Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32633 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32633 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21368/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL VENETO n. 152/2022 depositata il 02/02/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere COGNOME.
Udita la P.G., in persona del Sost. P.G. COGNOME che ha concluso come in atti.
Udito il legale costituito della ricorrente, che ha concluso come in atti.
Udita, per l’Agenzia, l’Avvocatura Generale Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
Con processo verbale di constatazione del 3 giugno 2011, le Dogane di Varese hanno contestato alla società RAGIONE_SOCIALE di non aver incluso nel valore dichiarato in dogana di merce di provenienza extracomunitaria anche l’ammontare dei diritti di licenza. Conseguentemente l’Ufficio ha notificato alla società in parola un avviso di accertamento e un atto di contestazione. Avverso i due provvedimenti la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso alla CTP di Vicenza, che è stato accolto. La CTR del Veneto, con sentenza n. 93/29/14 del 21 gennaio 2014, ha rigettato sia l’appello dell’Agenzia, sia quello incidentalmente promosso dalla società.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25076 del 2019, ha cassato con rinvio la sentenza del giudice regionale.
In data 6 aprile 2020, l’Ufficio ha presentato ricorso in riassunzione.
La CTR del Veneto ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane ed ha rigettato l’appello incidentale della società RAGIONE_SOCIALE Quest’ultima, ora in Amministrazione Straordinaria, affida il proprio ricorso per cassazione a due motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, par. 1 lett. c) e par. 5 e dell’art. 70 del CDC, nonché degli artt. 143, 157 paragrafo 2, 159 e 160 del DAC, rilevante ai sensi dell’art. 360, co. I, n. 3) c.p.c.: erroneità della sentenza per aver statuito l’inclusione dei diritti di licenza nell’imponibile soggetto a dazio sulla base di presupposti di fatto e di diritto non contemplati dalle norme applicabili in materia ‘.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 3, dello Statuto dei diritti del contribuente e dell’art. 6, co. 2, D.Lgs. n. 472/1997, rilevante ai sensi dell’art. 360, co. I, n. 3) c.p.c.: erroneità della sentenza nella parte in cui disattende l’istanza di disapplicazione delle sanzioni per la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza ‘.
Il primo motivo è infondato.
La CTR ha significativamente accertato in fatto, alla luce del tessuto contrattuale, la sussistenza di un legame tra la licenziante e il produttore declinato sub specie di controllo non di mera qualità esercitato dalla prima nei confronti del secondo.
Osserva la CTR, tra l’altro, che: ‘ dagli atti della presente controversia emerge chiaramente che l’imposizione del ‘Codice di condotta’ e la facoltà di controllo, anche sul produttore della merce, consente alla licenziante di ‘imporre orientamenti’ alla licenziataria ‘; ‘ è indiscutibile che l’imporre un Codice di condotta e riservarsi la facoltà di verificarne il rispetto costituisce una forma di controllo della licenziante non solo sulla licenziataria, ma anche sul produttore della merce e quindi sussiste il controllo ‘diretto’ individuato nel processo verbale di constatazione’ ; ‘ imporre la condizione che il produttore debba attenersi al ‘Codice di condotta’ obbliga la licenziataria a scegliere solo quei produttori che aderiscono a tale condizione e conseguentemente configura un
contro
llo preventivo’ ; ‘ l’imporre un Codice di condotta e riservarsi la facoltà di verificarne il rispetto costituisce una forma di controllo della licenziante non solo sulla licenziataria, ma anche sul produttore della merce e quindi sussiste il controllo ‘diretto’ individuato nel processo verbale di constatazione ‘.
In sostanza, il giudice d’appello, muovendo dal tessuto dei rapporti contrattuali al fondo della complessiva vicenda commerciale, ha appurato l’esistenza di un controllo della licenziante sul produttore. In tal modo, essa si è posta nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 luglio 2020, C-76/19, NOME COGNOME secondo la quale occorre svolgere un’attenta interpretazione dei contratti in essere, al fine di verificare se sussiste la condizione del ‘controllo sul produttore’.
I diritti di licenza sono stati, infatti, reputati suscettibili di inclusione nel valore doganale, in quanto la licenziante era, nel caso che occupa, abilitata ad effettuare, non una semplice verifica qualitativa sui prodotti, ma un vero e proprio controllo sul produttore.
Il Codice doganale dell’Unione europea (Reg. UE 952/2013) prevede, d’altronde, che le royalties devono essere incluse nel valore doganale dei prodotti importati se il compratore è tenuto a pagarle, direttamente o indirettamente, come ‘condizione della vendita’, nella misura in cui le stesse non siano già state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da pagare e purché si riferiscano alle merci oggetto di valutazione (art. 71 Cdu).
Il requisito della ‘condizione di vendita’ è soddisfatto nel momento in cui il licenziante è in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o, anche solo di ‘ orientamento ‘ sul fornitore -produttore.
Il ‘controllo sul produttore’ è indice della condizione di vendita richiesta dalla normativa UE ai fini della daziabilità delle royalties
(v. ex multis Cass. n. 1041 del 2021; Cass. n. 21775 del 2020; Cass. n. 22480 del 2020).
Nella specie, la CTR ha riscontrato la presenza di una serie di indici oggettivi, che manifestavano un concreto potere di ‘controllo’ e di orientamento esercitato dal licenziante sul fornitore-produttore estero. Il controllo in parola così atteggiato è stato ritenuto idoneo, nell’esercizio di un sindacato di merito riservato al giudice d’appello, idoneo ad integrare un legame, tra la licenziante e il fornitore-produttore.
La giurisprudenza comunitaria ha evidenziato che è indispensabile, per appurare se un controllo rilevante ai fini della daziabilità dei diritti di licenza ricorra, ” verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ” (Corte di giustizia causa C-173/15, punto 68). A proposito del controllo rilevante ai fini della presente controversia, va osservato che l’art. 23 D.A.C. all’art. 143, paragrafo 1, lett. e) prevede che ” si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda “. È evidente, dunque, che il controllo sia inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto; dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell’effetto di ” orientamento ” del soggetto controllato: quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene. Utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel
documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lett. c), del codice doganale, con riconosciuto valore di soft law ; queste indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C-173/15, p. 45: ” sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sè considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice “; in particolare, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i 8 seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con
riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
In buona sostanza -giova ribadirlo -l’intera operazione risulta conformata, secondo la prospettiva della CTR, dall’esercizio di un potere di controllo della licenziante incidente sulla produzione, in virtù delle pattuizioni contrattuali. A questo accertamento di fatto, la ricorrente finisce per contrapporre una diversa valutazione del merito della controversia, di fatto rivisitandolo, quindi compiendo e parallelamente invocando un’attività preclusa in questa sede.
Il secondo motivo è infondato.
La CTR, quale giudice del rinvio, ha motivato l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’esimente, valorizzando la connotazione risalente della disciplina (2007) .
Detta motivazione è idonea a corroborare la ritenuta insussistenza dei presupposti applicativi dell’esimente invocata, essendosi posto il giudice d’appello nel solco tracciato dalla nomofilachia, al lume della quale l’incertezza normativa obiettiva, che costituisce causa di esenzione ‘ postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto o sui destinatari della stessa norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione dal giudice, unico soggetto dell’ordinamento investito dal potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata opzione ermeneutica ‘ (Cass. n. 13457 del 2012; Cass. n. 18434 del 2012; Cass. n. 3245 del 2013), mentre rimane ‘ irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa ‘ (Cass. n. 13076 del 2015).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 24 settembre 2024.