Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1744 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1744 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32353/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 759/2020 depositata il 12/05/2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo e il rigetto degli altri.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per i ricorrenti e l’avv. dello stato laura COGNOME per la controricorrente.,
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE società di diritto olandese, e la RAGIONE_SOCIALE hanno impugnato nanti la CTP di Milano avviso di accertamento RU 40212/2017 recante la revisione del valore doganale delle merci importate nel 2014 e il conseguente provvedimento di irrogazione sanzioni.
L’accertamento contestava il mancato inserimento, nel valore indicato nelle dichiarazioni doganali, di costi per design e sviluppo, rimanenze e costi legati ai macchinari utilizzati per la produzione, per diritti di licenza, per commissione di acquisti e per noli.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Milano ha respinto il ricorso.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) di Milano, a sua volta, ha rigettato l’appello della Adidas e dalla CAD.
La CTR, decidendo sui motivi d’appello, ha ritenuto che la CTP non fosse incorsa in omessa pronunzia sulle specifiche censure preliminari. Ha altresì ritenuto fondato l’inserimento delle royalties che l’appellante doveva pagare alla licenziante RAGIONE_SOCIALE in relazione alle merci acquistate da produttori terzi. La CTR ha osservato che il pagamento dei diritti di licenza, non inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare e relativi alla merce da valutare, costituiva « condizione della vendita delle merci da valutare » in quanto, tenuto conto degli accordi commerciali,
l’assolvimento di quegli obblighi rivestiva una importanza tale per il venditore che, in difetto, non sarebbe stato disposto a vendere; secondo la CTR, infatti, sussisteva un legame tra il fornitore asiatico e il licenziante ricorrendo più di uno degli indicatori del potere di controllo del secondo sul primo.
Infine, respingeva le questioni, « del tutto generiche» , relative alle sanzioni.
La RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su cinque motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Dogane.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art 35, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso la pronuncia su autonomi motivi di ricorso.
Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del Codice Doganale comunitario (Reg. CEE n. 2913/1992) per avere la CTR erroneamente incluso le commissioni di acquisto nel valore doganale delle merci.
Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del Reg. CEE n. 2913/1992, per avere la CTR incluso i costi di assistenza tecnica ‘TAC’ nel valore doganale delle merci.
Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art 32 cit. e dell’art. 157 delle Disposizioni di Attuazione (reg. CC n. 2454/1993), per avere la CTR incluso i diritti di licenza nel valore doganale delle merci.
Con il quinto motivo si lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 303 TU delle leggi doganali, per avere la CTR rilevato la genericità delle censure relative al difetto di proporzionalità delle sanzioni irrogate sebbene nessuna violazione del principio di proporzionalità fosse stata dedotta nel giudizio di merito.
Il primo motivo è infondato.
2.1. In particolare, la ricorrente lamenta la mancata « decisione » della CTR sulla domanda di nullità della sentenza di primo grado per omessa pronuncia da parte dei primi giudici sulle domande aventi ad oggetto « l’erroneità ed infondatezza della rettifica sui TAC » (costi di assistenza tecnica) e « violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 32 del CDC quanto all’inclusione nel valore doganale delle commissioni d’acquisto ». Invece, la CTR si è pronunciata sulla domanda, riportata al n. 1 della espositiva («.. vengono riproposte le censure in merito all’omessa pronuncia sull’eccepita illegittimità e infondatezza dell’avviso impugnato circa la revisione avente ad oggetto i c.d. ‘tacs’ ….circa l’inclusione delle commissioni di acquisto »), osservando che « Non è fondato il primo motivo perché il primo giudice non ha omesso di prendere in considerazione e valutare, rispondendo puntualmente, le specifiche censure ….» e confermando il rigetto delle questioni (« il primo giudice ha fatto, legittimamente, specifico rinvio alle considerazioni in fatto ed in diritto presenti nel verbale di rettifica impugnato, condividendole e rilevando una genericità totale delle censure mosse ..»).
Il secondo motivo è fondato.
3.1. Va premesso che per le operazioni in questione, avvenute nel 2014, trova applicazione il reg. CEE n. 2913/1992 (CDC), atteso che il reg. n. 450/2008 (CDA) non ha avuto attuazione e il reg. n. 952/2013 (CDU) per quanto riguarda la determinazione del valore doganale (artt. 69 e segg.) si applica a decorrere da 1
giugno 2016 (v. art. 288, parr. 1 e 2). I n particolare, secondo l’art. 32 CDC, per determinare il valore in dogana ai sensi dell’art. 29, si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate: «a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: (..) i) commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni di acquisto» -(par. 1). La disposizione precisa che « Ai fini del presente capitolo, per “commissioni d’acquisto” si intendono le somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo al momento dell’acquisto delle merci da valutare» -(par. 4). Secondo le ricorrenti, la differenza tra mediazione (il cui costo è inserito nel valore doganale) e la commissione d’acquisto (il cui costo è invece escluso) va rinvenuta nella posizione del soggetto terzo: nel primo caso questa è di ‘assoluta terzietà’ rispetto alle altre parti negoziali , mentre nel secondo caso il soggetto risponde ad obblighi contrattuali che lo pongono tra produttore/venditore e importatore/acquirente, non richiedendosi una rappresentanza diretta in forza della quale il terzo agisce in nome del compratore/importatore ed essendo sufficiente l’agire ‘per conto’ anche se in nome proprio.
3.2. In tal senso si esprime, seppure con riferimento alla normativa anteriore al CDC, la Corte di giustizia, 25.07.91 -causa C-299/90, Hauptzollamt Karlsruhe, secondo cui «.. quando un commissionario per l’acquisto è intervenuto in nome proprio, ma ha rappresentato l’importatore il quale ha sostenuto da solo il rischio finanziario dell’avvenuta transazione (…) la transazione da prendere in considerazione per determinare il valore in dogana della merce importata è quella avvenuta fra il produttore/fornitore e l’importatore ‘. Per tale motivo, «… la commissione d’acquisto versata dall’importatore al commissionario per l’acquisto non deve essere inclusa nel valore in dogana anche qualora l’importatore
abbia qualificato come venditore il commissionario per l’acquisto nella sua dichiarazione di valore in dogana ed abbia dichiarato il prezzo della merce fatturato da detto commissionario… ». Ove, invece, si configuri l’esistenza di un terzo che agisce in favore di entrambi (venditore ed acquirente), mettendo in contatto le parti ed avendo come unico fine la conclusione dell’affare, totalmente svincolato dal rapporto di fiducia che caratterizza invece la commissione d’acquisto, ricorre la figura del mediatore (broker) la cui commissione deve essere aggiunta al prezzo di vendita. Spetta, quindi all’importatore fornire prova all’Ufficio delle dogane della natura del rapporto e del ruolo svolto dall’intermediario, attraverso contratti, pagamenti, corrispondenza, lettere di credito e altri elementi fattuali da valutare caso per caso. La pronuncia è ancora significativa riguardando il regolamento (CEE) del Consiglio 28 maggio 1980, n. 1224, relativo al valore in dogana delle merci, che all’art. 8 n. 4 dava una definizione delle ‘commissioni d’ acquisto” analoga a quella del CDC, come le « somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo per l’acquisto delle merci da valutare ».
3.3. Le stesse regole sono recepite dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (v. circolare 16/D del 6.11.2015, par. 2), secondo la quale « occorre che la Dogana, al di là del ‘nomen’ utilizzato dal dichiarante, sia messa in condizione di controllare se nella fattispecie concreta ricorra o meno la figura del commissario d’acquisto o del mediatore ai fini, rispettivamente, dell’esclusione o dell’inclusione di tali elementi nella determinazione della base imponibile oggetto di accertamento» . In questo caso era stato prodotto il Buying Agency Agreement , concluso in data 1.10.2008, in forza del quale l’Agente, una società facente parte dello stesso gruppo Adidas, doveva agire per conto della società ricorrente (Principal) nei rapporti con i produttori, cosicché deve escludersi la
sua posizione di terzietà, non rilevando il fatto che aveva agito in nome proprio e non era munito di poteri di rappresentanza diretta.
Il terzo motivo è inammissibile. In particolare, secondo le ricorrenti, i costi in questione (relativi a costi per design e sviluppo, per rimanenze, costi legati ai macchinari di produzione) riguardavano merce non destinata alla vendita, cioè campionari o merce non ancora in produzione, e potevano essere applicati solo ex post sulla produzione effettiva. Peraltro, non è stata accertato il presupposto fattuale della doglianza e cioè il riferimento di essi a merce non destinata alla vendita. Secondo le ricorrenti il fatto era pacifico ma, come ammesso in ricorso (v. pag. 22 ), l’Agenzia aveva contestato che la merce fosse da ricondurre a campionario, ritenendo insufficiente la prova fornita, e non vi è stato un accertamento in tal senso da parte della CTR.
Il quarto motivo è inammissibile e comunque non fondato. Si osserva che la mera sussistenza di un contratto di licenza non può comportare automaticamente l’inclusione dei corrispettivi versati dalla licenziataria alla licenziante nel valore doganale, dovendosi verificare puntualmente che il pagamento di quei corrispettivi costituisce condizione della vendita delle merci, attraverso l’accertamento del controllo che il licenziante è in grado di svolgere sui fornitori esercitando sugli stessi un potere di costrizione e orientamento; secondo le ricorrenti, il giudice d’appello si era limitato a porre in connessione il contratto di licenza con quello di produzione, senza svolgere una puntuale verifica delle clausole contrattuali, e aveva evidenziato elementi contrattuali che non hanno diretta attinenza alle royalties ma che dimostrano solo un controllo di qualità da parte del licenziante; non sarebbe neppure concepibile un controllo del licenziante nei confronti del fornitore che ha dimensioni assai maggiori del primo ed opera anche per una vasta platea di concorrenti della Adidas.
5.1. Il motivo è inammissibile laddove si cerca di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che è incensurabile nel giudizio di legittimità; come noto, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019)..
5.1.1. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del giudice della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015); ancora si rileva che-« Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017). C on specifico riguardo all’interpretazione dei
contratti, inoltre, va osservato che l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; da ultimo, Cass. n. 22318 del 2023); tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008).
5.2. Il motivo è comunque infondato perché la CTR ha fatto buon governo dei principi in materia.
5.2.1. Poiché il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sullo stesso incidono anche i diritti di licenza. In particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC ( ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’ . L’art. 157 DAC (reg. CEE n. 2454/1993) chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci. Qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto di importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159
DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: – il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’ . L’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’ .
5.2.2. Così ricostruito il quadro normativo deve concludersi, in coerenza con quanto affermato nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE , che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del CDC si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. Nella specie è pacifico che i diritti di licenza non erano stati inclusi nella determinazione del valore doganale, mentre era controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita.
5.2.3. Premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE c. Hauptzollamt Dusseldorf, punto 58) ha stabilito, facendo leva sul
punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza; il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo dei diritti di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; nel caso come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto diverso dal venditore (il licenziante), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.); di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza, nel senso che occorre verificare ‘ se la persona legata al venditore eserciti un controllo , sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.), dovendosi considerare che il concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o
indirettamente l’altra), secondo il quale «si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda» .
5.2.4. Sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45). Fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: -il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che
potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante. Come è stato precisato nello stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituisce di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi potrebbe dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di un « potere di orientamento » della licenziante sulla venditrice, che non si risolve in un mero controllo di qualità dei beni ma investe segmenti del processo produttivo, tale per cui il pagamento dei diritti di licenza costituisce una condizione di vendita.
5.2.5. La CTR ha esplicitamente seguito l’interpretazione della normativa data da Corte giust. 9 marzo 2017, C-173/15, osservando che « più d’uno di tali indicatori », tra quelli indicati al citato Commento 11 TAXUD/800/2002, « ricorrono nella ipotesi in esame »: si richiama la clausola secondo cui « le merci fabbricate sono specifiche del licenziante, con riguardo al marchio di fabbrica » nonché il « potere del licenziante di ispezionare gli impianti, le attrezzature, le tecniche di produzione, assemblaggio ed immagazzinamento del licenziatario e dei suoi subcontraent i». Ha concluso che secondo i contratti di licenza e di produzione, non solo la licenziataria era obbligata al rispetto di standard di qualità e a controlli sul produttore, ma era previsto un « penetrante controllo » della licenziante sulla produzione che « esautora il licenziatario di buona parte del potere decisionale in materia di scelta della merce e del contraente ».
5.2.6. La decisione è in linea anche con la giurisprudenza di questa Corte che ha più volte esaminato la questione riguardante
l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana stabilendo come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente ” ratione temporis “) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019); E’ stato altresì precisato che deve tenersi conto anche dei diritti di licenza quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019).
6. Il quinto motivo è inammissibile, non muovendosi alcuna specifica e compiuta censura su profili decisori della sentenza impugnata: la doglianza si risolve nell’affermazione che non era mai stata contestata la proporzionalità delle sanzioni irrogate, al fine di dimostrare che la motivazione della CTR sul punto sarebbe « indice della confusione » del giudice d’appello.
Conclusivamente, accolto il secondo motivo e rigettati gli altri, la causa deve essere cassata di conseguenza con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25/09/2024.