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Valore doganale royalties: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1780/2025, affronta una complessa questione sul corretto calcolo del valore doganale. Il caso riguarda un’azienda importatrice a cui l’Agenzia delle Dogane aveva contestato l’omessa inclusione di royalties, commissioni d’acquisto e costi tecnici. La Corte ha stabilito che le royalties devono essere incluse nel valore doganale se il licenziante esercita un controllo sulla produzione, anche indiretto. Ha invece ritenuto che le commissioni pagate a un agente dello stesso gruppo non vadano incluse, qualificandole come commissioni d’acquisto. Infine, ha accolto il motivo sulla sproporzione delle sanzioni, affermando che il giudice deve poterle adeguare alla gravità della violazione, disapplicando la norma nazionale se contrasta con il diritto europeo.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore Doganale e Royalties: La Cassazione detta le regole

La corretta determinazione del valore delle merci all’importazione è un aspetto cruciale per le aziende che operano a livello internazionale. Su questa base, infatti, vengono calcolati dazi e IVA. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 1780 del 2025, ha fornito importanti chiarimenti su quali costi debbano essere inclusi in tale valore, con un focus specifico su commissioni d’acquisto e, soprattutto, sul valore doganale royalties. La pronuncia ha inoltre ribadito la centralità del principio di proporzionalità nell’applicazione delle sanzioni doganali.

I Fatti di Causa: una complessa vicenda doganale

Il caso trae origine da un avviso di rettifica emesso dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di una nota azienda internazionale del settore abbigliamento e calzature. L’Ufficio doganale contestava alla società di aver dichiarato un valore delle merci importate inferiore a quello reale, omettendo di includere tre categorie di costi:

1. Royalties: corrispettivi pagati ai titolari dei marchi per poter produrre e commercializzare i prodotti.
2. Commissioni d’acquisto: somme corrisposte a una società consociata per l’attività di intermediazione con i produttori.
3. Costi di assistenza tecnica (TAC): spese sostenute per lo sviluppo, il design e la produzione di campionari.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Agenzia, spingendo l’azienda a ricorrere in Cassazione, lamentando la violazione delle normative comunitarie e nazionali in materia doganale e l’applicazione di sanzioni sproporzionate.

L’analisi della Corte sul valore doganale e gli altri oneri

La Suprema Corte ha esaminato separatamente i tre motivi di ricorso relativi alla determinazione del valore imponibile, giungendo a conclusioni diverse per ciascuno.

Commissioni d’acquisto: Mediazione o Mandato?

Sul primo punto, la Corte ha accolto il ricorso dell’azienda. I giudici di merito avevano qualificato i compensi pagati alla società consociata come “spese di mediazione”, da includere quindi nel valore doganale. La Cassazione, al contrario, ha chiarito la distinzione fondamentale tra mediatore (figura imparziale tra le parti) e agente (che agisce nell’interesse esclusivo del mandante). Nel caso di specie, la società consociata operava sulla base di un Buying Agency Agreement, agendo per conto e nell’interesse esclusivo dell’importatore. Pertanto, i compensi versati dovevano essere considerati “commissioni d’acquisto”, che, secondo l’art. 32 del Codice Doganale Comunitario, sono espressamente escluse dal valore doganale.

Costi per campionari: Rientrano nel valore doganale?

La Corte ha respinto il motivo di ricorso relativo ai costi di assistenza tecnica (TAC). L’azienda sosteneva che tali costi si riferissero a meri campionari non destinati alla vendita e non dovessero quindi concorrere alla base imponibile. La Cassazione ha ritenuto questa censura inammissibile, in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti già accertati dal giudice di merito. Quest’ultimo aveva correttamente osservato che le merci, sebbene fatturate con sigle come “SMS” e “PRESELL”, erano state regolarmente sdoganate e pagate, dovendosi considerare a tutti gli effetti destinate alla vendita sul territorio nazionale, e non semplici campioni.

Il fulcro della controversia: Il valore doganale e le royalties

La questione più complessa riguardava l’inclusione del valore doganale royalties. L’azienda sosteneva che mancasse una connessione diretta tra il contratto di licenza (per l’uso del marchio) e il contratto di vendita delle merci, e che il suo ruolo fosse limitato a un semplice controllo di qualità. La Cassazione ha rigettato questa tesi, offrendo una disamina approfondita della normativa e della giurisprudenza europea.

I giudici hanno stabilito che, per includere le royalties nel valore doganale, è sufficiente che il loro pagamento costituisca una “condizione della vendita”. Ciò si verifica quando il licenziante (titolare del marchio) esercita un controllo, diretto o indiretto, sul produttore, tale da poter subordinare la vendita delle merci al pagamento delle royalties stesse. Nel caso in esame, dai contratti emergeva un potere di controllo e orientamento che andava ben oltre la mera verifica qualitativa. Il licenziante poteva incidere sulla scelta dei fornitori, approvare i campioni, ispezionare gli impianti e vietare la produzione in caso di mancato pagamento delle royalties. Questo legame funzionale tra la licenza e la produzione rendeva il pagamento delle royalties una condizione imprescindibile per l’acquisto delle merci, giustificandone l’inclusione nel valore doganale.

Il Principio di Proporzionalità delle Sanzioni Doganali

L’ultimo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni. L’azienda era stata condannata a pagare una sanzione di oltre 5,6 milioni di euro a fronte di maggiori tributi accertati per circa 1,7 milioni. La Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che l’art. 303 del TULD non consentisse margini di discrezionalità.

Le Motivazioni della Cassazione

La Cassazione ha ribaltato questa conclusione, richiamando la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. Il principio di proporzionalità è un principio generale del diritto dell’Unione che si impone agli Stati membri anche in assenza di una normativa armonizzata. Le sanzioni devono essere effettive e dissuasive, ma non devono mai eccedere quanto necessario per punire la violazione. Una sanzione calcolata in misura fissa, senza possibilità di adeguamento alle circostanze specifiche del caso, può risultare sproporzionata. Il giudice nazionale ha il dovere di interpretare la norma interna in modo conforme al diritto europeo o, se ciò non è possibile, di disapplicarla. La Corte ha affermato che la rigida applicazione della norma sanzionatoria, che non consente margini di discrezionalità, è contraria ai principi unionali.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ha cassato la decisione impugnata in relazione a due punti cruciali: la qualificazione delle commissioni d’acquisto e l’applicazione delle sanzioni. Ha rinviato la causa a un’altra sezione della Corte di Giustizia tributaria per un nuovo esame su questi aspetti. La pronuncia rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori del commercio internazionale, chiarendo i criteri per l’inclusione del valore doganale royalties e riaffermando il potere-dovere del giudice di garantire che le sanzioni doganali siano sempre e comunque proporzionate alla gravità della condotta.

Quando le royalties pagate a un soggetto terzo devono essere incluse nel valore doganale delle merci importate?
Le royalties devono essere incluse quando il loro pagamento costituisce una “condizione della vendita”. Questo avviene se il licenziante (titolare del marchio), anche se diverso dal venditore, esercita un controllo sul produttore che va oltre la mera verifica di qualità, influenzando la produzione e subordinando la vendita delle merci al pagamento delle royalties stesse.

Le commissioni pagate a una società dello stesso gruppo per l’intermediazione negli acquisti vanno aggiunte al valore doganale?
No, se tali commissioni possono essere qualificate come “commissioni d’acquisto”. Questo si verifica quando la società intermediaria agisce per conto e nell’interesse esclusivo dell’importatore, come un suo agente, e non come un mediatore imparziale tra le parti. L’appartenenza al medesimo gruppo è irrilevante.

Una sanzione doganale calcolata in misura fissa può essere ridotta dal giudice se ritenuta sproporzionata?
Sì. Secondo la Corte, il giudice nazionale ha il potere e il dovere di valutare la proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità concreta della violazione. Se la normativa nazionale impone una sanzione fissa e rigida che risulta sproporzionata, il giudice deve interpretarla conformemente al diritto dell’Unione o, in ultima istanza, disapplicarla per garantire il rispetto del principio di proporzionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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