Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1745 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1745 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13609/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- nonché contro
RAGIONE_SOCIALE,
-intimata – avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 267/2021 depositata il 15/01/2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Uditi l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per le controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE, società di diritto olandese, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Milano avvisi di accertamento recanti revisione del valore doganale di merci importate e conseguenti provvedimenti di irrogazione sanzioni, emessi a seguito di PVC notificato il 22.11.2017 e relativi al periodo gennaio/dicembre 2015.
L’accertamento contestava il mancato inserimento, nel valore indicato nelle dichiarazioni doganali, di diritti di licenza, pagati dalla ricorrente alla RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, tutte facenti parte del gruppo RAGIONE_SOCIALE, di costi per Technical Assist Charges (TAC), per commissione di acquisti e noli.
La CTP di Milano ha respinto i ricorsi con distinte sentenze nn. 275/2019, 276/2019, 277/2019 e 280/2019.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) di Milano, a sua volta, ha accolto gli appelli riuniti proposti dalla Adidas e dagli altri ricorrenti.
La CTR ha ritenuto che il primo giudice fosse incorso in omessa pronunzia su specifiche censure preliminari. Ha altresì ritenuto che non ricorresse la condizione di cui all’art. 32 par. 1 lett. c) del CDC e che il versamento dei diritti di licenza, da calcolarsi in
percentuale sul fatturato della licenziataria al netto di resi e invenduti, non costituisse condizione di vendita della merce, perché le clausole contrattuali evidenziate non dimostravano che l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivestiva per il venditore un’importanza tale che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe stato disposto a vendere né ricorrevano forme di controllo penetrante del licenziante sul produttore/venditore. In particolare, ha rilevato che la clausola risolutiva del contratto tra licenziante e licenziatario, prevista in caso di omesso pagamento del dovuto da parte di quest’ultimo, non incideva sulla posizione del venditore; ha osservato che le royalties erano calcolate al netto di resi e invenduti e, quindi, andavano calcolate in un momento successivo a quello di ingresso delle merci in dogana; ha concluso che il controllo di fatto sulla produzione, sulla consegna delle merci, sulla logistica era limitato ad un controllo sulla qualità delle merci e non si sostanziava in un « generale potere inerdittivo » del licenziante nei confronti del produttore, che in questo caso oltretutto lavorava anche prodotti della concorrenza. Infine, la CTR ha affermato l’estraneità dei rappresentanti indiretti, non essendo stata data prova dei presupposti di responsabilità di cui all’art. 201 CDC.
L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su sei motivi.
Resistono con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE. E’ rimasta intimata la RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso che, secondo i ricorrenti, sarebbe contrario ai principi di specificità nonché di sinteticità e chiarezza.
1.1. Come noto, il ricorso per cassazione deve essere redatto per motivi specifici e in conformità ai principi di chiarezza e
sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza dei doveri di chiarezza e sinteticità può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto -forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Cass. n. 37552 del 2021). In questo caso, nonostante una certa farraginosità dell’esposizione, condizionata anche dalla complessità della normativa, il ricorso consente di comprendere lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza le specifiche censure mosse contro la sentenza impugnata.
Con il primo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1292 c.c., limitatamente all’avviso 5060/RU per il quale era intervenuto il pagamento da parte dell’obbligato solidale, cosicché la CTR avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità del ricorso per carenza di interesse.
Con il secondo motivo si lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 laddove la CTR aveva ritenuto che la CTP avesse omesso di motivare sulla sussistenza degli indici di controllo rilevanti ai fini dell’imponibilità doganale delle royalties .
Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1362, 1363, 2727 e 1729 c.c., in combinato disposto con gli artt. 29 e 32 Reg. CEE n. 2913 del 1992
e degli artt. 157, 159 e 160, in relazione all’art. 143 del DAC, perché erroneamente la CTR aveva escluso la sussistenza del controllo del licenziante ai fini dell’imponibilità delle royalties .
Con il quarto motivo si rileva nullità della sentenza, ex art .360, primo comma, n. 4 c.p.c. per omessa pronuncia sulle ulteriori riprese doganali poste a fondamento degli avvisi impugnati, quali i costi a titolo di commissioni d’acquisto, i noli, i costi di assicurazione e le cc.dd. TAC.
Con il quinto motivo si lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 201, 220 del Reg. Cee n. 2013 del 1992 e dell’art. 2698 c.c., per non avere la CTR rilevato che il rappresentante indiretto dell’importatore è coobbligato con esso.
Con il sesto motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 157, 159, 160 e 143 DAC in quanto il licenziante e il licenziatario appartengono al medesimo gruppo.
3. Il primo motivo è inammissibile. La ricorrente deduce che l’obbligazione doganale dell’avviso di rettifica 5060/RU era stata totalmente estinta dal rappresentante indiretto Federal Express RAGIONE_SOCIALE e conseguentemente il ricorso era improcedibile; la questione, respinta dalla sentenza n. 277/2019 della CTP, era stata riproposta con appello incidentale da parte dell’Agenzia e la CTR non aveva provveduto. Il motivo difetta di autosufficienza in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., essendo principio costantemente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 14784 del 2015, n. 26489, n. 19306 e n. 14541 del 2014) che in base alla citata disposizione processuale « il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda », cosicché nel ricorso devono essere presenti tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si
chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 15952 del 2007); deve altresì essere compresa la specificazione della sede processuale in cui il documento risulta prodotto, « poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile» (Cass. n. 28184 del 2020). In questo caso è generica la deduzione del presupposto di fatto, cioè del pagamento effettuato da parte del coobbligato solidale che risulterebbe «’ per tabulas ‘ dagli atti allegati in corso di causa », senza puntuali indicazioni sul contenuto di questi atti, che non vengono neppure ‘localizzati’ tra le carte del processo.
4. Il terzo motivo deve essere accolto, con conseguente assorbimento del secondo e del sesto. Con questo motivo, in particolare, si denunzia « l’errore interpretativo ed applicativo commesso da giudice che, anziché valutare i …parametri elaborati dal Comitato del Codice Doganale che denotano la sussistenza del controllo indiretto, si limita a fare un richiamo a norme contrattuali circa il potere del licenziante di far cessare la produzione, che al limite può essere uno degli elementi di condizionamento sul produttore ma non è di per sé l’unico e indispensabile elemento per poter affermare che vi sia stata la c.d. condizione di vendita. Resta del tutto avulso dal contesto la precisazione circa il fatto che le ‘royalties’ vengano versate sul fatturato.. ». Si indicano i collegamenti tra contratto di licenza e contratto di produzione in forza dei quali la risoluzione del contratto di licenza si riflette su contratti di vendita. Si evidenziano gli indicatori del potere di controllo della licenziante sui produttori/venditori desunti dalle clausole del contratto di licenza e dell’accordo di produzione,
segnalando l”intercambiabilità’ tra i componenti del gruppo Adidas che consente alla licenziante di intervenire direttamente nel rapporto con i produttori/venditori.
4.1. Deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dalle controricorrenti, secondo cui la censura mirerebbe ad un riesame del merito. Va precisato che la ricorrente non contesta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, né, tanto meno, l’interpretazione delle clausole dell’accordo di licenza dagli stessi offerta, ma assume che tali fatti e, in particolare, il contenuto degli accordi determinerebbero l’applicazione della fattispecie astratta invocata, rappresentata dalla inclusione del valore delle royalties pagate alla licenziante nel valore delle merci importate, ai fini della determinazione dell’importo dei diritti doganali dovuti. Si è, dunque, in presenza di una ipotesi di falsa applicazione della legge, definita « vizio di sussunzione ». Come noto, infatti, il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (Cass., n. 3340 del 2019; Cass., n. 10320 del 2018; Cass., n. 24155 del 2017), descrivendosi, con l’espressione ‘violazione o falsa applicazione di legge’, i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e quello relativo all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Mentre il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie
concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista -pur rettamente individuata e interpretata -non è idonea a regolarla o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (Cass., n. 640 del 2019; Cass. n. 18782 del 2005). Fa, dunque, parte del’ sindacato di legittimità secondo il paradigma della « falsa applicazione di norme di diritto » il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo), è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora non era riconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure , oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (così, Cass. n. 13747 del 2018).
4.2. Tanto premesso, il motivo è fondato.
4.2.1. Poiché il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sullo stesso possono incidere anche i diritti di licenza. In particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC (Reg. CEE n. 2913/1992, ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’ . L’art. 157 DAC (Reg. CEE n.
2454/1993, contenente le disposizioni d’applicazione) chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci. Qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto di importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: – il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’ . L’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’ .
4.2.2. Così ricostruito il quadro normativo deve concludersi, in coerenza con quanto affermato nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 9 marzo 2017, in C- 173/15, RAGIONE_SOCIALE , che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del CDC si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: in primo luogo, che i corrispettivi o i diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; in secondo luogo, che essi si riferiscano alle merci da valutare; e, in terzo luogo, che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle
merci da valutare. Nella specie è controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita.
4.2.3. Premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE, cit. , punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza; il pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo dei diritti di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; nel caso come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto diverso dal venditore (il licenziante), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.); di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza, nel senso che occorre verificare «se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente» (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.),
dovendosi considerare che i l concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e) (a norma del quale due o più persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale «si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda» .
4.2.4. Sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45). Fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: -il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale
l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante. Come è stato precisato nello stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituisce di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi potrebbe dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di un « potere di orientamento » della licenziante sulla venditrice, che non si risolve in un mero controllo di qualità dei beni ma investe segmenti del processo produttivo, tale per cui il pagamento dei diritti di licenza costituisce una condizione di vendita.
4.2.5. Anche la giurisprudenza di questa Corte ha più volte esaminato la questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana stabilendo come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente ” ratione temporis “) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in
grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019); E’ stato altresì precisato che deve tenersi conto anche dei diritti di licenza quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 39978 del 2021, n. 10687 del 2020, n. 3257 del 2020, n. 8473 del 2018, n. 25647 del 2018 e n. 24996 del 2018).
4.2.6. Ciò posto, nel caso in esame, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra indicati, come denunziato dalla ricorrente. Da un lato, appare erronea laddove richiede un « generale potere interdittivo della produzione e delle fasi successive correlate, teso alla tutela dello specifico interesse patrimoniale del licenziante al pagamento delle ‘royalties’ », ben più pregnante dell’esercizio di diritto o di fatto di un potere anche indiretto di costrizione o orientamento che, come sopra osservato, non deve riferirsi necessariamente all’intero processo produttivo. D’altro lato, i giudici di merito hanno escluso la cd. condizione di vendita sulla base di una analisi soltanto parziale della documentazione contrattuale, mentre la verifica della suindicata condizione richiede di tener conto di « tutti gli elementi pertinenti,
in particolare dei rapporti giuridici e di fatto tra acquirente, i rispettivi venditori e il licenziante» (Corte giust. , 9 luglio 2020, in C -76/19, NOME COGNOME ) .
4.2.7. A questa stregua la CTR ha concluso per un mero controllo di qualità pur in presenza di una pluralità di elementi contrattuali, elencati dalla ricorrente, che costituiscono indicatori del controllo sui produttori, tra i quali l’autorizzazione degli stabilimenti di produzione, la determinazione dei quantitativi di produzione, la fissazione delle condizioni di prezzo di vendita, il diritto di esaminare la contabilità del produttore, il potere di ispezione su impianti, attrezzature, tecniche di produzione assemblaggio e immagazzinamento, l’indicazione delle specifiche di produzione e la previsione del potere di scelta/limitazione dei fornitori di materiali e componenti. Ha considerato la clausola risolutiva del contratto di licenza alla stregua delle «cause ordinarie di risoluzione del contratto », omettendo qualunque verifica, attraverso una analisi unitaria, « in punto di possibilità o meno di prosecuzione del rapporto tra loro e di perdurante o meno possibilità per la licenziataria di seguitare ad utilizzare il marchio e/o disporre delle merci su cui esso è stato, o avrebbe dovuto essere, apposto» (Cass. n. 24436 del 2023) e dell’influenza di tale clausola sul rapporto tra licenziataria e produttore/venditore. Ha dato rilievo, per escludere che il pagamento delle royalties costituisse condizione di vendita, alle modalità di calcolo di quei diritti sul fatturato della licenziataria, al netto dei resi e degli invenduti, e « non sull’importo o sugli acquist i», in contrasto con la giurisprudenza unionale secondo cui « i corrispettivi e i diritti di licenza si riferiscono effettivamente a merci da valutare, quand’anche il loro importo esatto non sia stato determinato al momento della conclusione del contratto de quo, o successivamente, all’atto dell’accettazione della dichiarazione in dogana o all’insorgenza dell’obbligazione doganale» e il versamento
di tali corrispettivi o diritti « si riferisce » alle merci da valutare anche quando « l’importo dei corrispettivi o dei diritti di licenza dipende dalla percentuale del volume d’affari generato con la vendita a terzi delle merci importate in base al contratto di licenza» (Corte giust., 9 marzo 2017, GE Healthcare , cit., punti 40 e 49).
5. Il quarto motivo è ammissibile, riportando, anche alla luce dell’esposizione sui fatti di causa, elementi sufficienti ad individuare il contenuto della doglianza e a consentire la decisione senza dover scrutinare gli atti di causa rispettando il principio di autosufficienza (Cass. n. 158 del 2016), che non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass. sez. un. n. 8950 del 2022). Il motivo è altresì fo ndato poiché risulta dall ‘espositiva in ricorso dei fatti di causa che la CTR era chiamata a giudicare sulle riprese doganali afferenti non solo alle royalties ma anche ad altre voci, che il giudice di merito ha del tutto trascurato.
6. Infine, il quinto motivo è fondato. La CTR ha erroneamente dichiarato l’assenza di responsabilità delle società spedizioniere doganali per le dichiarazioni doganali da esse rese, in qualità di rappresentanti indiretti dell’importatore, attesa la loro « estraneità ai fatti » e la mancanza di prova in ordine al « ruolo svolto ». L o spedizioniere quale rappresentante indiretto, autore della dichiarazione ai sensi degli artt. 4 e 5 del CDC e 199 del DAC, risponde in solido con l’importatore per il fatto di aver reso la dichiarazione in proprio, ancorché per conto di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 201, par. 3, prima parte, del CDC (Reg. CEE del 12 ottobre 1992 n. 2913), dell’esattezza dei dati forniti, rispetto ai quali è tenuto ad adempiere agli obblighi di verifica e informazione, funzionali al corretto espletamento dell’incarico conferitogli, con la diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale espletata (Cass. n. 1848 del 2020; Cass. n. 26358 del 2019; Cass. n. 13383 del 2019; Cass. n. 5909 del 2019); non si tratta, peraltro,
di responsabilità oggettiva, poiché egli può esimersi, in tutto o in parte, da essa, fornendo la prova di aver agito nella scrupolosa osservanza dei doveri, segnatamente d’informazione, derivanti dalla diligenza qualificata cui, a norma dell’art. 1176, comma 2, c.c., soggiace nell’espletamento dell’attività professionale e, comunque, dimostrando che il proprio comportamento è stato improntato al rispetto del principio di buona fede, secondo le condizioni previste dall’art. 220, par. 2, lett. b, CDC (Cass. n. 18627 del 2023).
Conclusivamente, accolti il terzo, quarto e quinto motivo, assorbiti il secondo e il sesto, rigettato il primo, la sentenza deve essere cassata e la causa deve essere rimessa al giudice del merito che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
p.q.m.
accoglie il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbiti il secondo e il sesto; cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25/09/2024.