai fini di accertare la provenienza dei beni importati le indicazioni del certificato, indipendentemente dalla irregolarità formale contestata presente nella fattura, la CTR ha applicato correttamente i principi di diritto indicati da questa Corte;
-il motivo contiene poi un ulteriore profilo di doglianza, con il quale parte ricorrente lamenta che il giudice di seconde cure
abbia erroneamente basato la sentenza qui in esame sulla sentenza penale n. 882/2021 (depositata il 03.11.2021) emessa dal Tribunale della Spezia, nei confronti del sig. COGNOME NOME a seguito del dibattimento del giudizio penale RGNR 2967/2017 e depositata nel corso del giudizio di appello;
-anche tale profilo di doglianza è infondato;
-alla luce di quanto sopra e del contenuto della sentenza impugnata, si evince che l’accertamento in ordine all’origine del prodotto -determinante per l’attribuzione del valore in dogane e dei dazi conseguenti – è stato compiuto senza limitarsi a prendere atto dell’esito del procedimento penale, in quanto la pronuncia impugnata ha chiarito in motivazione come ‘nel caso di specie la sentenza del Tribunale Penale della Spezia’ (può) ‘costituire il fondamento motivazionale della presente decisione, anche perché corroborata da altri elementi di prova’;
-la sentenza di appello ha quindi ritenuto del tutto indifferente -ai fini tributari – se il procedimento penale che ha avuto origine dalla notizia reato si sia concluso con una condanna, con una assoluzione o con una pronuncia in rito; essa ha proceduto con la valutazione del procedimento penale nell’ambito del giudizio tributario operandola in modo del tutto autonomo, senza attribuire nessuna automatica autorità di cosa giudicata alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari -anche relativi alle operazioni doganali – ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, stante i limiti in tema di prova posti nel processo tributario dal d. Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 (in termini tra molte Cass. 24 novembre 2017, n. 28174);
-pertanto, il ricorso è rigettato;
-le spese sono regolate dalla soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 4.300,00 oltre a euro 200 per esborsi cui aggiungersi spese generali nella misura del 15% e ulteriori accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2024.