Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1780 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
Oggetto:
Dazi – Commissioni
d’acquisto – Royalties – Sanzioni –
Principio di proporzionalità
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16570/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALEquale successore a titolo universale, a seguito di fusione per incorporazione della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL
EMAIL; EMAIL);
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4575/07/2021, depositata il 21.12.2021.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 25.09.2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale, riportandosi alle sue conclusioni scritte, ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e il rigetto dei restanti;
Sentiti, per la ricorrente, l’a vvocato NOME COGNOME e per la controricorrente, Agenzia delle dogane e dei monopoli, l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Milano rigettava il ricorso proposto dall ‘importatore RAGIONE_SOCIALEoggi RAGIONE_SOCIALE, tramite il suo rappresentante fiscale RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di rettifica dell’accertamento n. 81091 2018 per maggiori dazi e del correlato provvedimento di irrogazione della sanzione, emessi dall’Ufficio doganale di Milano, a seguito della revisione dell’accertamento riguardante importazioni effettuate nel corso dell’anno 2016 dal suindicato importatore, per la mancata inclusione, nel valore della merce dichiarato in dogana, del corrispettivo relativo alle royalties corrisposte ai licenzianti, titolari dei marchi, nonché dei costi per TAC (costi di design e sviluppo, rimanenze e costi legati ai macchinari utilizzati per la produzione delle merci) e per commissioni di acquisto, tutti riguardanti la merce importata.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla società contribuente, osservando, per quello che qui interessa, che:
la controversia riguardava la mancata inclusione dei diritti di licenza nella base imponibile considerata per la determinazione del valore in Dogana, secondo le disposizioni del Codice doganale comunitario;
secondo la giurisprudenza di legittimità le royalties vanno incluse nel valore doganale se sono strettamente connesse al contratto di compravendita internazionale, nel senso che il prezzo della licenza è un elemento irrinunciabile del contratto di compravendita;
la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato una serie di contratti di licenza per l’utilizzo dei marchi e un contratto di produzione con il produttore, riguardante i prodotti relativi ai marchi oggetto dei contratti di licenza;
nella specie, le royalties andavano incluse nel valore della merce da dichiarare in dogana, in quanto i predetti contratti erano fra loro collegati e la Adidas non svolgeva solo un mero controllo di qualità, ma una chiara funzione di costrizione ed orientamento nei confronti dei produttori, con il potere di subordinare la vendita alla approvazione dei campioni e dei materiali, di estendere ai terzi produttori il rispetto degli obblighi derivanti dal contratto di licenza, anche al fine di preservare la propria immagine e tutelarne il marchio, essendo irrilevante la appartenenza del licenziante e del licenziatario al medesimo gruppo societario;
anche le cd. commissioni d’acquisto ( buying commission ), da qualificare come spese di mediazione, andavano incluse nel valore imponibile in dogana, in quanto gli ordini di acquisto e i relativi pagamenti risultavano effettuati direttamente nei confronti dei produttori dalla RAGIONE_SOCIALE non avendo la RAGIONE_SOCIALE svolto in concreto il ruolo tipico di agente di vendita, ma solo un’attività di intermediazione, limitata a mettere in contatto i diversi soggetti;
nel valore da dichiarare in dogana andavano parimenti inclusi i costi riconducibili a spese sostenute per design e sviluppo, rimanenze e per i macchinari utilizzati per la produzione della merce (cd. TAC), in quanto non potevano essere considerati campioni non destinati alla
vendita le merci importate con bollette doganali a cui era allegata una fattura del fornitore, contenente le sigle ‘SMS’ e ‘PRESELL’, trattandosi di merci regolarmente fatturate e pagate, sdoganate all’importazione come merci e non classificate come campioni , per cui le stesse dovevano considerarsi destinate alla vendita sul territorio nazionale;
-il calcolo della sanzione irrogata era conforme all’art. 303 del TULD la cui applicazione non consente margini di discrezionalità.
Contro la suddetta decisione la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE tramite il suo rappresentante fiscale RAGIONE_SOCIALE, proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria.
L ‘ADM resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 32 del CDC (Regolament o CEE n. 2913/1992), per avere la CTR incluso nel valore doganale delle merci le commissioni di acquisto, riconosciute al proprio agente RAGIONE_SOCIALE qualificandole erroneamente come spese di mediazione, mentre si trattava di una società agente, appartenente allo stesso gruppo che, in forza di un Buying Agency Agreement , era stata incaricata di agire per conto e nell ‘interesse esclusivo della RAGIONE_SOCIALE e, quindi, si trattava di un soggetto non terzo rispetto alle parti del rapporto, essendo irrilevante se vi sia la spendita del nome del mandante da parte dell’agente, qualora le commissioni siano corrisposte a soggetti appartenenti al medesimo gruppo, a fronte di una pluralità di attività previste nel contratto.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 L’art. 32 del Regolamento CEE n. 2913/92 (CDC), ratione temporis vigente, prevede che: ‘Per determinare il valore in dogana ai sensi dell’articolo 29 si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate: a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: i) commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni di acquisto; ii) costo dei contenitori considerati, ai fini doganali, come formanti un tutto unico con la merce; iii) costo dell’imballaggio, comprendente sia la manodopera che i materiali; b) il valore, attribuito in misura adeguata, dei prodotti e servizi qui di seguito elencati, qualora questi siano forniti direttamente o indirettamente dal compratore, senza spese o a costo ridotto e siano utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle merci importate, nella misura in cui detto valore non sia stato incluso nel prezzo effettivamente pagato o da pagare: i) materie, componenti, parti e elementi similari incorporati nelle merci importate, ii) utensili, matrici, stampi ed oggetti similari utilizzati per la produzione delle merci importate, iii) materie consumate durante la produzione delle merci importate, iv) lavori d’ingegneria, di studio, d’arte e di design, piani e schizzi, eseguiti in un paese non membro della Comunità e necessari per produrre le merci importate; c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; d) il valore di ogni parte del prodotto di qualsiasi ulteriore rivendita, cessione o utilizzazione delle merci importate spettante direttamente o indirettamente al venditore; e) i) le spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate e ii) le spese di carico e movimentazione connesse col trasporto delle merci
importate, fino al luogo d’introduzione delle merci nel territorio doganale della Comunità.
Ogni elemento che venga aggiunto ai sensi del presente articolo al prezzo effettivamente pagato o da pagare è basato esclusivamente su dati oggettivi e quantificabili.
Per la determinazione del valore in dogana, nessun elemento è aggiunto al prezzo effettivamente pagato o da pagare, fatti salvi quelli previsti dal presente articolo.
Ai fini del presente capitolo, per “commissioni d’acquisto” si intendono le somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo al momento dell’acquisto delle merci da valutare.
Nonostante il paragrafo 1, lettera c), a) al momento della determinazione del valore in dogana, le spese relative al diritto di riproduzione delle merci importate nella Comunità non sono aggiunte al prezzo effettivamente pagato o da pagare per tali merci e b) i pagamenti effettuati dal compratore come contropartita del diritto di distribuzione o di rivendita delle merci importate non sono aggiunti al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate se tali pagamenti non costituiscono una condizione della vendita, per l’esportazione, a destinazione della Comunità, delle merci qui importate.’
1.3 I costi di mediazione, quindi, vanno aggiunti al valore da dichiarare in dogana, se non sono qualificabili come commissioni d’acquisto.
1.4 L’art. 32, par. 4, fornisce la definizione delle commissioni d’acquisto ai fini della loro inclusione nel valore della merce da dichiarare in dogana, dovendosi trattare di ‘ somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo al momento dell’acquisto delle merci da valutare’.
1.5 Sul punto occorre premettere che il mediatore non instaura con le parti, che mette in relazione, un rapporto di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, a differenza, ad esempio, dell’agente e del procacciatore d’affari, che agiscono nell’esclusivo interesse di una delle parti raccogliendo, per suo conto, proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi, distinguendosi, poi, il procacciatore d’affari dall’agente per la mancanza di stabilità ed organicità del suo rapporto con l’impresa mandante.
1.6 In particolare, in tema di rapporti tra la mediazione e il contratto atipico di procacciamento di affari, questa Corte ha più volte affermato che il mediatore si distingue dal procacciatore di affari per il rapporto di collaborazione che, assente secondo l’espresso dettato normativo nella mediazione (art. 1754 cod. civ.), caratterizza, invece, il procacciatore di affari, il quale, anche senza carattere di stabilità, agisce nell’esclusivo interesse del preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele (Cass. n. 12694 del 25/05/2010).
1.7 Pur essendo entrambe le figure contrattuali accomunate dallo svolgimento di un’attività di intermediazione diretta a favorire la conclusione di un affare tra terzi, la figura del mediatore si distingue da quella di procacciatore d’affari, in quanto lo stesso presta la propria opera in posizione di imparzialità tra le parti (Cass. n. 26370 del 20/12/2016), tanto che il mediatore ha diritto alla provvigione nei confronti di entrambe le parti, qualora il contratto venga effettivamente concluso in virtù del suo intervento (art. 1755 cod. civ.).
1.8 Con riferimento al caso in esame, la CTR ha affermato che i compensi corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE erano da qualificarsi come spese di mediazione (e, quindi, dovevano essere incluse nel valore della merce dichiarato in dogana), in quanto, a prescindere dal
contenuto formale del contratto, ‘ dalle risultanze documentali è emerso che -diversamente da quanto sostenuto dalle appellanti –RAGIONE_SOCIALE non ha svolto nel caso concreto il ruolo tipico di Agente di vendita, ma piuttosto un’attività accostabile all’intermediazione. Infatti, gli ordini di acquisto risultano effettuati da RAGIONE_SOCIALE direttamente nei confronti dei produttori; in tali ordini non sussiste alcun riferimento all’Agente. I pagamenti nei confronti dei produttori selezionati avvengono da parte di RAGIONE_SOCIALE tramite il sistema Bank Communication Mangement sicchè il file di pagamento viene approvato da RAGIONE_SOCIALE e inviato alla Banca di riferimento tramite il sistema SAP. Nei manufacturing agreement stipulati tra RAGIONE_SOCIALE e i vari produttori si legge che il produttore deve accettare ordini di acquisto provenienti solo da RAGIONE_SOCIALE, deve emettere le fatture nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e riscuotere i relativi pagamento. L’Agente non agisce in rappresentanza dell’importatore al momento dell’acquisto ma svolge una serie di servizi propri di altra fattispecie contrattuale ed in particolare assimilabile all’intermediazione per conto dell’importatore o al procacciamento di affari. Quindi il corrispettivo riconosciuto all’Agente non può essere classificato come ‘commissione di acquisto’ così come definita dall’art. 32co.IV Reg. CEE 2913/92, ma rientra nella più generica definizione sempre dell’art. 32 di ‘commissioni e spese di mediazione’ in quan to più che altro limitata a mettere in contatto i diversi soggetti. Essa pertanto va inclusa nel valore imponibile in dogana, in quanto di fatto spesa di mediazione, ai fini dell’accertamento dei diritti di confine, dazio e IVA. ‘
1.9 I giudici di appello hanno, dunque, ritenuto che i compensi corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE dovessero essere qualificati come spese di mediazione sulla base della circostanza che la predetta società non aveva agito in rappresentanza o per cont o dell’importatore
al momento dell’acquisto e non aveva svolto alcun ruolo riconducibile all’agente di vendita, in quanto sia gli ordini di acquisto che i relativi pagamenti venivano effettuati direttamente dall’importatore -acquirente (la RAGIONE_SOCIALE). La società RAGIONE_SOCIALE si sarebbe limitata a svolgere una serie di servizi riconducibili all’intermediazione, che non integravano quell’attività di rappresentanza dell’importatore, finalizzata alla conclusione dei contratti di acquisto, come previ sto dall’art. 32, par. 4, del CDC.
1.10 La qualificazione di detti compensi come ‘commissioni e spese di mediazione’, tuttavia, non è stata desunta da una analisi puntuale del contenuto del contratto sulla base del quale agiva la società RAGIONE_SOCIALE (cd. Buying Agency Agreement ), essendosi la CTR limitata ad esaminare il contenuto di altri elementi, quali gli ordini di acquisto e i pagamenti eseguiti nei confronti dei produttori, senza verificare se sulla base di detto contratto la RAGIONE_SOCIALE (che, peraltro, faceva parte dello stesso gruppo RAGIONE_SOCIALE avesse ricevuto un incarico dalla RAGIONE_SOCIALE finalizzato a promuovere la conclusione di accordi commerciali nell’interesse della società mandante, che faceva venire meno la terzietà del suo ruolo, rispett o alle parti interessate alla conclusione dell’affare, imponendo conseguentemente una diversa qualificazione dei compensi alla stessa corrisposti dall’importatore, in conformità alla definizione indicata dall’art. 32, comma 4, del CDC.
1.11 Occorre rilevare, peraltro, che la stessa CTR definisce, in modo contraddittorio, il ruolo svolto dalla RAGIONE_SOCIALE come ‘ assimilabile all’intermediazione per conto dell’importatore o al procacciamento di affari ‘, senza distinguere le due figure contrattuali e senza considerare la terzietà del ruolo del mediatore.
1.12 Il giudice di rinvio dovrà, pertanto, procedere ad un nuovo esame della censura riguardante l’inclusione o meno, nel valore della
merce dichiarato in dogana, delle spese riguardanti l’attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 32 del CDC (Regolamento CEE n. 2913/1992), per avere la CTR incluso nel valore doganale delle merci i costi di assistenza tecnica ‘TAC’, sebbene riguardassero le spedizioni di campionario, destinate esclusivamente ad agenti e showroom, come risultava dalle fatture allegate alle bollette doganali, i cui costi venivano comunque inclusi nelle successive spedizioni in blocco a seguito della messa in produzione.
2.1 Il motivo è inammissibile.
2.2 Con riferimento all’accertamento compiuto dalla CTR in ordine alla necessità di includere nel valore delle merci i costi per assistenza tecnica (cd. TAC), le ricorrenti deducono apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mirano alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017).
2.3 La censura fondata sulla asserita errata valutazione della tipologia della merce importata, che sarebbe costituita da meri campionari, oltre ad essere inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, impinge nell’accertamento fattuale effet tuato dai giudici di appello, secondo i quali non potevano essere considerati campioni non destinati alla vendita le merci importate con bollette doganali a cui era allegata una fattura del fornitore, contenente le sigle
‘SMS’ e ‘RAGIONE_SOCIALE‘, trattandosi di merci regolarmente fatturate e pagate, sdoganate all’importazione come merci, seppure destinate alla vendita ad agenti e showroom , per cui le stesse dovevano considerarsi destinate alla vendita sul territorio nazionale.
Con il terzo motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del CDC (Regolamento CEE n. 2913/1992) e 157 delle disposizioni di attuazione del CDC (Regolamento CEE 2454/1993), per avere la CTR errato nell’includere nel valore doganale delle merci i diritti di licenza, senza effettuare una puntuale verifica delle clausole contrattuali e dei documenti versati in atti, al fine di accertare se la società licenziante fosse in grado di controllare i fornitori delle merci ed esercitare sugli stessi un potere di costrizione o di orientamento, che andasse oltre il semplice controllo di qualità delle merci prodotte, limitandosi a richiamare quanto statuito dal primo giudice e deducendo dalla mera esistenza di due distinti rapporti (di licenza e di vendita) una loro connessione, nonostante la mancanza di indicatori specifici.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Occorre ribadire che il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sicchè sullo stesso incidono anche i diritti di licenza.
3.3 In particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC ( ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’.
3.4 L’art. 157 del Regolamento CEE n. 2454/93 (DAC) chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale,
laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizi one del contratto di vendita delle merci; qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: – il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’.
3.5 L’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’.
3.6 Così ricostruito il quadro normativo, nella specie è pacifico che i diritti di licenza non erano stati inclusi nella determinazione del valore doganale, mentre è controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita.
3.7 Premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC, né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE Dusseldorf, punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana),
relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza.
3.8 Il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; nel caso, come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto divers o dal venditore (il licenziante), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.).
3.9 Di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza, nel senso che occorre verificare ‘ se la persona legata al venditore eserciti un controllo , sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.), dovendosi considerare che i l concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e), a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale ‘si consid era che una persona
ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda’.
3.10 Sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45).
3.11 Fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre
prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
3.12 Come è stato precisato dallo stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituiva di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi, che fosse andata al di là dei semplici ‘controlli di qualità ‘, avrebbe potuto dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di cui all’art. 143, par. l, lett. e) delle DAC, con la conseguenza che il pagamento dei diritti di licenza costituiva una condizione di vendita ai sensi dell’art. 160 delle DAC.
3.13 L a questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana è stata più volte esaminata da questa Corte che ha stabilito come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente “ratione temporis”) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019).
3.14 E’ stato altresì precisato che deve tenersi conto oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, se alla stessa incorporati, i quali, se riferiti ad un
marchio di fabbrica, rilevano quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019).
3.15 Infine, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei suddetti corrispettivi, irrilevante essendo la soppressione del documento TAXUD-800-2002-EN e la sua sostituzione col nuovo TAXUD/B4/2016, il quale – fornendo linee orientative più sintetiche correlate al nuovo codice doganale, senza discostarsi da quelle generali del precedente -non costituisce atto normativo ma svolge una funzione esplicativa, anche interpretativa, della disciplina doganale, esulando quindi dalla portata dell’art. 11 delle disp. prel. c.c. (Cass. n. 22761 del 2019).
4. Nel riassumere i termini della questione, dunque, può affermarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre
condizioni cumulative: 1) i corrispettivi o i diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; 2) essi si riferiscono alle merci da valutare; 3) l’acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare, nel senso che l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza riveste un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere.
4.1 Con riferimento a quest’ultima condizione, poi, qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente, potendosi ricavare utili elementi al fine della individuazione del conten uto della nozione di ‘controllo’ dall’esemplificazione contenuta nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale.
5. Per completezza, va evidenziato che anche il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione europea (CDU), ha previsto, all’art. 71, par. 1, lett. c), tra gli elementi che devono essere addizionati per determinare il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate ai fini della determinazione del valore delle merci, « i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella
misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
5.1 Con il nuovo codice doganale si è addirittura attenuata l’esigenza di verificare l’esistenza di un ‘legame’ tra i soggetti coinvolti nelle operazioni di importazione delle merci e di pagamento dei corrispettivi e diritti di licenza, che ha già evidenziato questa Corte, affermando che ‘ deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale ‘ e, quindi, la nozione di controllo prevista dall’art. 127 Regolamento di esecuz ione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass. n. 3606 del 13/02/2020).
6. Per quanto riguarda i rapporti trilaterali, in particolare, occorre ribadire che i corrispettivi e i diritti di licenza concorrono ad integrare il valore delle merci importate se sono versati in un contesto in cui il licenziante può controllare i produttori che vendono i beni al licenziatario, per cui, per stabilire se ricorrono tali condizioni, è necessario esaminare tutti i contratti commerciali, ivi compresi i contratti di licenza.
6.1 In tal senso si esprime il già citato TAXUD/B4/2016: « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La
condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi ».
6.2 Il documento TAXUD del 2016, peraltro, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002 (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ).
6.3 Di conseguenza, è evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis , sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass. 16 maggio 2023, n. 13338 e Cass. 13 febbraio 2020, n. 3606; Cass. 30 gennaio 2020, n. 2140).
Alla luce degli elementi sopra indicati, i diritti di licenza devono essere pagati, come condizione della vendita delle merci importate, se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali, oppure se le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante. L’interprete deve, dunque, stabilire se il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi
all’operazione dai quali emerga, anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties .
7.1 Dai principi sopra esposti, quindi, si evince, in sintesi, che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione (ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice di merito verificare. Qualora (come nel caso in esame) il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ». Può, dunque, ritenersi che il pagamento dei corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties ) dovuti dall’importatore, in relazione alle merci importate, costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si
evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties .
7.2 L’ampia nozione di controllo, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, non richiede necessariamente, come si è già detto, che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato.
Ciò posto, la sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali presentate per conto della RAGIONE_SOCIALE, in considerazione del controllo esercitato dal licenziante sull’attivi tà produttiva dei terzi fabbricanti.
8.1 A tale proposito, il giudice di appello ha dato atto di aver esaminato il contenuto dei contratti di licenza e di produzione, ritenendoli strettamente connessi e desumendo dalle principali clausole contrattuali svariati elementi indicatori del potere di orientamento e di condizionamento che esulava dal semplice controllo di qualità e consentiva di ritenere sussistente ‘ la condizione di vendita necessaria affinchè le royalties possano essere aggiunte al valore dichiarato in dogana ‘ (p. 4 della sentenza); la CTR afferma, in particolare, anche richiamandosi al contenuto della sentenza di primo grado, che il licenziante poteva incidere ‘ in maniera determinante sull’individuazione di fornitori sia in virtù di pattuizioni specifiche del contratto di licenza sia per mezzo dell’operato dell’importatore, a sua volta controllato dalla licenziante ‘ e che ‘ i contratti di licenza esistenti prevedono che se il canone o costo di licenza non viene pagato al produttore è vietato produrre e vendere all’importatore i beni che incorporano la proprietà intellettuale del licenziante ‘; altre clausole dei contratti di licenza ‘ consentono al licenziante di
contro
llare la produzione e/o la vendita tra produttore ed importatore’ ; è stato accertato, inoltre, che ‘ Nei contratti analizzati sono previste, altresì, alcune clausole contrattuali che lasciano presumere in modo grave, preciso e concordante un controllo di fatto del licenziante sul produttore che, come si detto, esula dal mero controllo di qualità, ovvero il potere di subordinare la vendita della merce all’approvazione del licenziante dei campioni di pre -produzione e dei materiali accessori, potere del licenziante di estendere a terzi produttori il rispetto degli obblighi derivanti dal contratto di licenza, il potere del licenziante di ispezionare gli impianti, le attrezzature, le tecniche di produzione, assemblaggio e immagazzinamento del licenziatario e dei suoi subcontraenti (produttori e distributori); le merci fabbricate sono specifiche del licenziante con riguardo al marchio di fabbrica ‘, anche al fine del mantenimento stesso dell’immagine Adidas e della tutela del marchio (pp. 5 – 7).
8.2 Le ricorrenti sostengono che dalle indicate clausole si poteva evincere solo un controllo di qualità del licenziante sui prodotti e non anche un controllo indiretto sui produttori, tale da condizionare la vendita degli stessi al pagamento dei diritti di licenza.
8.3 Ritiene questo Collegio che la CTR abbia fatto corretta applicazione dei principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e di legittimità, atteso che nella specie non rileva un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente -secondo quanto osservato dal menzionato Commento n. 11 – l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva, che può rinvenirsi anche nel diritto di esigere il soddisfacimento di livelli di qualità normalmente associati ai prodotti commercializzati con il marchio concesso in licenza.
8.4 Peraltro, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (Cass. 10.10.2018, n. 24996).
8.5 La CTR ha, dunque, operato una corretta verifica sulle operazioni di importazioni in esame, accertando, alla luce dei parametri sopra indicati, che i licenzianti avevano un potere di controllo indiretto sulla produzione e sulla distribuzione del prodotto, essendo in grado di incidere, in maniera determinante, non solo sulla qualità dello stesso, ma sull’intero ciclo produttivo e commerciale.
Con il quarto motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 303 TULD, per non avere la CTR ravvisato la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni, sproporzionate rispetto ai maggiori tributi accertati, avendo l’Amministrazione finanziaria irrogato sanzioni
pari ad euro 5.622.622,00, a fronte di maggiori tributi asseritamente evasi pari ad euro 1.691.203,00.
9.1 Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.
9.2 Per quanto riguarda il quadro normativo di riferimento in materia di sanzioni amministrative per diritti di confine evasi, l’art. 303, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973, come sostituito dall’art. 11 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, applicabile ratione temporis , stabilisce che ‘Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata come segue:
per diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro;
per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro;
per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro;
per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro;
oltre 4.000, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti. ‘
9.3 L’art. 303, comma 1, del TULD, poi, prevede che se l’inesatta indicazione del valore non abbia comportato la rideterminazione dei diritti di confine, si applica la sanzione amministrativa da euro 103 a euro 516.
9.4 Ciò premesso, la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha più volte applicato il principio di proporzionalità in materia di sanzioni, affermando specificamente che esse non debbano eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi di garantire l’esatta
riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione (Corte di Giustizia sentenze 8 maggio 2008, Ecotrade, C-95/07 e C-96/07, punti da 65 a 67; 12 luglio 2012, EMS-Bulgaria Transport, C-284/11, punto 67).
9.5 Più in particolare, i giudici unionali hanno affermato che, «in mancanza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate », ma «sono tuttavia tenuti a esercitare le loro competenze nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-544/19, EU:C:2021:803, punto 84 e giurisprudenza ivi citata) », che impone l’adozione di misure che non eccedano «i limiti di ciò che è appropriato e necessario alla realizzazione degli obiettivi legittimamente perseguiti da tale normativa», sicché «il rigore delle sanzioni deve essere adeguato alla gravità delle violazioni che esse reprimono, garantendo, in particolare, un effetto realmente dissuasivo, fermo restando il rispetto del principio generale di proporzionalità (ordinanza del 12 luglio 2018, COGNOME e Cirstinoiu, C-707/17, non pubblicata, EU:C:2018:574, punto 28 e giurisprudenza ivi citata) » (CGUE, sentenza 24 febbraio 2022, in causa C-452/20, PJ c/ Agenzia delle dogane e dei monopoli, p. 36 e segg.).
9.6 Il principio di proporzionalità costituisce, quindi, un principio generale del diritto dell’Unione, che ‘ si impone agli Stati membri nell’attuazione di tale diritto anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili ‘ (CGUE sentenza 8 marzo 2022, in causa C-205/20, NE , punto 31).
9.7 Occorre considerare, peraltro, che detto principio ‘si impone agli Stati membri non solamente per quanto concerne la determinazione
degli elementi costitutivi di un’infrazione e delle norme relative all’importo delle sanzioni pecuniarie, ma anche riguardo alla valutazione degli elementi di cui si può tenere conto per la fissazione dell’importo della sanzione (sentenza del 22 marzo 2017 , RAGIONE_SOCIALE, C-497/15 e C-498/15, EU:C:2017:229, punto 43 e giurisprudenza citata) ‘ (CGUE sentenza 23 novembre 2023, in causa C-653/22, J.P. Mali , punto 33).
9.8 Al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (Corte di Giustizia sentenza 17 luglio 2014 Equoland , C-272/13, par. 35).
9.9 E’ stato anche precisato come, nella determinazione della misura della sanzione irrogabile, laddove vi sia un’entità percentuale fissata per la maggiorazione e l’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata (Corte di Giustizia, sentenza 19 luglio 2012, Rēdlihs , C-263/11, punto 52; sentenza Equoland cit., par. 45).
9.10 Sempre il giudice unionale avverte, poi, che « al fine di garantire l’effettività dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione, il principio del primato impone, in particolare, ai giudici nazionali di interpretare, per quanto possibile, il loro diritto interno in modo conforme al diritto del l’Unione (sentenza del 24 giugno 2019, COGNOME, C -573/17, EU:C:2019:530, punto 57). L’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale, tuttavia, è soggetto ad alcuni limiti e non può, in particolare, servire da fondamento ad un’interpretazione ‘contra legem’ del diritto nazionale (sentenza del 6
ottobre 2021, Sumal, C-882/19, EU:C:2021:800, punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Occorre altresì ricordare che il principio del primato impone al giudice nazionale che è incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto dell’Unione, l’obbligo, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, di garantire la piena efficacia delle prescrizioni di tale diritto nell’ambito della controversia di cui è investito, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, contraria a una disposizione del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione di tale normativa o prassi nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2019, COGNOME, C -573/17, EU:C:2019:530, punti 58 e 61, nonché del 21 dicembre 2021, Euro Box Promotion e a., C-357/19, C-379/19, C-547/19, C-811/19 e C-840/19, EU:C:2021:1034, punto 252) » (Corte giust. 8 marzo 2022 NE, C 205/20, punti 29, 30, 31).
9.11 L’art. 42, par. 1, del Regolamento UE n. 951 del 2013 (CDU), peraltro, prevede espressamente che le sanzioni previste dagli Stati membri in caso di violazione della normativa doganale devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
In applicazione dei prima richiamati principi, questa Corte ha già fatto ricorso alla disapplicazione del regime sanzionatorio per contrasto con il principio di proporzionalità, affermando, ad esempio, in materia d’IVA, che la sanzione prevista dall’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, applicabile all’importatore che si sia avvalso del sistema di sospensione del versamento dell’imposta all’importazione senza immettere materialmente la merce nel deposito fiscale, deve essere disapplicata per contrarietà al diritto comunitario, così come
interpretato dalla Corte di Giustizia, ove ecceda, in ragione della percentuale fissata per la maggiorazione e dell’impossibilità di graduarne la misura alle circostanze concrete, il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione, atteso che, tenuto conto della natura formale della violazione, potrebbero costituire un’adeguata sanzione anche i soli interessi moratori (Cass. 8 settembre 2015, n. 17814).
10.1 Sempre in tema di IVA, è stato anche statuito che le modalità di determinazione delle sanzioni previste dagli artt. 5, comma 4, e 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, che le ragguagliano ad una forbice dal cento al duecento per cento della differenza rispetto all’imposta dovuta e dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio, eccedono il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione attesa l’entità minima della percentuale fissata per la maggiorazione e l’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni singolo caso, per cui vanno disapplicate in quanto contrarie al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di giustizia (Cass. n. 14767 del 2015).
10.2 Con specifico riferimento alla materia doganale, poi, è stato precisato che la sanzione prevista dall’art. 303 del d.P.R. n. 43 del 1973 è eccessiva ed irrispettosa dei principi dell’Unione europea in tema di proporzionalità delle sanzioni, non consentendo tale disposizione di potere contenere la sanzione adeguandola alla specificità del caso di specie; in particolare, si è dubitato della razionalità dell’art. 303 comma 3 del d.P.R. n. 43 del 1973 con riferimento alla soglia minima sanzionatoria rigidamente prevista per lo scaglione applicabile, così come sostituito dall’art. 11 del d.l. n. 16 del 2012 (Cass. 11 maggio 2022, n. 14908).
10.3 Più di recente, è stato affermato, sempre in materia di sanzioni doganali, il seguente principio di diritto: « La disposizione dell’art. 303, comma 3, lett. e), del d.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), come sostituito dall’art. 11 del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, nel determinare la sanzione per il diritto di confine non dichiarato in un importo minimo fisso di 30.000 euro senza la possibilità di adeguamento della sanzione stessa alle circostanze specifiche del singolo caso, eccede il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e per evitare l’evasione di un dazio doganale non versato in misura superiore a 4.000 euro, ma inferiore a 5.000 euro, e, pertanto, va disapplicata in quanto contraria al diritto dell’Unione europea, nell’interpretazione data dalla Corte di giustizia » (Cass., 13 luglio 2023, n. 20058).
10.4 Anche la Corte Costituzionale (sentenza del 17 marzo 2023, n. 46) ha recentemente affermato (dopo avere dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, primo periodo e dell’art. 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/1997, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione) che l’ Amministrazione fiscale e/o il giudice sono tenuti a riportare le sanzioni tributarie al principio di ragionevolezza e proporzionalità. Il vulnus a tali principi, infatti, può essere evitato, senza necessità di incidere sulla dosimetria in astratto definita dal legislatore nella norma censurata, considerando, nella determinazione delle sanzioni, le potenzialità offerte dal citato art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 che, interpretato in correlazione con l’art. 3 Cost., può riportare la norma censurata in termini conformi al volto costituzionale del sistema sanzionatorio, consentendo al giudice a quo di ridurla a una misura proporzionata e ragionevole. Occorre quindi che, come del resto da tempo auspicato dalla dottrina, il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 del medesimo art. 7
del d.lgs. n. 472 del 1997: in questi termini, infatti, il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando, tra le «circostanze» -non più necessariamente ‘eccezionali’ che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, quanto indicato nel comma 1 di tale articolo, e in particolare la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze.
10.5 Valorizzato in questi termini, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, che fornisce maggiore chiarezza ai criteri di determinazione delle sanzioni in esso stabiliti, l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997 si pone come una opportuna valvola di decompressione che è atta a mit igare l’applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire eccessive quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano. Si tratta di una riduzione che può essere effettuata già dall’Agenzia delle entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo. In ogni caso ad essa potrà ricorrere il giudice nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, del resto, è stato più volte precisato, da un lato, che « il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito » è « applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative » ( ex plurimis , sentenza n. 112 del 2019) e, dall’altro, che anche per le sanzioni amministrative si prospetta « l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravi tà dell’illecito
sanzionato », in particolare dando rilievo « al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma » (sentenza n. 185 del 2021). Ciò in quanto « il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito » (sentenza n.161 del 2018).
10.6 O rbene, le sanzioni previste dall’art. 303 del TULD, come modificato dall’art. 11, comma 4, del d.l. n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 44 del 2012, sono determinate in misura fissa con previsione di un minimo e di un massimo edittali, parametrati, nei casi previsti dal comma 3, all’entità dei diritti di confine dovuti.
10.7 Se, in linea di principio, la previsione di minimi edittali per le sanzioni amministrative riflette un giudizio di intrinseca gravità della condotta, effettuato a monte dal legislatore e non è, di per sé, in contrasto con il principio comunitario di proporzionalità, che può essere rispettato mediante la personalizzazione del trattamento sanzionatorio entro la forbice prevista dalla norma (Cass. n. 16276 del 2022), la disposizione di cui all’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997 (applicabile, quindi, anche in relazione alle sanzioni previste in misura fissa) contribuisce a realizzare una ulteriore personalizzazione della sanzione, nei casi in cui si rende necessaria, in relazione alla condotta in concreto accertata, al fine di adeguare il trattamento sanzionatorio al criterio di proporzionalità.
10.8 Laddove, in relazione a specifiche circostanze allegate dal contribuente ( che ha censurato la debenza o l’entità delle sanzioni applicate sin dal ricorso introduttivo), non sia possibile determinare una sanzione adeguata e proporzionata alla violazione in concreto accertata, attraverso l’interpretazione della vigente disciplina sanzionatoria in materia doganale (neppure in applicazione di norme mitigatrici quali l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997), il giudice di merito può procedere alla sua disapplicazione, in conformità
alla Costituzione e ai principi unionali, limitatamente alla quantificazione della sanzione, e determinare la sanzione in misura proporzionata alla condotta effettivamente tenuta alla stregua delle circostanze del caso concreto, al fine di garantire la pie na efficacia delle prescrizioni dell’Unione europea nella controversia di cui è stato investito.
Il giudice di appello non si è attenuto ai suindicati principi affermando, genericamente, che l’applicazione dell’art. 303 del TULD ‘ non consente margini di discrezionalità ‘ in ordine all’applicazione delle relative sanzioni.
In conclusione, vanno accolti il primo e il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, rigettando i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2024