Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33792 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33792 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Oggetto: Tributi
CAD Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al numero n. 33 del ruolo generale dell’anno 202 4, proposto da
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale, su foglio separato, depositata in modalità telematica, da intendersi come apposta in calce al controricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo difensore in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Liguria, n. 470/03/2023, depositata in data 29 giugno 2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20 novembre 2024 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udita per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli l’Avv.to dello Stato NOME COGNOME e per la società controricorrente l’Avv.to NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Negli anni 2006 e 2007, RAGIONE_SOCIALE, quale rappresentante doganale di RAGIONE_SOCIALE, importava, presso il Porto di La Spezia, diverse partite di borsette di varie materie di origine extraunionale (Cina).
A seguito di controllo a posteriori, l’ Ufficio delle Dogane di La Spezia emetteva quattro avvisi di rettifica con i quali contestava un maggior valore della merce importata rispetto a quello dichiarato, riprendendo maggiori dazi, interessi e Iva all’importazione.
Avverso i suddetti atti impositivi, sia il RAGIONE_SOCIALE che il RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di La Spezia che, con le sentenze 53, 54, 55 e 56 del 2009, li respinse.
Il C.A.D. impugnò tali decisioni dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Liguria la quale, con sentenza n. 1009, depositata il 10.7.2017, previa riunione, respinse i gravami, sulla base (a) della ritenuta sussistenza di una responsabilità solidale dello spedizioniere rispetto all’importatore, (b) della inapplicabilità, in materia doganale, dell’art. 12 della L. n. 212 del 2000, (c) della insussistenza di un vizio di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati in relazione al valore rettificato.
5.Avverso tale sentenza, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione proponeva ricorso per cassazione affidato a otto motivi; la Corte di cassazione, sezione tributaria, con ordinanza n. 28374 del 2019, accoglieva il primo motivo (assorbiti i restanti) con il quale veniva denunciata la nullità della sentenza di appello per vizio nella costituzione del collegio giudicante formato, al momento della delibazione della decisione, da magistrati non più in servizio presso la CTR della Liguria.
Riassunto, a cura del CAD in liquidazione, il giudizio dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Liguria, quest’ultima, con sentenza n. 470/03/2023, depositata in data 29 giugno 2023, accoglieva l’appello di parte contribuente.
Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il CAD in liquidazione resiste, con controricorso, illustrato da successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 . Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art . 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 57 e 63 del d.lgs. n. 546/92 per avere la CGT di secondo grado, in sede di rinvio, rigettato l’eccezione di inammissibilità per novità dei motivi di gravame affermando che il CAD aveva ‘facoltà di svolgere tutte le proprie difese aggiornate fino all’udienza di trattazione’ sebbene il CAD Italia avesse sollevato in primo grado soltanto la censura di violazione degli artt. 29, 30 del Reg. CE n. 2913/92 (C.D.C.), in
combinato con l’art. 181 bis del Reg. CE n. 2454/93 (D.A.C.) introducendo in sede di appello motivi nuovi (insufficiente ed errata motivazione in relazione alla violazione degli artt. 29 CDC e 150 DAC; mancato rispetto dei criteri di rideterminazione del valore doganale; erronea valutazione del valore probatorio della documentazione offerta dalla parte; errata valutazione e interpretazione del metodo di cui all’art. 31 CDC; rideterminazione d i un valore astratto; mancato rilievo del diverso titolo di responsabilità tra CAD e importatore; riconoscimento di responsabilità oggettiva contraria all’ordinamento comunitario e nazionale; omessa applicazione dell’art. 220 CDC e omessa motivazione sulla sussistenza dei presupposti di non contabilizzazione) e, nelle memorie illustrative, in sede di riassunzione, l’ulteriore censura sulla non debenza dell’Iva all’importazione.
1.1.Il motivo si profila, in primo luogo, inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo l’Agenzia riprodotto in ricorso soltanto meri stralci di un ricorso di primo grado e di un atto di gravame (pur essendo quattro i ricorsi e gli appelli proposti e senza trascrivere, nelle parti rilevanti, né l’atto di riassunzione nè la richiamata memoria illustrativa in sede di riassunzione) inidonei a consentire a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa ( ex multis , Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015; Cass., Sez. 6 – 1, Ord. n. 18679 del 27/07/2017; Cass., Sez. 5, Ord. n. 17881 del 2021); e ciò anche in conformità al principio statuito, di recente, dalle Sezioni Unite della Corte secondo cui «Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021
– non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito» (Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950; v. da ultimo Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2703 del 2024). Il che, in ultima analisi, implica che modulando il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, cod. proc. civ. (alla cui stregua il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa) in conformità alle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo e, dunque, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, occorre pur sempre che all’interno del ricorso siano richiamati, sia pure in termini essenziali e per la parte d’interesse, gli atti ed i documenti sottesi alle censure svolte (Cass, Sez. 3, 14.3.2022, n. 81:17, Rv. 664252-01), non essendo sufficiente a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione (fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione), il rinvio – in assenza di (trascrizione integrale o parziale ovvero, quantomeno, di tale) sintesi contenutistica – agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte (Cass., Sez. 1, 1.3.2022, n. 6769, Rv. 664103-01; Cass. sez. 5, sentenza n. 26007 del 2022).
1.2. In ogni caso, il motivo è infondato.
Il giudizio di rinvio è soggetto alle comuni regole del codice di procedura civile; lo è anche in materia tributaria; va ribadito che nel giudizio di rinvio è in ogni caso preclusa la proposizione di questioni (domande o eccezioni) nuove, attesa la natura di giudizio a struttura chiusa; consegue che il giudice rimane investito del potere-dovere di riesaminare il merito della causa sulla base di quanto acquisito sino al momento della emissione della sentenza cassata, fermo
restando, per le parti, il limite posto dall’art. 394 cod. proc. civ., con conseguente impossibilità, tra l’altro, di prendere nuove conclusioni (cfr. Cass. n. 8872-14, Cass. n. 2085-02; e v. pure, per il processo tributario, Cass. n. 9224-07, secondo cui, anche ex art. 57 del d.lgs. n. 54692, l’esclusione della possibilità di introdurre eccezioni o tematiche nuove non consente, in sede di rinvio, l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di documenti; Cass. sez. 5, Ord. n. 29886 del 2017; Cass. n. 22262 del 2023).
1.3. Nella specie, il giudice del rinvio ha rigettato l’eccezione di inammissibilità, per novità (‘non essendo mai state sollevate in primo grado’), delle censure formulate dal CAD nell’atto di riassunzione (tra cui quelle concernenti la corresponsabilità del CAD per le importazioni in questione e la non debenza dell’Iva all’importazione) attese le ampie conclusioni del CAD in appello (di annullamento dei provvedimenti impugnati, dichiarando, per l’effetto, non dovuti i tributi pretesi nonché gli interessi richiesti), e tenendo presente che, in sede di riassunzione, il CAD, sulla base dei ‘fatti storici’ già allegati in primo grado o comunque acquisiti agli atti del giudizio peraltro non contestati dall’Ufficio se non per il valore della merce importata aveva ‘la facoltà di svolgere le proprie difese aggiornate fino all’udienza di trattazione’ ; ciò, in conformità all’orientamento di questa Corte secondo cui sussiste un divieto di domande nuove ma non di nuove difese, argomentando sulla differente formulazione letterale tra l’art. 63 d.lgs. n. 546 del 1992, cha vieta richieste diverse cit. e l’art. 394 cod. proc. civ. che vieta conclusioni diverse (in tal senso, Cass. n. 22262 del 2023; Cass. 22/02/2022, n. 5694; Cass. 24/10/2017, n. 25153; Cass. 20/01/2017, n. 1526; Cass. 31/03/2016, n. 6292; Cass. 16/10/2015, n. 20981; Cass. 21/09/2015, n. 18600, Cass. 12/12/2014, n. 26200). Si può allora ripetere che, fermo che il giudizio di rinvio non è un giudizio autonomo, bensì la prosecuzione dei precedenti gradi e fasi, e che le parti conservano la medesima posizione processuale, nondimeno il suo ambito è circoscritto ex lege quanto alle domande proponibili, non anche alle difese, a meno che la novità di queste non sia tale da alterare completamente il tema di decisione (Cass. 12/12/2014, n. 26200).
2. Con il secondo motivo si denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92 per avere il giudice di appello accolto l’appello del CAD con una motivazione apparente affermando che: 1) ‘la motivazione della CTP di La Spezia era stata vagliata e riformata dalla CGT della Liguria con sentenza n. 147/01/23, depositata il 23.2.2023, che aveva accolto gli appelli del CAD’ sebbene la sentenza n. 147/01/23 riguardasse il giudizio di riassunzione RG n. 690/2020 a seguito dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 28372/2019 che aveva cassato la sentenza della CTR n. 1031/12/2017 afferente ad una diversa controversia; 2) dalla documentazione richiamata e ritrascritta nella memoria era risultato che la merce relativa alla rettifica del 17.12.2007 aveva valori tutti superiori a quello indicato in dogana e, in larga parte prossi mo al valore minimo di euro 1,94 indicato dall’Agenzia per l’anno di riferimento sebbene l’assunto prezzo medio dichiarato di 0,50 non fosse mai stato indicato negli avvisi né nei relativi p.v.c. né nelle comunicazioni ai sensi dell’art. 181bis DAC , la riconducibilità dello stesso da parte del contribuente alla media di importazioni diverse da quelle oggetto dell’accertamento fosse stata eccepita soltanto in sede di riassunzione e, nella memoria, fosse stata riprodotto solo un estratto delle fatture di vendita nelle quali veniva indicato il ‘ prezzo di transazione ‘ senza che le fatture prodotte riportassero alcun riferimento atto a dimostrare il collegamento con le bollette medesime.
2.1.Il motivo è infondato.
2.2.Come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’ esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sot to l’aspetto materiale e grafico, nella
motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232).
2.3. Orbene – premesso che la motivazione della sentenza impugnata va letta complessivamente, e non può essere, dunque, parcellizzata e sezionata, in vari segmenti, resi incomunicabili tra loro -il giudice in sede di rinvio ha accolto l’appello del CAD affermando che non era condivisibile la decisione del giudice di primo grado secondo cui l’Ufficio aveva rispettato le modalità procedurali e i criteri di cui agli artt. 29,30 e 31 del C.D.C. per la determinazione del valore delle merci importate e il contribuente non aveva dimostrato la veridicità dei prezzi dichiarati attraverso i bonifici prodotti; ciò in quanto – come accertato dalla C.G.T. della Liguria, con la sentenza n. 147/01/23, che aveva accolto gli appelli del CAD considerato che la merce importata risultava fatturata a prezzi oscillanti da 0,59 USD a 2,00 USD, ma nella maggior parte superiori a 1,00 USD per pezzo, rispetto all’asserito (dall’Ufficio) valore medio dichiarato dal contribuente in dogana di euro 0,50 per pezzo e ai prezzi minimi individuati dall’Agenzia in euro 11.4 0/12,08 per le borse in pelle, in euro 1,94/2,01 per quelle in plastica e in euro 2,32/1,94 per quelle in tessile -dalla documentazione richiamata e trascritta nella memoria, emergevano valori superiori a quello medio ( supposto dall’Ufficio) dichiarato in dogana di euro 0,50 per pezzo e, in larga parte prossimi al valore minimo di euro 1,94 indicato dall’Agenzia per l’anno di riferimento con conseguente illegittimità dell’accertamento non in linea con i criteri di determ inazione del valore delle merci importate di cui agli artt. 29, 30 e 31 del CDC, essendo il metodo principale quello del c.d. criterio del ‘valore di transazione’ ‘in caso di non inattendibilità del valore imponibile dichiarato’ ed essendo possibile accedere, in rigida
successione e, in via sussidiaria, ai criteri alternativi di cui agli artt. 30 e 31 cit. , solo nell’ipotesi di fondati dubbi sulla corrispondenza del valore dichiarato con quello effettivamente pagato o da pagare ( all’esito di un contraddittorio con il contribuente ex art. 181bis DAC). Trattasi di motivazione tale attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (Sez. 1, Ord. n. 13248 del 30/06/2020).
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e segg. CDC e 181bis DAC per avere la CGT di II grado ritenuto la revisione del valore delle merci importate effettuata dall’Ufficio non conforme alla normativa comunitaria essendosi quest’ultimo limitato ad attribuire alla merce importata il maggior valore determinato su base statistica avuto riguardo a ‘ prodotti similari ‘ e senza considerare che l’effettivo valore della merce era quello ‘di transazione’ indicato nell’art. 29, comma 1, CDC; ciò sebbene l’Amministrazione , nel controllare a posteriori le bollette doganali, al fine di determinare il reale valore imponibile, avesse fatto riferimento- tramite la banca dati Merce – al valore medio di transazione delle materie prime impiegate sulla base di un campione rappresentativo di importa zioni aventi ad oggetto ‘merci similari’ (ai sensi dell’art. 142, par.1, lett. d del Regolamento di esecuzione e comunque, in ogni caso, rientranti nell’ambito dello stesso codice TARIC) nell’anno di riferimento , valore risultato molto superiore a quello dichiarato dalla parte in dogana senza neanche considerare gli ulteriori costi diretti e indiretti di produzione; da tale indagine era risultato un valore minimo di importazione per la merce importata di euro 1,94 per borsa; da qui il ‘ fondato dubbio ‘ in ordine alla totale inattendibilità dei valori dichiarati senza che alcuna documentazione atta a confutare tale dubbio fosse stata prodotta dal CAD in sede di successivo espletato contraddittorio ex art. 181bis DAC.
3.1.Il motivo è infondato.
3.2. Va premesso che come già chiarito da questa Corte (Cass. n. n. 23246 del 27/09/2018; Cass. n. 2214 del 25/01/2019;
Sez. 5, Sentenza n. 31464 del 2019) l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana; e il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (CGUE 12 dicembre 2013, in causa C116/12, COGNOME e a., punto 28).
3.3.Una tale disciplina ha una ben precisa ratio : la normativa unionale in tema di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (tra le molte, CGUE 12 dicembre 2013, cit., punto 44; CGUE 20 dicembre 2017, causa in causa C529/16, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE ; CGUE 15 luglio 2010, in causa C-354/09, NOME, punto 27; CGUE 28 febbraio 2008, in causa C-263/06, Carboni e derivati s.r.I., punto 60) e tanto risponde altresì alle necessità di certezza della prassi commerciale.
3.4. Il che spiega perché il codice doganale comunitario abbia stabilito, con gli artt. 29, 30 e 31, una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e perché il regolamento attuativo del codice abbia predisposto una apposita disciplina, regolata dall’art. 181 bis , qualora le autorità doganali abbiano « fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’articolo 29 del codice doganale » (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11812 del 2023; n. 8323 del 04/04/2013; Cass. n. 20931 del 13/09/2013).
3.5.In questo caso, per potersi discostare dalla regola del valore di transazione, l’Autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio, prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale fissata dall’art. 29.
3.6.Il valore di transazione deve, comunque, riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa. Ne consegue che, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non può essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si deve attenere alle disposizioni dell’art. 30 CDC,
applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del § 2 di quest’ultimo articolo (CGUE, 12 dicembre 2013, cit., punto 41). E soltanto quando non sia possibile determinare il valore delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 CDC, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 di tale codice (CGUE, 12 dicembre 2013, cit ., punto 42).
3.7.In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati certamente in base agli artt. 29, 30 e 31 C.D.C., ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva, secondo l’ordine stabilito dal codice (CGUE, 12 dicembre 2013, cit., punto 43).
3.8. Il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato . Per disattenderlo, occorre che: a) l’Amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile; b) i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi; c) l’Amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 CDC, in successione (Sez. 5, Sentenza n. 31464 del 2019; Sez. 5, Ordinanza n. 11812 del 2023). Va, al riguardo, confermato l’orientamento di questa S.C., già compendiato nel principio di diritto enunciato da Cass., Sez. 5, 25 gennaio 2019, n. 2214 secondo cui nel caso di fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale della corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare ex art. 29 C.D.C., la medesima Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi, in ossequio della specifica garanzia procedurale di cui all’art. 181-bis, paragrafo 2, del Reg. CEE
n. 2454 del 1993 – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 del codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal codice doganale comunitario non sia stato possibile” (Cass., sez. 5, n. 25724 del 2020; Cass. sez. 5, Ord. n. 11812 del 2023). Invero, va ricordato che il rispetto di tale procedura articolata in rigidi e progressi passaggi è finalizzata a garantire ‘ un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi. Il valore in dogana deve dunque riflettere il valore economico reale di una merce importata e, pertanto, tener conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico ‘ (sentenza del 20 giugno 2019, «RAGIONE_SOCIALE» SIA, già «RAGIONE_SOCIALE» SIA, C -1/18, punto 22; sentenza del 20 dicembre 2017, RAGIONE_SOCIALE, C-529/16, EU:C:2017:984, punto 24).
3.9. Nella sentenza impugnata, il giudice di appello, facendo buon governo dei suddetti principi premesso che ‘ gli accertamenti in esame avevano per presupposto l’asserito (dall’Ufficio) valore medio dichiarato di euro 0,50 per prezzo da cui le Dogane avevano dedotto, indiziariamente, la macroscopica antieconomicità del prezzo che non consentiva la copertura del costo della materia prima (pvc) né degli altri costi di produzione diretti e indiretti ‘ -ha accertato – con un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità – che dai documenti acquisiti agli atti di giudizio (in particolare, richiamati e trascritti nella memoria del 7.7.2022) risultava l’importazione della merce ‘ per valori superiori a quello indicato dalla dogana ( ovvero all’asserito valore medio dichiarato dal CAD di euro 0,50 per pezzo) e in larga parte prossimi al valore minimo di euro 1,94 indicato dall’Agenzia per l’anno di riferimento ‘. Essendo risultato- alla luce dei documenti acquisiti in giudizio lo scostamento tra il ‘ valore dichiarato ‘ e il ‘ minimo ritenuto ‘ ben inferiore a quello ipotizzato dall’Ufficio sulla base di euro 0 ,50 medio, il giudice di appello, in ossequio ai principi sopra richiamati, ha ritenuto, dunque, sostanzialmente ingiustificati i
dubbi dell’Amministrazione in ordine alla mancata corrispondenza tra il valore dichiarato in dogana e l’ importo effettivamente pagato, essendo, nella specie, applicabile per la determinazione del valore delle merci importate il criterio principale del c.d. valore di transazione e, conseguenzialmente, non applicabili i criteri alternativi (sussidiari) di cui agli artt. 30 e 31 del CDC.
3.10. Quanto alla doglianza in ordine alla inidoneità delle fatture di vendita -riprodotte per estratto nella memoria -a dimostrare un collegamento con le bollette doganali in questione, la stessa tende inammissibilmente ad una rivisitazione dell’apprezzamento di merito operato dal giudice di appell o. In ordine poi alla eccepita mancata indicazione da parte dell’Ufficio del prezzo medio dichiarato di euro 0,50 per pezzo ‘ né negli avvisi impugnati, né nei relativi p.c.v. né nelle comunicazioni delle revisi oni operate ai sensi dell’art. 181bis DAC ‘ (v. pag. 22 del ricorso), tali atti non risultano trascritti in ricorso nelle parti rilevanti; invero, è insegnamento di questa Corte, quello secondo cui ” Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10). Peraltro, l’assunto del la ricorrente -di mancata indicazione del prezzo medio dichiarato di euro 0,50 per pezzo – è smentito avuto riguardo allo stralcio dell’atto di costituzione in riassunzione dell’Agenzia – riprodotto nel controricorso, pag. 22 -in cui l’Ufficio dà atto di avere evidenziato ‘ nei … processi verbali di revisione dell’accertamento che i valori dichiarati -ovvero di 0.50 centesimi di euro per pezzo – non consentivano né la copertura del costo della materia prima (p.v.c) né gli altri costi di produzione e che venivano pertanto contestualmente emessi gli avvisi di
rettifica dell’accertamento in oggetto’ e che ‘ appariva evidente come il valore imponibile dichiarato dalla parte, mediamente di 0.50, non solo oggettivamente fuori mercato e non credibile, ma sicuramente inidoneo a consentire la copertura anche del solo valore di acquisto inerente la materia prima utilizzata ai fini della produzione della merce importata ‘.
4.In conclusione, il ricorso va rigettato.
5.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
6.Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714);
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore , al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 20 novembre 2024