Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1765 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1765 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16626/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE; -controricorrente e ricorrente incidentale-
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente e ricorrente incidentale-
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente e ricorrente incidentale-
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-resistente-
DHL EXPRESS ITALY, CAD SERNAV;
-intimate- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 784/2021 depositata il 24/02/2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso con rigetto di tutti gli altri.
Sentiti l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente principale, gli avv .ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per le controricorrenti e l’avv. NOME COGNOME per la resistente.
FATTI DI CAUSA
Con separati ricorsi la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Milano avvisi di accertamento RU 5016, 5030, 5035, 5071, 5078 recanti la revisione del valore doganale delle merci importate nel 2015 e conseguenti provvedimenti di irrogazione sanzioni.
L’accertamento contestava il mancato inserimento, nel valore indicato nelle dichiarazioni doganali, di costi per design e sviluppo, rimanenze e costi legati ai macchinari utilizzati per la produzione (TAC), per diritti di licenza, per commissione di acquisti e per noli.
La CTP di Milano, con sentenza n. 5759/2018, ha respinto i ricorsi riuniti.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) di Milano, a sua volta, ha accolto gli appelli riuniti proposti dalla Adidas, RAGIONE_SOCIALE, CAD Mollica, CAD Sernav e Panalpina, limitatamente alle sanzioni.
La CTR ha ritenuto che la CTP non fosse incorsa in omessa pronunzia sulle specifiche domande; ha condiviso il giudizio dei primi giudici circa la ricorrenza di un potere di controllo delle licenzianti su terzisti fabbricanti extracomunitari, fondato sulle « imposizioni di determinate modalità produttive, di un determinato produttore/fornitore » che rivelavano « stretti vincoli di ‘controllo’ », cosicché il pagamento dei diritti di licenza era configurabile come condizione della vendita.
Il giudice d’appello, invece, ha escluso le sanzioni osservando che erano « presenti le esimenti di impunibilità » di cui all’art. 5 d.lgs. n. 472/1997.
L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su sette motivi.
Hanno resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE che hanno proposto ricorso incidentale fondato su cinque motivi e hanno depositato memoria.
Sono rimaste intimate CAD Sernav e DHL Express.
Si è costituita la RAGIONE_SOCIALE che non si era costituita nel giudizio d’appello.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 . Va respinta, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto di specificità e chiarezza espositiva. Come noto, il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto -forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Cass. n. 37552 del 2021). In questo caso, nonostante una certa farraginosità dell’esposizione, condizionata anche dalla complessità della normativa, il ricorso consente di comprendere lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza le specifiche censure mosse contro la sentenza impugnata.
Con il primo motivo del ricorso principale dell’Agenzia si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo la CTR annullato le sanzioni in presenza delle esimenti di cui all’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997 a fronte della domanda delle contribuenti fondata sulla mancanza di proporzionalità.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997, dell’art. 303 d.P.R. n. 43 del 1973 e dell’art. 5 del TUE, per avere la CTR ritenuto il difetto dell’elemento soggettivo in presenza della deduzione di non proporzionalità delle sanzioni.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 303 d.P.R. n. 43 del 1973 e dell’art. 5 del TUE perché le sanzioni astrattamente irrogabili ex art. 303 cit. e quelle concretamente irrogate sono conformi ai principi unitari di proporzionalità.
Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per omessa pronuncia, non avendo la CTR determinato le sanzioni concretamente applicabili, essendosi limitata all’annullamento delle stesse.
Con il quinto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 2697 c.c., in quanto l’assenza di colpa, ai fini della non applicabilità delle sanzioni, deve essere provata dal contribuente.
Con il sesto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per extrapetizione, avendo la CTR fondato l’assenza di colpa delle contribuenti sulla ‘classificazione doganale’, non considerata dagli atti impugnati.
Con il settimo motivo, si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., l’assenza di motivazione in ordine alla non esistenza della colpa grave e alla eccessiva misura della sanzione irrogata.
Il primo è fondato, gli altri restano assorbiti.
3.1. Le ricorrenti avevano chiesto l’annullamento delle sanzioni per violazione del principio di proporzionalità ovvero come conseguenza dell’annullamento dell’atto impositivo, come si desume dall’espositiva del ricorso per cassazione ove, per autosufficienza, sono riportati i motivi di impugnazione delle contribuenti (v. motivo VIII; pag. 5). Esclusa la seconda opzione, in quanto i giudici d’appello hanno confermato l’atto impositivo, restava la doglianza di sproporzionalità delle sanzioni che, stante anche la natura di annullamento/merito del giudizio tributario, in caso di accoglimento avrebbe dovuto determinare la riduzione delle sanzioni nel rispetto del principio di proporzionalità. In violazione
del divieto di extrapetizione, invece, la CTR ha riconosciuto un fatto diverso da quello dedotto, escludendo in toto le sanzioni per assenza dell’elemento soggettivo (v. art. 5 d.lgs. n. 472/1997): « di fronte a sanzioni di molto superiori al tributo evaso ed in mancanza di negligenza per la classificazione doganale si può ragionevolmente ai sensi dell’art. 5 del DPR 474/97 (sic) considerare presenti le esimenti di impunibilità ».
Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 35 comma 3 d.lgs. n. 546/1992 e 112 c.p.c. nullità della sentenza per omessa pronuncia su motivi di ricorso proposti con ricorso introduttivo e, in particolare, sull’inclusione nelle rettifiche dei TAC e delle commissioni d’acquisto, motivi non decisi dal giudice di primo grado e riproposti in appello con richiesta di decisione « sulle domande per le quali è stata omessa la pronuncia» .
4.1. Il motivo è infondato. La CTR si è pronunziata, rilevando che la CTP non aveva omesso di decidere ma aveva reputato quelle questioni superflue o subordinate a motivi già decisi, ritenendo quindi « esaustiva la motivazione di rigetto » e rigettando a sua volta il motivo; risultano così respinte da parte dei giudici di merito le doglianze contro l’inclusione dei TAC e delle commissioni d’acquisto nel valore doganale.
Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del Reg CEE n. 2913 del 1992 per avere la CTR erroneamente incluso le commissioni di acquisto nel valore doganale.
Il motivo è fondato.
5.1. Va premesso che per le operazioni in questione, eseguite nel 2015, trova applicazione il reg. CEE n. 2913/1992 (CDC) atteso che il reg. n. 450/2008 (CDA) non ha trovato attuazione e il reg. n. 952/2013 (CDU) con riguardo alle norme relative alla determinazione del valore doganale (artt. 69 e segg.) trova
applicazione a decorrere da 1 giugno 2016 (v. art. 288 par. 1 e 2). In particolare, si applica l’art. 32 CDC, secondo cui, p er determinare il valore in dogana ai sensi dell’art. 29, si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate: «a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: (..) i) commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni di acquisto» (par. 1). Si aggiunge che « Ai fini del presente capitolo, per “commissioni d’acquisto” si intendono le somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo al momento dell’acquisto delle merci da valutare» (par. 4). Secondo il ricorrente, la differenza tra mediazione (il cui costo è inserito nel valore doganale) e la commissione d’acquisto (il cui costo è invece escluso) va rinvenuta nella posizione del soggetto terzo: nel primo caso, questa è di ‘assoluta terzietà’ rispetto alle altre parti negoziali mentre nel secondo caso il soggetto risponde ad obblighi contrattuali che lo pongono tra produttore/venditore e importatore/acquirente, non richiedendosi una rappresentanza diretta in forza della quale il terzo agisce in nome del compratore/importatore ed essendo sufficiente l’agire ‘per conto’ anche se in nome proprio.
5.2. In tal senso si esprime, seppure con riferimento alla normativa anteriore al CDC, la Corte di giustizia, 25.07.91 -causa C-299/90, Hauptzollamt Karlsruhe, secondo cui «.. quando un commissionario per l’acquisto è intervenuto in nome proprio, ma ha rappresentato l’importatore il quale ha sostenuto da solo il rischio finanziario dell’avvenuta transazione (…) la transazione da prendere in considerazione per determinare il valore in dogana della merce importata è quella avvenuta fra il produttore/fornitore e l’importatore ‘. Per tale motivo, «… la commissione d’acquisto versata dall’importatore al commissionario per l’acquisto non deve
essere inclusa nel valore in dogana anche qualora l’importatore abbia qualificato come venditore il commissionario per l’acquisto nella sua dichiarazione di valore in dogana ed abbia dichiarato il prezzo della merce fatturato da detto commissionario… ». Ove, invece, si configuri l’esistenza di un terzo che agisce in favore di entrambi (venditore ed acquirente), mettendo in contatto le parti ed avendo come unico fine la conclusione dell’affare, totalmente svincolato dal rapporto di fiducia che caratterizza invece la commissione d’acquisto, ricorre la figura del mediatore ( broker ) la cui commissione deve essere aggiunta al prezzo di vendita. Spetta, quindi all’importatore fornire prova all’Ufficio delle dogane della natura del rapporto e del ruolo svolto dall’intermediario, attraverso contratti, pagamenti, corrispondenza, lettere di credito e altri elementi fattuali da valutare caso per caso. La pronuncia è ancora significativa riguardando il regolamento (CEE) del Consiglio 28 maggio 1980, n. 1224, relativo al valore in dogana delle merci, che all’art. 8 n. 4 dava una definizione delle ‘commissioni d’ acquisto” analoga a quella del CDC, come le « somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo per l’acquisto delle merci da valutare ».
5.3. Le stesse regole sono recepite dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (v. circolare 16/D del 6.11.2015, par. 2), la quale aggiunge che « occorre che la Dogana, al di là del ‘nomen’ utilizzato dal dichiarante, sia messa in condizione di controllare se nella fattispecie concreta ricorra o meno la figura del commissario d’acquisto o del mediatore ai fini, rispettivamente, dell’esclusione o dell’inclusione di tali elementi nella determinazione della base imponibile oggetto di accertamento» . In questo caso è stato prodotto il Buying Agency Agreement , concluso in data 1.10.2008, in forza del quale l’Agente, una società facente parte dello stesso gruppo Adidas, doveva agire per conto della società ricorrente ( Principal ) nei rapporti con i produttori, cosicché deve escludersi
una posizione di terzietà dell’Agente, non rilevando il fatto che costui aveva agito in nome proprio e non era munito di poteri di rappresentanza diretta.
Con il terzo motivo si censura, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 cit. per avere la CTR erroneamente incluso i costi di assistenza tecnica (TAC) nel valore doganale. In particolare, secondo la ricorrente, i costi in questione (relativi a costi per design e sviluppo, per rimanenze, costi legati ai macchinari di produzione), riguardando merce non destinata alla vendita, cioè campionari o merce non ancora in produzione, possono essere applicati solo ex post sulla produzione effettiva. Il motivo è inammissibile perché è mancato l’accertamento della natura della merce quale campionario: secondo la ricorrente era pacifico che si trattava di merce non destinata alla vendita, cosicché quei costi non dovevano essere addizionati al valore doganale, ma la circostanza era controversa perché, come ammesso dalla stessa ricorrente, secondo l’Ufficio non vi era prova sufficiente per ricondurre la merce a quella di campionari e non vi è stato alcun accertamento in tal senso da parte della CTR.
Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 cit. e dell’art. 157 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, per avere la CTR erroneamente incluso i diritti di licenza nel valore doganale. Si osserva che la mera sussistenza di un contratto di licenza non può comportare automaticamente l’inclusione dei corrispettivi versati dalla licenziataria alla licenziante nel valore doganale, dovendosi verificare puntualmente che il pagamento di quei corrispettivi costituisce condizione della vendita delle merci, attraverso l’accertamento del controllo che il licenziante è in grado di svolgere sui fornitori esercitando sugli stessi un potere di costrizione e orientamento; secondo le ricorrenti il giudice d’appello si era
limitato a porre in connessione il contratto standard di licenza con quello standard di produzione, senza svolgere una puntuale verifica delle clausole contrattuali, e aveva evidenziato elementi contrattuali che non hanno diretta attinenza alle royalties ma che dimostrano solo un controllo di qualità da parte del licenziante; aggiunge che non sarebbe neppure concepibile un controllo del licenziante nei confronti del fornitore, che ha dimensioni assai maggiori del primo ed opera anche per una vasta platea di concorrenti della Adidas.
7.1. Il motivo è inammissibile laddove si cerca di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che è incensurabile nel giudizio di legittimità ; come noto, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019).
7.1.1. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015); ancora si rileva che « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato
di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017); con specifico riguardo all’interpretazione dei contratti, inoltre, va osservato che l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; da ultimo, Cass. n. 22318 del 2023); tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008).
7.2. Il motivo è, in ogni caso, infondato in quanto la CTR ha fatto buon governo dei principi in materia.
7.2.1. Poiché il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sullo stesso possono incidere anche i diritti di licenza. In particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC stabilisce che al prezzo si addizionano «c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare» . L’art. 157 DAC (Reg. CEE n.
2454/1993, contenente le disposizioni d’applicazione) chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci. Qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto di importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare « soltanto se: – il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore» . L’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, «le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento» .
7.2.2. Così ricostruito il quadro normativo deve concludersi, in coerenza con quanto affermato nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE , che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del CDC si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle
merci da valutare. Nella specie era controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita.
7.2.3. Premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC né l’art. 157, comma 2, DAC (Reg. CEE n. 2454/1993, contenente le disposizioni d’applicazione) precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE, cit. , punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza; il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo dei diritti di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; in un caso come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardano il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto diverso dal venditore (il licenziante), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.); di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza, nel senso che occorre verificare «se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza
ad esse afferente» (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.), dovendosi considerare che i l concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale «si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda» .
7.2.4. Sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che «sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice» (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45). Fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: -il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il
produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante. Come è stato precisato nello stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituisce di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi potrebbe dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di un « potere di orientamento » della licenziante sulla venditrice, che non si risolve in un mero controllo di qualità dei beni ma investe segmenti del processo produttivo, tale per cui il pagamento dei diritti di licenza costituisce una condizione di vendita.
7.2.5. La CTR ha concordato con i giudici di prime cure i quali avevano affermato che alla luce della « normativa e delle condizioni contrattuali negli accordi di licenza e per l’utilizzo dei marchi (quali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) stipulati tra la società RAGIONE_SOCIALE e le licenzianti queste ultime esercitano un controllo sui terzisti fabbricanti extracomunitari tal da potersi configurare il pagamento dei diritti di licenza come condizione della vendita». La sentenza impugnata ha riportato per esteso la decisione della CTP che aveva osservato come « Non è dunque indispensabile un controllo di tipo societario tra i due soggetti, potendo, come nel caso di specie,
essere sufficiente un controllo sull’attività del fornitore -esportatore, ‘esercitando solo un potere di orientamento verso quest’ultimo’, come risulta dai contratti in esame, imposizioni di determinate modalità produttive, di un determinato produttore/fornitore, tali elementi per la ricorrente rientrano nel contratto tipico -dei diritti di licenza e Know-How -viceversa rilevano stretti vincoli di ‘controllo’ connessi alle modalità produttive, pertanto le ‘royalties’ risultano includibili nel Valore in Dogana ».
7.2.6. La decisione è in linea anche con la giurisprudenza di questa Corte che ha più volte esaminato la questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana stabilendo come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente ” ratione temporis “) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, e rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019). E’ stato altresì precisato che deve tenersi conto anche dei diritti di licenza quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base
del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019).
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del CDC per « insussistenza di solidarietà del rappresentante doganale per quanto attiene all’IVA ».
8.1. Il motivo è fondato. Con riferimento all’IVA all’importazione è ormai consolidato l’orientamento secondo cui « a seguito dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 12 maggio 2022 nella causa C-714/20, alle nozioni di obbligazione doganale e di soggetto debitore di cui, rispettivamente, agli artt. 5 e 77 del Regolamento UE n. 952 del 2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione, solo l’importatore e non anche il suo rappresentante indiretto risponde del mancato pagamento del tributo e delle relative sanzioni, in assenza di specifiche ed inequivoche disposizioni nazionali che prevedano la responsabilità solidale tra tali soggetti, non rinvenibili nell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 » (Cass. n. 14382 del 2024; Cass. n. 23661 del 2023).
Conclusivamente, accolti il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri, nonché il secondo e quinto motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri, il secondo e quinto motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri; cassa di conseguenza la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in
diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25/09/2024.