Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13489 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34037/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO C/O STUDIO TRIBUTARIO DEIURE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 1765/2018 depositata il 18/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, all’esito di una verifica ispettiva su operazioni doganali di importazione, compiuti dallo spedizioniere RAGIONE_SOCIALE negli anni 2010/2012 per conto della RAGIONE_SOCIALE, licenziataria di prodotti appartenenti al marchio RAGIONE_SOCIALE, rilevò la mancata inclusione nel valore dichiarato in dogana dell’importo versato alla licenziante per l’utilizzo del suddetto marchio. Contestando pertanto maggiori dazi e maggiore Iva all’importazione, notificò l’avviso di rettifica dell’accertamento e l’atto di irrogazione di sanzioni amministrative. La ricorrente adì la Commissione tributaria provinciale di Milano, eccependo la non conoscenza dell’eventuale inclusione delle royalties nel valore della merce dichiarato in dogana, per essersi attenuta a quanto risultante nella documentazione fornita dall’importatore, e comunque l’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 157 del c.d. DAC (Codice doganale comunitario) ai fini della contabilizzazione in dogana delle royalties . Il giudice di primo grado accolse le ragioni dello spedizioniere. L’appello proposto dall’ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia fu rigettato. Il giudice regionale ha ritenuto di escludere che le royalties costituissero condizione per la vendita delle merci importate, non riscontrandosene la prova in tal senso, che avrebbe dovuto essere allegata dall’Agenzia delle Dogane. La commissione regionale ha, inoltre, e in ogni caso, escluso elementi di responsabilità in capo allo spedizioniere, non emergendo prove nei suoi confronti, quale rappresentante indiretto, della conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento delle royalties da parte della licenziataria RAGIONE_SOCIALE L’Amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza, di cui ha chiesto la cassazione, affidandosi a tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., degli artt. 157, 159, 160 201 Reg. CE 2913 del 1992, degli artt. 2699 e ss. c.c. e del loro combinato disposto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., quanto alle errate conclusioni cui il giudice regionale è pervenuto in ordine alle evidenze del rapporto commerciale, e dei rapporti (di controllo) tra la titolare del marchio e terzi produttori di beni contrassegnati dal predetto marchio, da cui si escluderebbe che il pagamento delle royalties costituisse ‘ condizione di vendita ‘.
Il motivo è fondato.
Intanto vanno respinte le eccezioni sollevate dalla difesa della controricorrente, in ordine alla sua inammissibilità. Non risponde al vero che il motivo sia affetto da indeterminatezza e assenza di ragioni di critica specifica alla sentenza, perché anzi, nelle lunghe pagine ad esso dedicate, l’ufficio, mediante una ricostruzione della documentazione disciplinante i rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE licenziante e i terzi produttori della merce importata, ha chiarito in che termini fosse evidente la sussistenza dei presupposti per tener conto delle royalties , ai fini della determinazione del valore della merce importata dal licenziatario, ed ha esplicitato gli errori di diritto commessi dal giudice regionale nell’applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 e c.c., in materia di interpretazione del contratto.
Per le medesime ragioni va respinta l’ulteriore eccezione di inammissibilità del motivo, fondata sull’assunto che con esso l’Amministrazione finanziaria abbia sollecitato un giudizio in fatto in sede di legittimità, indirizzandosi invece le censure all’emersione
dell’erronea applicazione delle regole ermeneutiche sull’interpretazione del contratto.
Nel merito, è opportuno intanto esaminare la disciplina applicabile in materia. La nozione coinvolta è quella del valore in dogana delle merci importate, che, di regola, è il valore di transazione, ossia il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve le rettifiche da effettuare conformemente all’art. 32 CDC (Corte giust. 12 dicembre 2013, COGNOME e a., causa C-116/12, punti 38, 44 e 50, nonché 21 gennaio 2016, COGNOME, causa C430/14, punto 15). Esso deve riflettere il valore economico reale della merce importata, con conseguente considerazione di tutti i fattori economicamente rilevanti (in termini, da ultimo, Corte giust. 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu). Anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico. Sicché, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa il relativo importo, l’art. 32 del codice doganale comunitario (Reg. n. 2913/92) stabilisce che al prezzo si addizionano « …c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare… ».
Il Regolamento n. 2454/93, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario (DAC), specifica questa regola. In generale, esso stabilisce che « …quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’articolo 29 del codice si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci
oggetto della valutazione, e – costituisce una condizione di vendita delle merci in causa » (art. 157, paragrafo 2).
È necessario, dunque, il ricorso di tre condizioni cumulative: – in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; – in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare e, – in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare. In particolare, con riguardo al caso in cui il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, il regolamento di attuazione specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: -il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, -le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, e – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore (art. 159).
Sempre per il caso in cui l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il Regolamento prescrive che « …le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento » (art. 160).
La disciplina generale fissata dal paragrafo 2 dell’art. 157, dunque, trova specificazione in quelle particolari, rispettivamente concernenti il caso in cui il diritto di licenza riguardi un marchio di fabbrica e quello in cui il corrispettivo del diritto debba essere versato ad un terzo. E le particolarità finiscono col contrassegnare, più di ogni altra, l’identificazione delle « condizioni di vendita delle merci in causa », che devono rispondere ai presupposti
rispettivamente richiesti dagli artt. 159 e 160, in relazione alle ipotesi da essi contemplate. Quanto alla configurabilità del versamento dei diritti di licenza, come condizione di vendita della merce, né l’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale né l’art. 157, paragrafo 2, del regolamento n° 2454/93 precisano cosa si debba intendere per « condizione di vendita » delle merci da valutare.
A riempire la lacuna soccorre l’interpretazione che della disciplina ha fornito la Corte di giustizia con la sentenza 9 marzo 2017, causa C-173/15, RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE Nella decisione la Corte di giustizia ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del commento n. 3 del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia disposto, oppure no, a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza. In generale, dunque, il pagamento in questione è una « condizione di vendita » delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata- e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; – occorre cioè, come ha chiarito la Corte di giustizia (in causa C-173/15, punto 68), « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ».
Sul punto, l’allegato 23 delle DAC – Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, paragrafo 1, lettera e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), stabilisce che « si
considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda ». Il controllo è dunque inteso in un’accezione ampia: da un lato, sul piano della fattispecie, perché è assunto per la sua rilevanza anche di fatto, dall’altro, su quello degli effetti, perché ci si contenta dell’effetto di “orientamento” del soggetto controllato. Quest’accezione ampia e necessariamente casistica, d’altronde, ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene. Utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ): queste indicazioni, ha precisato la Corte di giustizia in causa C173/15, punto 45, « sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice ». Ebbene, il documento in questione annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, i seguenti: -il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il
licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc. -il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante. In tema di diritti doganali, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il condivisibile principio di diritto, secondo cui: ” Ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei diritti di licenza va aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del regolamento CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del regolamento CEE della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza ” (Cass. nn. 8473 del 2018; 25438 del 2018; 25437 del 2018; 24996 del 2018).
Ebbene, il giudice regionale non si è attenuto a tali principi. Infatti, dalla documentazione contrattuale regolante il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE, titolare dei marchi, e i terzi produttori (a loro volta esportatori-venditori della licenziataria RAGIONE_SOCIALE), per quanto riprodotto del pvc in ricorso, è emerso che la licenziante: a)
esercitava un potere di orientamento sul produttore, nonché anche poteri di controllo, tramite attività periodica di auditing su di essi in ordine al rispetto del ‘Codice di condotta’; b) forniva i modelli da utilizzare per la produzione, definendo anche il carattere delle merci e la qualità dei componenti utilizzabili, con una conseguente produzione di specifica scelta della licenziante, per concezione e design; c) il produttore non era autorizzato a mostrare a terzi gli esemplari i disegni o comunque fornire informazioni riservate, relative al marchio, sottoposto a licenza. Nonostante la presenza di una pluralità di indicatori, tutti rinvenibili nel documento TAXUD/800/2002, che, secondo le regole ermeneutiche illustrate, il giudice d’appello era tenuto a vagliare e prendere in considerazione -al fine di riconoscere o escludere se il titolare dei diritti immateriali fosse dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e fosse il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza-, dalla commissione regionale non è stato analizzato nulla, limitando la propria attenzione alla sola modalità dei pagamenti effettuati dall’acquirente. Con tale approccio ermeneutico la commissione ha violato le regole di interpretazione contrattuale.
Il motivo va dunque accolto.
Con il secondo motivo , l’Agenzia delle dogane si è doluta della « violazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. », poiché la CTR ha pronunciato sulla responsabilità dello spedizioniere quale rappresentante indiretto in dogana, senza che tale eccezione fosse stata oggetto di un motivo di ricorso introduttivo della lite.
La censura è fondata.
Dai motivi del ricorso originario della contribuente riportati per autosufficienza risulta che la questione della responsabilità soggettiva del rappresentante indiretto non era stata posta dal CAD. Ne risulta perciò l’evidenza del vizio di extrapetizione denunciato.
Con il terzo motivo , l’Amministrazione ha contestato la « violazione e falsa applicazione dell’art. 201 C.d.C. (ora art. 77 C.D.U. – Reg Ue 952/2013) paragrafo 3 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. », laddove, ai fini del riconoscimento della responsabilità solidale del rappresentante indiretto, il giudice regionale ha ritenuto assente la prova che lo spedizioniere fosse a conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento delle royalties da parte della rappresentata RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza impugnata si limita ad affermare che ‘ non è stata fornita prova alcuna in merito al fatto che lo spedizioniere potesse essere a conoscenza dell’eventuale obbligo di pagamento di royalties da parte di RAGIONE_SOCIALE‘ .
Essa trascura non solo ogni riferimento ai doveri di diligenza professionale che si radicano in capo a quest’ultimo, ma sorvola l’essenza stessa di detti doveri , allontanandosi al riguardo dall’applicazione dei principi di diritto dispensati dalla Corte di legittimità. Ancora di recente la giurisprudenza nomofilattica ha puntualizzato che ‘ In tema di dazi, la diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., esigibile dal rappresentante indiretto quale autore della dichiarazione doganale e che va provata da quest’ultimo, non è circoscritta alla sola verifica della corretta rispondenza dei dati risultanti dalla documentazione consegnatagli dall’importatore per l’espletamento del mandato professionale, ma si estende all’autenticità di tale documentazione’ (Cass. n. 25581 del 2023). Dalla propria responsabilità in solido con l’importatore per il fatto di aver reso la dichiarazione in proprio, ancorché per conto di quest’ultimo, lo spedizioniere ‘ può esimersi, in tutto o in parte, da essa, fornendo la prova di aver agito nella scrupolosa osservanza dei doveri, segnatamente d’informazione, derivantigli dalla diligenza qualificata cui, a norma dell’art. 1176, comma 2, c.c., soggiace nell’espletamento dell’attività professionale e, comunque, dimostrando che il proprio comportamento sia stato
improntato al rispetto del principio di buona fede, alle condizioni previste dall’art. 220, par. 2, lett. b, CDC (Cass. n. 18627 del 2023).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che lo spedizioniere che presenta merci in dogana per conto terzi, ma in nome proprio, beneficiando dell’ammissione alla procedura semplificata di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 374 del 1990, risponde, ai sensi degli artt. 201 e 202 del regolamento CEE n. 2913 del 1992 (Codice doganale comunitario), solidalmente col soggetto per conto del quale ha presentato la merce, di tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all’operazione commerciale, compresi gli interessi relativi, essendo tale figura di rappresentante indiretto in grado di valutare, anche per la propria preparazione professionale, la veridicità dei documenti trasmessigli e, quindi, consapevole dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità (cfr. Cass. 4 giugno 2019, n. 15207; 28 giugno 2019, n. 17496; 27 aprile 2021, n. 11029; 28 gennaio 2020, n. 1848). D’altronde non può certo parlarsi in questo caso di responsabilità oggettiva, e ciò sia perché è indiscutibile che il presidio di garanzia, che va offerto dal rappresentante indiretto, trova fondamento nella sua professionalità. In essa va senz’altro compresa la capacità di lettura della documentazione che accompagna o deve accompagnare la merce all’importazione, per la quale, ai fini della di dichiarazione del valore della merce in tema di royalties , non sono indifferenti, come chiarito, i rapporti di controllo o di orientamento della società licenziante sui produttorivenditori. Peraltro, ad esclusione della responsabilità oggettiva, resta salvo che lo spedizioniere rappresentante indiretto possa ben provare la propria buona fede, alle condizioni previste dall’art. 220, § 2, lett. b, del codice doganale comunitario. Anche il terzo motivo va dunque accolto.
In conclusione, la sentenza deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, in diversa composizione, che, oltre a provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, rivaluterà l’appello dell’Amministrazione delle dogane facendo applicazione dei principi di diritto esposti in sentenza.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento dei tre motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II° grado della Lombardia, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10/12/2024.