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Valore doganale: royalties e sanzioni sproporzionate

La Corte di Cassazione interviene sulla determinazione del valore doganale delle merci importate, chiarendo i criteri per l’inclusione di royalties e commissioni. La sentenza stabilisce che le commissioni d’acquisto sono escluse solo se l’agente rappresenta l’importatore, richiedendo una verifica fattuale. Conferma l’inclusione delle royalties quando vi è un controllo del licenziante sul produttore. Soprattutto, accoglie il ricorso sulla sproporzionalità della sanzione, quasi tripla rispetto al tributo, e rinvia al giudice di merito per una nuova valutazione alla luce del principio di proporzionalità del diritto unionale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore Doganale: la Cassazione tra Royalties, Commissioni e Sanzioni Proporzionate

La corretta determinazione del valore doganale è un aspetto cruciale per ogni azienda che opera con l’estero. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato temi complessi come l’inclusione di royalties, commissioni d’acquisto e oneri di assistenza tecnica, fornendo chiarimenti fondamentali. Ancora più importante, la Corte ha ribadito con forza un principio cardine del diritto unionale e nazionale: la proporzionalità delle sanzioni, anche in materia doganale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una multinazionale del settore abbigliamento e una società di logistica si sono viste notificare un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Dogane. L’Agenzia contestava un’errata dichiarazione del valore doganale di merci importate, sostenendo che tale valore dovesse essere incrementato per includere tre tipi di costi non dichiarati: diritti di licenza (royalties), commissioni d’acquisto e oneri per l’assistenza tecnica. Di conseguenza, l’Agenzia richiedeva maggiori dazi e irrogava una pesante sanzione, pari a quasi tre volte l’importo dei tributi contestati. Le società impugnavano l’atto, ma i giudici di primo e secondo grado confermavano la posizione dell’amministrazione finanziaria. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

L’analisi della Corte sul valore doganale e le Commissioni d’Acquisto

Il primo motivo di ricorso riguardava l’erronea inclusione delle cosiddette ‘buying commissions’ nel valore doganale. La normativa comunitaria (art. 32 del Reg. CEE 2913/92) esclude dal calcolo le commissioni d’acquisto, definite come le somme versate dall’importatore al proprio agente per il servizio di rappresentanza al momento dell’acquisto. La Corte ha ritenuto fondato questo motivo. Ha sottolineato che il giudice di merito si era limitato a qualificare l’attività dell’agente come ‘intermediazione’ in senso generico, senza verificare se, in concreto, l’incarico fosse stato conferito per rappresentare l’importatore nell’acquisto. La distinzione è sottile ma decisiva: solo se l’agente agisce come rappresentante dell’acquirente, la sua commissione è esclusa. In caso contrario, rientra nelle ‘spese di mediazione’ e concorre a formare il valore doganale. La Cassazione ha quindi annullato la sentenza su questo punto, rinviando alla corte territoriale per un’indagine più approfondita sulla natura del rapporto contrattuale.

La questione delle Royalties e degli Oneri Tecnici

Le società ricorrenti contestavano anche l’inclusione delle royalties e degli oneri di assistenza tecnica. Su questi punti, la Cassazione ha rigettato i ricorsi. Per quanto riguarda le royalties, la Corte ha confermato l’orientamento secondo cui esse vanno incluse nel valore doganale quando il loro pagamento costituisce una condizione di vendita della merce. Questo si verifica non solo per clausola espressa, ma anche quando il licenziante (titolare del marchio) è in grado di esercitare, di fatto o di diritto, un potere di controllo o orientamento sul produttore. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano individuato svariati indici di tale controllo (approvazione dei campioni, ispezioni, ecc.), rendendo legittima l’inclusione delle royalties. Analogamente, la Corte ha respinto il motivo sugli oneri di assistenza tecnica, poiché la documentazione dimostrava che le merci importate, sebbene etichettate come campioni, erano di fatto destinate alla vendita e regolarmente fatturate e sdoganate come tali.

Il Principio di Proporzionalità e le Sanzioni Doganali

Il punto più innovativo e dirompente della sentenza riguarda il quarto motivo di ricorso, relativo alla violazione del principio di proporzionalità della sanzione. La sanzione applicata, calcolata nel minimo edittale previsto dall’art. 303 del Testo Unico delle Leggi Doganali, era di quasi tre volte superiore ai maggiori tributi accertati. La Corte di Cassazione ha accolto pienamente la doglianza, svolgendo un’articolata disamina del principio di proporzionalità. Richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha stabilito che, anche in assenza di una norma comunitaria specifica sul punto nel Codice Doganale del 1992, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare il principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto dell’Unione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra le diverse componenti del valore doganale e sull’affermazione di un principio giuridico fondamentale. Sulle commissioni, la motivazione risiede nella necessità di un accertamento fattuale specifico del ruolo dell’agente, non essendo sufficiente una qualificazione generica. Sulle royalties, la ratio è che il controllo del licenziante sul processo produttivo rende il pagamento dei diritti di licenza una condizione implicita della vendita, giustificandone l’inclusione nel valore della transazione. La motivazione centrale, però, riguarda le sanzioni. La Corte ha affermato un principio di diritto cruciale: il giudice, di fronte a una norma nazionale che porta a sanzioni sproporzionate, deve prima tentare un’interpretazione conforme al principio di proporzionalità del diritto UE. Se ciò non è possibile, deve procedere alla disapplicazione della norma nazionale interna che si riveli in contrasto con tale principio. Questo rappresenta un potere-dovere del giudice per garantire la primazia del diritto europeo e la tutela del contribuente da sanzioni punitive ed eccessive.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per una nuova decisione. Il giudice del rinvio dovrà riesaminare la questione delle commissioni d’acquisto, verificando la natura del rapporto tra importatore e agente, e dovrà rideterminare la sanzione, applicando il principio di proporzionalità. Questa sentenza ha implicazioni pratiche significative: per le aziende, evidenzia l’importanza di strutturare chiaramente i contratti con gli agenti d’acquisto; per tutti i contribuenti, rafforza la possibilità di contestare sanzioni manifestamente sproporzionate, appellandosi a un principio fondamentale del nostro ordinamento e di quello europeo.

Quando le commissioni pagate a un agente vanno incluse nel valore doganale della merce?
Le commissioni sono incluse nel valore doganale se sono qualificabili come ‘spese di mediazione’. Sono invece escluse se rappresentano una ‘commissione d’acquisto’, ovvero il corrispettivo per un’attività di rappresentanza svolta dall’agente per conto dell’importatore al momento dell’acquisto. La valutazione va fatta caso per caso, analizzando la natura specifica dell’incarico.

Le royalties pagate per l’uso di un marchio fanno sempre parte del valore doganale dei prodotti importati?
No, non sempre. Le royalties concorrono a formare il valore doganale se il loro pagamento è una ‘condizione di vendita’ delle merci. Questa condizione sussiste quando il licenziante del marchio ha il potere, di diritto o di fatto, di controllare o orientare il produttore, ad esempio approvando i campioni, ispezionando gli impianti o influenzando la scelta dei fornitori.

Una sanzione doganale può essere ridotta se è sproporzionata rispetto all’imposta evasa?
Sì. Secondo la Corte, il giudice nazionale ha il potere e il dovere di valutare la proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della violazione. Se la norma nazionale porta a un risultato sproporzionato, il giudice deve prima tentare di interpretarla in modo conforme al diritto dell’Unione e, se ciò non è possibile, deve disapplicare la norma interna per garantire l’applicazione del principio di proporzionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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