Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10002 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 5346/2019 R.G. proposto da
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, ITALSEMPIONE Spedizioni Internazionali s.p.a., RAGIONE_SOCIALEl., RAGIONE_SOCIALEl., RAGIONE_SOCIALEl., RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALEl. , RAGIONE_SOCIALEl., RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE. in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALEa., RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE.), RAGIONE_SOCIALE., rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale a margine dei controricorsi (PEC: EMAIL);
-controricorrenti –
Oggetto:
Tributi – Dazi
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3257/07/2018, depositata il 13.07.2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre
2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) avverso la sentenza della CTP di Milano che aveva accolto i ricorsi riuniti proposti dalla GUESS RAGIONE_SOCIALE e dagli spedizionieri doganali RAGIONE_SOCIALE Spedizioni Internazionali s.p.a., RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE), avverso distinti avvisi di rettifica dell’accertamento, per dazio e IVA, e i correlati provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, emessi dall’Ufficio doganale di Milano, emessi a seguito di PVC notificato alla licenziataria RAGIONE_SOCIALE, con il quale era stato contestato l’importo del valore assunto in sede di computo dei diritti doganali per merci importate dal 2010 al 2012 dai predetti spedizionieri, in rappresentanza indiretta, per conto della RAGIONE_SOCIALE, licenziataria in esclusiva per l’Europa del marchio RAGIONE_SOCIALE del gruppo americano RAGIONE_SOCIALE;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-il valore dichiarato all’atto dell’importazione era stato aumentato in sede di revisione dell’accertamento, essendovi stati inclusi i
corrispettivi relativi a royalties corrisposte alla licenziante RAGIONE_SOCIALE
ai sensi degli artt. 32 par. 1 lett. c) del CDC al valore di transazione vanno aggiunti i corrispettivi e i diritti di licenza che l’acquirente è tenuto a pagare come condizione della vendita della merce da valutare, qualora gli stessi non siano stati già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare;
-l’art. 157 par. 2 del DAC precisa che l’aggiunta al prezzo effettivamente pagato o da pagare dell’importo relativo al corrispettivo dei diritti di licenza deve avvenire solo se tale pagamento si riferisce alle merci oggetto di valutazione e costituisce una condizione di vendita di dette merci, nel senso che il venditore, in assenza di tale ulteriore onere del compratore, non avrebbe effettuato la vendita;
-l’art. 160 DAC stabilisce che se l’acquirente importatore paga un corrispettivo o un diritto di licenza ad un terzo diverso dal venditore -esportatore, le condizioni di cui all’art. 157 par. 2 sono soddisfatte solo se il venditore o un soggetto ad esso legato (art. 143 del DAC) esige dall’acquirente il pagamento per conto e nell’interesse del licenziante;
qualora i diritti di licenza debbano essere pagati ad un terzo, è il solo venditore o persona a lui legata che può includere la clausola del pagamento dei diritti al terzo;
dai contratti prodotti agli atti di causa si evinceva che la licenziataria era libera di scegliere i produttori terzi e l’unico controllo era quello di qualità sulle merci prodotte, che veniva effettuato dalla licenziataria RAGIONE_SOCIALE e non dalla licenziante RAGIONE_SOCIALE
il produttore/venditore non era interessato al pagamento delle royalties , ‘ in quanto tale elemento non interseca il rapporto di produzione e pagamento della merce da lui prodotta ‘;
nel caso in esame, peraltro, alcuni elementi del prodotto, destinati al mercato europeo, erano creati in un centro stile sito in Italia, sicchè il controllo su tali elementi era sottratto alla licenziante RAGIONE_SOCIALE e demandato alla RAGIONE_SOCIALE a conferma che vi era solo un ‘ controllo parziale di qualità che avviene solo ad importazione avvenuta ‘ e ‘ il bene oggetto della importazione è il frutto di una mera esecuzione di un ordine di realizzare prodotti conformi a modelli forniti dallo stesso committente, cioè il licenziatario ‘;
dalle norme contrattuali, quindi, si evinceva che i rapporti di controllo legavano unicamente il licenziante al licenziatario e non coinvolgevano il terzo produttore: trattandosi di rapporti distinti, il terzo rispondeva al licenziatario e quest’ultimo rispondeva al licenziante;
non si ravvisava alcuno degli indicatori cui aveva fatto riferimento l’Ufficio, la Circolare n. 21/D del 2012 non era vincolante e, comunque, confermava che il controllo sui campioni da parte del licenziante e l’obbligo del produttore di osservare determinati standard qualitativi imposti dal licenziante non implicavano necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori extracomunitari, ma riguardavano spesso solo un controllo di qualità, che nella specie, peraltro, era esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE
la Dogana olandese aveva escluso le royalties pagate dalla RAGIONE_SOCIALE nella determinazione del valore in dogana;
RAGIONE_SOCIALE non esercitava, quindi, alcun controllo in ordine ai rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e i terzi produttori i quali, peraltro, ‘ non hanno nessun interesse a che la licenziataria paghi le royalties alla licenziante, né pongono tale elemento quale condizione della loro vendita alla licenziataria che ha commissionato i prodotti (su cui poi verrà posto il marchio oggetto del contratto di licenza,
contratto che produce i suoi effetti solo tra la licenziante e la licenziataria) ‘;
-l’A DM impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
le società contribuenti resistevano con controricorso, illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE
-Preliminarmente va rigettata l’istanza della controricorrente di discussione in pubblica udienza, atteso che ‘In tema di giudizio di cassazione, per effetto delle novità introdotte nell’art. 380 bis c.p.c. dal d.l. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla l. n. 197 del 2016, sull’istanza di fissazione dell’udienza proposta ai sensi dell’art. 391, comma 3, c.p.c. può essere disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, per essere riservata alla pubblica udienza la decisione delle sole questioni di diritto aventi rilievo nomofilattico’ (Cass. n. 2647 del 2/02/2018);
ciò posto, con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, 32 e 157 del Reg. CE 2913/1992, 143, 157, 159 e 160 del Reg. CE 2454/1993 (DAC), 1362 e ss. cod. civ. e dei canoni di ermeneutica contrattuale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR escluso erroneamente, dal valore della merce in dogana, i compensi corrisposti dalla società importatrice, a titolo di royalties , alla licenziante RAGIONE_SOCIALE, sebbene detti corrispettivi dovessero ritenersi condizione della vendita, in quanto il controllo esercitato dalla licenziante sui prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE non si limitava al mero controllo di qualità, ma aveva natura gestionale, nel senso che la licenziante era nella condizione incidere sull’attività di gestione della società importatrice e dei produttori terzi, come emergeva dai contratti esaminati in sede di verifica e versati agli atti del giudizio (e,
in particolare, dalla corretta interpretazione delle clausole del contratto intercorrente tra licenziante e licenziataria), che dovevano essere valutati unitariamente nel loro collegamento funzionale;
con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la CTR motivato o avendo motivato in modo apparente sul collegamento funzionale dei contratti versati in atti (contratto di licenza, contratto di compravendita e codice di condotta), ai quali l’Ufficio ha ancorato il petitum e la causa petendi;
con il terzo motivo, denuncia la violazione degli artt. 303 del TULD e 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR implicitamente annullato anche i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, emessi a seguito dell’accertamento delle violazioni doganali;
il secondo motivo, che per ragioni di priorità logica va esaminato per primo, è infondato;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere
censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
la sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare l ‘annullamento della ripresa , in considerazione delle ragioni indicate nella sentenza, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del terzo motivo;
preliminarmente va disattesa la prima eccezione di inammissibilità di detto motivo, proposta dalla parte controricorrente, atteso che la censura è circostanziata e delinea chiaramente le questioni di diritto, nell’ambito delle quali va inquadrata la fattispecie;
-anche la seconda eccezione di inammissibilità è priva di fondamento, in quanto l’ADM non ha contestato la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di appello, ma la corretta identificazione delle nozioni giuridiche (soprattutto di quelle di “condizioni di vendita” e di “legame” fra le parti), che delineano la portata precettiva delle
disposizioni unionali applicate; l’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può, di conseguenza, formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. n. 29111 del 5/12/2017);
la ricorrente ha censurato, quindi, la sussunzione dei fatti come accertati nelle disposizioni di riferimento, in quanto sostiene che la fattispecie concreta è stata giudicata mediante la non corretta applicazione delle previsioni normative di riferimento;
ciò posto, poiché il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sullo stesso incidono anche i diritti di licenza;
in particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC ( ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’ ;
-l’art. 157 DAC chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle
merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci;
qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto di importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: -il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’ ;
l’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’ ;
così ricostruito il quadro normativo, nella specie è pacifico che i diritti di licenza non erano stati inclusi nella determinazione del valore doganale, mentre è controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita;
premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC, né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE Dusseldorf, punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita
si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza;
-il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo dei diritti di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere;
nel caso come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto diverso dal venditore (il licenziante RAGIONE_SOCIALE), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.);
di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza (RAGIONE_SOCIALE, nel senso che occorre verificare ‘ se la persona legata al venditore eserciti un controllo , sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.), dovendosi considerare che i l concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale ‘si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di
diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda’ ;
-sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45);
fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il
produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante;
come è stato precisato nello stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituiva di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi, che fosse andata al di là dei semplici ‘controlli di qualità’, avrebbe potuto dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di cui all’art. 143, par. l, lett. e) delle DAC, con la conseguenza che il pagamento dei diritti di licenza costituiva una condizione di vendita ai sensi dell’art. 160 delle DAC;
-la questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana è stata più volte esaminata da questa Corte che ha stabilito come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente ” ratione temporis “) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019);
-è stato altresì precisato che deve tenersi conto oltre che del valore economico reale della merce importata, anche
dei diritti di licenza, se alla stessa incorporati, i quali, se riferiti ad un marchio di fabbrica, rilevano quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019);
– infine, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei suddetti corrispettivi, irrilevante essendo la soppressione del documento TAXUD-800-2002-EN e la sua sostituzione col nuovo TAXUD/B4/2016, il quale – fornendo linee orientative più sintetiche correlate al nuovo codice doganale, senza discostarsi da quelle generali del precedente -non costituisce atto normativo ma svolge una funzione esplicativa, anche interpretativa, della disciplina doganale, esulando quindi dalla portata dell’art. 11 delle disp. prel. c.c. (Cass. n. 22761 del 2019);
– nel riassumere i termini della questione, dunque, può affermarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: 1) i corrispettivi o i diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; 2) essi si riferiscono alle merci da valutare; 3) l’acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare, nel senso che l’assolvimento degli stessi riveste un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere;
-con riferimento a quest’ultima condizione, poi, qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate ai diritti di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o dei diritti di licenza ad esse afferenti, potendosi ricavare utili elementi, al fine della individuazione del contenuto della nozione di ‘controllo’, dall’esemplificazione contenuta nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale;
– nel caso in esame, la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza del diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali, in quanto ‘dalle norme contrattuali riportate dall’Ufficio nel suo atto di appello, si evince che i rapporti di controllo legano unicamente il Licenziante al Licenziatario e non coinvolgono il terzo produttore: è infatti, per esempio, la Licenziataria che fornisce alla Licenziante un rapporto completo sulla produzione e tutti i controlli sulle idee creative e sui materiali, gli imballaggi e quant’altro si voglia
richiamare. E’ la Licenziataria che è ‘direttamente responsabile e garante nei confronti della Licenziante del rispetto di quanto stabilito nel contratto di licenza’. E’ la licenziataria quella presso cui il Licenziante effettua l’eventuale controllo e l’approvazione prima di procedere alla vendita. E’ la Licenziataria che tiene la contabilità e ne consente le ispezioni alla licenziante. E’ così si pu à continuare proseguendo l’esame delle clausole che l’Ufficio elenca. E’ evidente, pertanto, che non vi è alcun rapporto tra la Licenziante ed il terzo produttore, i rapporti sono scissi: il terzo produttore risponderà alla Licenziataria mentre la Licenziataria risponderà alla Licenziante…’ ;
i giudici di appello hanno, dunque, ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE non controllasse in alcun modo i rapporti tra la licenziataria e i terzi produttori i quali, essendo indifferenti al fatto che la licenziataria pagasse o meno le royalties alla licenziante, non consideravano tale elemento quale condizione della vendita dei loro prodotti alla licenziataria che li aveva commissionati;
la CTR ha, dunque, ritenuto che i corrispettivi riguardanti le royalties non dovessero essere inclusi nel valore dichiarato in dogana, senza tuttavia esaminare, nel dettaglio, le clausole del contratto di licenza, alla luce dei principi giurisprudenziali prima indicati, e senza verificare, di conseguenza, se sussisteva o meno un potere di controllo da parte del titolare dei diritti di licenza sul fornitore;
da alcune clausole riprodotte nel contenuto del ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, emergono diversi indicatori dai quali si evince che l’ingerenza del licenziante non poteva ritenersi limitata ad un controllo di qualità sul prodotto, in quanto, ad esempio, al punto 5.3 del contratto di licenza, è previsto che la RAGIONE_SOCIALE, entro due settimane dalla prima produzione di un prodotto finito, deve consegnare alla RAGIONE_SOCIALE un prodotto finito rappresentativo della linea e, se questo prodotto non è fabbricato in conformità agli
strandard imposti da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non risolverà il problema, il marchio verrà rapidamente rimosso dallo stesso, a scelta e senza nessun costo della RAGIONE_SOCIALE; al punto 5.4 del medesimo contratto si garantisce al licenziante il diritto di ispezionare i prodotti; al punto 7.1 si conferisce al licenziante la possibilità di autorizzazione preventivamente l’utilizzo di qualsiasi forma di pubblicità o imballaggio; i fornitori terzi, poi, devono rispettare il Codice di condotta e il Factory Vendor Agreement, che garantiscono al licenziante il perseguimento da parte degli stessi degli obiettivi produttivi stabiliti dal medesimo; al punto 12.2 lett. c) del contratto di licenza si obbliga la licenziataria di presentare annualmente alla licenziante il business plan relativo alla produzione e alla vendita dei prodotti;
– peraltro, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il
titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva »
-in conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il terzo e rigettato il secondo, la sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, per nuovo esame e per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo e rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024