Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1774 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1774 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
Oggetto:
Tributi – Dazi –
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12072/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE (quale successore a titolo universale, a seguito di fusione per incorporazione della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL; EMAIL;
EMAIL);
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia n. 3959/07/2021, depositata il 3.11.2021.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 25.09.2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale, riportandosi alle sue conclusioni scritte, ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e il rigetto dei restanti;
Sentiti, per la ricorrente principale, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e per la controricorrente, Agenzia delle dogane e dei monopoli, l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Milano rigettava il ricorso proposto dall ‘importatore RAGIONE_SOCIALEoggi RAGIONE_SOCIALE, tramite il suo rappresentante fiscale RAGIONE_SOCIALE e dal suo rappresentante doganale indiretto RAGIONE_SOCIALE avverso un avviso di rettifica dell’accertamento n. 81142 2018 per maggiori dazi e del correlato provvedimento di irrogazione della sanzione, emessi dall’Ufficio doganale di Milano, a seguito della revisione dell’accertamento riguardante importazioni effettuate nel corso dell’anno 2016 dal suindicato importatore, per la mancata inclusione, nel valore della merce dichiarato in dogana, del corrispettivo relativo alle royalties corrisposte ai licenzianti, titolari dei marchi, nonché dei costi per TAC (costi di design e sviluppo, rimanenze e costi legati ai macchinari utilizzati per la produzione delle merci) e per commissioni di acquisto, tutti riguardanti la merce importata.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia rigettava l’appello proposto dalle società contribuenti, osservando, per quello che qui interessa, che:
la controversia riguardava la mancata inclusione dei diritti di licenza nella base imponibile considerata per la determinazione del
valore in Dogana, secondo le disposizioni del Codice doganale comunitario;
secondo la giurisprudenza di legittimità le royalties vanno incluse nel valore doganale se sono strettamente connesse al contratto di compravendita internazionale, nel senso che il prezzo della licenza è un elemento irrinunciabile del contratto di compravendita;
la RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato una serie di contratti di licenza per l’utilizzo dei marchi e un contratto di produzione con il produttore, riguardante i prodotti relativi ai marchi oggetto dei contratti di licenza;
nella specie, le royalties andavano incluse nel valore della merce da dichiarare in dogana, in quanto i predetti contratti erano fra loro collegati e la Adidas non svolgeva solo un mero controllo di qualità, ma una chiara funzione di costrizione ed orientamento nei confronti dei produttori, con il potere di subordinare la vendita alla approvazione dei campioni e dei materiali, di estendere ai terzi produttori il rispetto degli obblighi derivanti dal contratto di licenza, anche al fine di preservare la propria immagine e tutelarne il marchio, essendo irrilevante la appartenenza del licenziante e del licenziatario al medesimo gruppo societario;
anche le cd. commissioni d’acquisto ( buying commission ), da qualificare come spese di mediazione, andavano incluse nel valore imponibile in dogana, in quanto gli ordini di acquisto e i relativi pagamenti risultavano effettuati direttamente nei confronti dei produttori dalla RAGIONE_SOCIALE non avendo la RAGIONE_SOCIALE svolto in concreto il ruolo tipico di agente di vendita, ma solo un’attività di intermediazione, limitata a mettere in contatto i diversi soggetti;
nel valore da dichiarare in dogana andavano parimenti inclusi i costi riconducibili a spese sostenute per design e sviluppo, rimanenze
e per i macchinari utilizzati per la produzione della merce (cd. TAC), in quanto non potevano essere considerati campioni non destinati alla vendita le merci importate con bollette doganali a cui era allegata una fattura del fornitore, contenente le sigle ‘SMS’ e ‘PRESELL’, trattandosi di merci regolarmente fatturate e pagate, sdoganate all’importazione come merci e non classificate come campioni , per cui le stesse dovevano considerarsi destinate alla vendita sul territorio nazionale;
-il calcolo della sanzione irrogata era conforme all’art. 303 del TULD la cui applicazione non consente margini di discrezionalità.
Contro la suddetta decisione la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, tramite il suo rappresentante fiscale RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L ‘ADM resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, le ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 32 del CDC (Regolament o CEE n. 2913/1992), per avere la CTR incluso nel valore doganale delle merci le commissioni di acquisto, riconosciute al proprio agente RAGIONE_SOCIALE qualificandole erroneamente come spese di mediazione, mentre si trattava di una società agente, appartenente allo stesso gruppo che, in forza di un Buying Agency Agreement , era stata incaricata di agire per conto e nell’interesse esclusivo della RAGIONE_SOCIALE e, quindi, si trattava di un soggetto non terzo rispetto alle parti del rapporto, essendo irrilevante se vi sia la spendita del nome del mandante da parte dell’agente, qualora le commissioni siano corrisposte a soggetti appartenenti al medesimo gruppo, a fronte di una pluralità di attività previste nel contratto.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 L’art. 32 del Regolamento CEE n. 2913/92 (CDC), ratione temporis vigente, prevede che: ‘Per determinare il valore in dogana ai sensi dell’articolo 29 si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate: a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: i) commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni di acquisto; ii) costo dei contenitori considerati, ai fini doganali, come formanti un tutto unico con la merce; iii) costo dell’imballaggio, comprendente sia la manodopera che i materiali; b) il valore, attribuito in misura adeguata, dei prodotti e servizi qui di seguito elencati, qualora questi siano forniti direttamente o indirettamente dal compratore, senza spese o a costo ridotto e siano utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle merci importate, nella misura in cui detto valore non sia stato incluso nel prezzo effettivamente pagato o da pagare: i) materie, componenti, parti e elementi similari incorporati nelle merci importate, ii) utensili, matrici, stampi ed oggetti similari utilizzati per la produzione delle merci importate, iii) materie consumate durante la produzione delle merci importate, iv) lavori d’ingegneria, di studio, d’arte e di design, piani e schizzi, eseguiti in un paese non membro della Comunità e necessari per produrre le merci importate; c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; d) il valore di ogni parte del prodotto di qualsiasi ulteriore rivendita, cessione o utilizzazione delle merci importate spettante direttamente o indirettamente al venditore; e) i) le spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate e ii)
le spese di carico e movimentazione connesse col trasporto delle merci importate, fino al luogo d’introduzione delle merci nel territorio doganale della Comunità.
Ogni elemento che venga aggiunto ai sensi del presente articolo al prezzo effettivamente pagato o da pagare è basato esclusivamente su dati oggettivi e quantificabili.
Per la determinazione del valore in dogana, nessun elemento è aggiunto al prezzo effettivamente pagato o da pagare, fatti salvi quelli previsti dal presente articolo.
Ai fini del presente capitolo, per “commissioni d’acquisto” si intendono le somme versate da un importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo al momento dell’acquisto delle merci da valutare.
Nonostante il paragrafo 1, lettera c), a) al momento della determinazione del valore in dogana, le spese relative al diritto di riproduzione delle merci importate nella Comunità non sono aggiunte al prezzo effettivamente pagato o da pagare per tali merci e b) i pagamenti effettuati dal compratore come contropartita del diritto di distribuzione o di rivendita delle merci importate non sono aggiunti al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate se tali pagamenti non costituiscono una condizione della vendita, per l’esportazione, a destinazione della Comunità, delle merci qui importate.’
1.3 I costi di mediazione, quindi, vanno aggiunti al valore da dichiarare in dogana, se non sono qualificabili come commissioni d’acquisto.
1.4 L’art. 32, par. 4, fornisce la definizione delle commissioni d’acquisto ai fini della loro inclusione nel valore della merce da dichiarare in dogana, dovendosi trattare di ‘ somme versate da un
importatore al suo agente per il servizio da questi fornito nel rappresentarlo al momento dell’acquisto delle merci da valutare’.
1.5 Sul punto occorre premettere che il mediatore non instaura con le parti, che mette in relazione, un rapporto di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, a differenza, ad esempio, dell’agente e del procacciatore d’affari, che agiscono nell’esclusivo interesse di una delle parti raccogliendo, per suo conto, proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi, distinguendosi, poi, il procacciatore d’affari dall’agente per la mancanza di stabilità ed organicità del suo rapporto con l’impresa mandante.
1.6 In particolare, in tema di rapporti tra la mediazione e il contratto atipico di procacciamento di affari, questa Corte ha più volte affermato che il mediatore si distingue dal procacciatore di affari per il rapporto di collaborazione che, assente secondo l’espresso dettato normativo nella mediazione (art. 1754 cod. civ.), caratterizza, invece, il procacciatore di affari, il quale, anche senza carattere di stabilità, agisce nell’esclusivo interesse del preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele (Cass. n. 12694 del 25/05/2010).
1.7 Pur essendo entrambe le figure contrattuali accomunate dallo svolgimento di un’attività di intermediazione diretta a favorire la conclusione di un affare tra terzi, la figura del mediatore si distingue da quella di procacciatore d’affari, in quanto lo stesso presta la propria opera in posizione di imparzialità tra le parti (Cass. n. 26370 del 20/12/2016), tanto che il mediatore ha diritto alla provvigione nei confronti di entrambe le parti, qualora il contratto venga effettivamente concluso in virtù del suo intervento (art. 1755 cod. civ.).
1.8 Con riferimento al caso in esame, la CTR ha affermato che i compensi corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE erano da qualificarsi
come spese di mediazione (e, quindi, dovevano essere incluse nel valore della merce dichiarato in dogana), in quanto, a prescindere dal contenuto formale del contratto, ‘ dalle risultanze documentali è emerso che -diversamente da quanto sostenuto dalle appellanti –RAGIONE_SOCIALE non ha svolto nel caso concreto il ruolo tipico di Agente di vendita, ma piuttosto un’attività accostabile all’intermediazione. Infatti, gli ordini di acquisto risultano effettuati da RAGIONE_SOCIALE direttamente nei confronti dei produttori; in tali ordini non sussiste alcun riferimento all’Agente. I pagamenti nei confronti dei produttori selezionati avvengono da parte di RAGIONE_SOCIALE tramite il sistema Bank Communication Mangement sicchè il file di pagamento viene approvato da RAGIONE_SOCIALE e inviato alla Banca di riferimento tramite il sistema SAP. Nei manufacturing agreement stipulati tra RAGIONE_SOCIALE e i vari produttori si legge che il produttore deve accettare ordini di acquisto provenienti solo da RAGIONE_SOCIALE, deve emettere le fatture nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e riscuotere i relativi pagamento. L’Agente non agisce in rappresentanza dell’importatore al momento dell’acquisto ma svolge una serie di servizi propri di altra fattispecie contrattuale ed in particolare assimilabile all’intermediazione per conto dell’importatore o al procacciamento di affari. Quindi il corrispettivo riconosciuto all’Agente non può essere classificato come ‘commissione di acquisto’ così come definita dall’art . 32co.IV Reg. CEE 2913/92, ma rientra nella più generica definizione sempre dell’art. 32 di ‘commissioni e spese di mediazione’ in quanto più che altro limitata a mettere in contatto i diversi soggetti. Essa pertanto va inclusa nel valore imponibile in dogana, in quanto di fatto spesa di mediazione, ai fini dell’accertamento dei diritti di confine, dazio e IVA. ‘
1.9 I giudici di appello hanno, dunque, ritenuto che i compensi corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE dovessero essere qualificati
come spese di mediazione sulla base della circostanza che la predetta società non aveva agito in rappresentanza o per conto dell’importatore al momento dell’acquisto e non aveva svolto alcun ruolo riconducibile all’agente di vendita, in quanto sia gli ordi ni di acquisto che i relativi pagamenti venivano effettuati direttamente dall’importatore -acquirente (la RAGIONE_SOCIALE). La società RAGIONE_SOCIALE si sarebbe limitata a svolgere una serie di servizi riconducibili all’intermediazione, che non integravano quell’attività di rappresentanza dell’importatore, finalizzata alla conclusione dei contratti di acquisto, come previsto dall’art. 32, par. 4, del CDC.
1.10 La qualificazione di detti compensi come ‘commissioni e spese di mediazione’, tuttavia, non è stata desunta da una analisi puntuale del contenuto del contratto sulla base del quale agiva la società RAGIONE_SOCIALE (cd. Buying Agency Agreement ), essendosi la CTR limitata ad esaminare il contenuto di altri elementi, quali gli ordini di acquisto e i pagamenti eseguiti nei confronti dei produttori, senza verificare se sulla base di detto contratto la RAGIONE_SOCIALE (che, peraltro, faceva parte dello stesso gruppo RAGIONE_SOCIALE avesse ricevuto un incarico dalla RAGIONE_SOCIALE finalizzato a promuovere la conclusione di accordi commerciali nell’interesse della società mandante, che faceva venire meno la terzietà del suo ruolo, rispett o alle parti interessate alla conclusione dell’affare, imponendo conseguentemente una diversa qualificazione dei compensi alla stessa corrisposti dall’importatore, in conformità alla definizione indicata dall’art. 32, comma 4, del CDC.
1.11 Occorre rilevare, peraltro, che la stessa CTR definisce, in modo contraddittorio, il ruolo svolto dalla RAGIONE_SOCIALE come ‘ assimilabile all’intermediazione per conto dell’importatore o al procacciamento di affari ‘, senza distinguere le due figure contrattuali e senza considerare la terzietà del ruolo del mediatore.
1.12 Il giudice di rinvio dovrà, pertanto, procedere ad un nuovo esame della censura riguardante l’inclusione o meno, nel valore della merce dichiarato in dogana, delle spese riguardanti l’attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del CDC (Regolamento CEE n. 2913/1992), per avere la CTR incluso nel valore doganale delle merci i costi di assistenza tecnica ‘TAC’, sebbene riguardassero le spedizioni di campionario, destinate esclusivamente ad agenti e showroom , come risultava dalle fatture allegate alle bollette doganali, i cui costi venivano comunque inclusi nelle successive spedizioni in blocco a seguito della messa in produzione.
2.1 Il motivo è inammissibile.
2.2 Con riferimento all’accertamento compiuto dalla CTR in ordine alla necessità di includere nel valore delle merci i costi per assistenza tecnica (cd. TAC), le ricorrenti deducono apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mirano alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017).
2.3 La censura fondata sulla asserita errata valutazione della tipologia della merce importata, che sarebbe costituita da meri campionari, oltre ad essere inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, impinge nell’accertamento fattuale effet tuato dai giudici di appello, secondo i quali non potevano essere considerati
campioni non destinati alla vendita le merci importate con bollette doganali a cui era allegata una fattura del fornitore, contenente le sigle ‘SMS’ e ‘PRESELL’, trattandosi di merci regolarmente fatturate e pagate, sdoganate all’importazione come merci, s eppure destinate alla vendita ad agenti e showroom , per cui le stesse dovevano considerarsi destinate alla vendita sul territorio nazionale.
Con il terzo motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del CDC (Regolamento CEE n. 2913/1992) e 157 delle disposizioni di attuazione del CDC (Regolamento CEE 2454/1993), per avere errato nell’includere nel valore doganale delle merci i diritti di licenza, senza effettuare una puntuale verifica delle clausole contrattuali e dei documenti versati in atti, al fine di accertare se la società licenziante fosse in grado di controllare i fornitori delle merci ed esercitare sugli stessi un potere di costrizione o di orientamento, che andasse oltre il semplice controllo di qualità delle merci prodotte, limitandosi a richiamare quanto statuito dal primo giudice e deducendo dalla mera esistenza di due distinti rapporti (di licenza e di vendita) una loro connessione, nonostante la mancanza di indicatori specifici.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Occorre ribadire che il valore della merce dichiarato in dogana deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (v. da ultimo Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, in C-529/16, Hamamatsu ), sicchè sullo stesso incidono anche i diritti di licenza.
3.3 In particolare, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non include l’importo dei diritti di licenza, l’art. 32 CDC ( ratione temporis applicabile) stabilisce che al prezzo si addizionano ‘c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare’.
3.4 L’art. 157 del Regolamento CEE n. 2454/93 (DAC) chiarisce che i diritti di licenza concorrono alla formazione del valore doganale, laddove, come nella specie, non siano già inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, in presenza delle seguenti condizioni: siano specificatamente riferiti alle merci da valutare; l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi come condizione del contratto di vendita delle merci; qualora il diritto di licenza si riferisca a un marchio di fabbrica, ossia al diritto d’importare e di commercializzare prodotti riportanti marchi commerciali, l’art. 159 DAC specifica che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare ‘soltanto se: – il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione, – le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza, – l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore’ .
3.5 L’art. 160 DAC, infine, stabilisce che, qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, ‘le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento’ .
3.6 Così ricostruito il quadro normativo, nella specie è pacifico che i diritti di licenza non erano stati inclusi nella determinazione del valore doganale, mentre è controverso se il versamento di tali diritti costituiva una condizione del contratto di vendita.
3.7 Premesso che né l’art. 32, comma 1, lett. c) CDC, né l’art. 157, comma 2, DAC precisano cosa si debba intendere per ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare, la Corte di giustizia (sentenza 9 marzo 2017, in C-173/15, RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE Dusseldorf,
punto 58) ha stabilito, facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del codice doganale (sezione del valore in dogana), relativo all’incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, che l’identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia o meno disposto a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza.
3.8 I l pagamento dei diritti di licenza è, dunque, una ‘condizione di vendita’ delle merci da valutare qualora, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere; nel caso, come quello in esame, in cui i diritti di licenza riguardino il marchio di fabbrica e vanno corrisposti ad un soggetto divers o dal venditore (il licenziante), per l’identificazione delle ‘condizioni di vendita’ è sufficiente che il pagamento dei corrispettivi dei diritti di licenza sia richiesto all’acquirente da ‘una persona legata al venditore’ (punto 67 della sentenza C-173/15 cit.).
3.9 Di conseguenza, occorre verificare se sussista o meno un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore della licenziataria -acquirente e la società titolare del diritto di licenza, nel senso che occorre verificare ‘ se la persona legata al venditore eserciti un controllo , sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ (punto 68 della sentenza C-173/15 cit.), dovendosi considerare che i l concetto di ‘legame’ in ambito doganale è più ampio e comprende rapporti di influenza, di fatto e di diritto, che vanno al di là del legame propriamente societario, come si evince dall’allegato 23 delle DAC (Note interpretative in materia di valore in dogana all’articolo 143, comma 1, lett. e), a norma del quale due o più
persone sono considerate legate se l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra), secondo il quale ‘si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda’ .
3.10 Sul punto possono trarsi utili indicatori dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), CDC; si tratta di indicazioni che ‘sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Corte di Giustizia C-173/15 cit., punto 45).
3.11 Fra i parametri elencati per stabilire se vi sia una situazione di controllo vi sono i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; -il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; – il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del
marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
3.12 Come è stato precisato dallo stesso Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, ciascuno di questi elementi non costituiva di per sé una condizione di vendita, ma la combinazione di questi elementi, che fosse andata al di là dei semplici ‘controlli di qualità ‘, avrebbe potuto dimostrare l’esistenza di una relazione nel senso di cui all’art. 143, par. l, lett. e) delle DAC, con la conseguenza che il pagamento dei diritti di licenza costituiva una condizione di vendita ai sensi dell’art. 160 delle DAC.
3.13 L a questione riguardante l’inclusione dei diritti di licenza nel valore dichiarato in dogana è stata più volte esaminata da questa Corte che ha stabilito come, nella determinazione di detto valore ai sensi del regolamento (CEE) n. 2913 del 1992 (vigente “ratione temporis”) e degli artt. 159 e 160 del DAC, deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. n. 30776 del 2019).
3.14 E’ stato altresì precisato che deve tenersi conto oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, se alla stessa incorporati, i quali, se riferiti ad un marchio di fabbrica, rilevano quando, sulla base dei rapporti contrattuali tra acquirente e venditore -o persona ad esso legata -l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza condizioni, per l’importanza rivestita, la stessa volontà di quest’ultimo di procedere alla vendita, mentre, in caso di corresponsione spettante a soggetto diverso dal venditore, deve verificarsi la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra venditore e licenziante, tale da comportare, sulla base del contenuto specifico delle clausole dell’accordo di licenza, l’esercizio di un controllo, anche indiretto, di quest’ultimo sul primo, secondo gli indicatori tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale, contenuto nel TAXUD/800/2002 (Cass. 33119 del 2019).
3.15 Infine, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell’art. 32 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Reg. CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei suddetti corrispettivi, irrilevante essendo la soppressione del documento TAXUD-800-2002-EN e la sua sostituzione col nuovo TAXUD/B4/2016, il quale – fornendo linee orientative più sintetiche correlate al nuovo codice doganale, senza discostarsi da quelle generali del precedente -non costituisce atto normativo ma svolge una funzione esplicativa, anche interpretativa, della disciplina doganale, esulando quindi dalla portata dell’art. 11 delle disp. prel. c.c. (Cass. n. 22761 del 2019).
Nel riassumere i termini della questione, dunque, può affermarsi che la rettifica prevista dall’articolo 32, par. 1, lett. c), del codice doganale comunitario si applica quando ricorrono le seguenti tre condizioni cumulative: 1) i corrispettivi o i diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; 2) essi si riferiscono alle merci da valutare; 3) l’acquirente è tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare, nel senso che l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza riveste un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere.
4.1 C on riferimento a quest’ultima condizione, poi, qualora il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente, potendosi ricavare utili elementi al fine della individuazione del conten uto della nozione di ‘controllo’ dall’esemplificazione contenuta nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale.
5. Per completezza, va evidenziato che anche il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione europea (CDU), ha previsto, all’art. 71, par. 1, lett. c), tra gli elementi che devono essere addizionati per determinare il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate ai fini della determinazione del valore delle merci, « i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da
valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
5.1 Con il nuovo codice doganale si è addirittura attenuata l’esigenza di verificare l’esistenza di un ‘legame’ tra i soggetti coinvolti nelle operazioni di importazione delle merci e di pagamento dei corrispettivi e diritti di licenza, che ha già evidenziato questa Corte, affermando che ‘ deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale ‘ e, quindi, la nozione di controllo prevista dall’art. 127 Regolamento di esecuz ione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass. n. 3606 del 13/02/2020).
6. Per quanto riguarda i rapporti trilaterali, in particolare, occorre ribadire che i corrispettivi e i diritti di licenza concorrono ad integrare il valore delle merci importate se sono versati in un contesto in cui il licenziante può controllare i produttori che vendono i beni al licenziatario, per cui, per stabilire se ricorrono tali condizioni, è necessario esaminare tutti i contratti commerciali, ivi compresi i contratti di licenza.
6.1 In tal senso si esprime il già citato TAXUD/B4/2016: « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi ».
6.2 Il documento TAXUD del 2016, peraltro, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002 (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ).
6.3 Di conseguenza, è evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis , sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass. 16 maggio 2023, n. 13338 e Cass. 13 febbraio 2020, n. 3606; Cass. 30 gennaio 2020, n. 2140).
Alla luce degli elementi sopra indicati, i diritti di licenza devono essere pagati, come condizione della vendita delle merci importate, se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali, oppure se le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante. L’interprete deve, dunque, stabilire se
il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi all’operazione dai quali emerga, anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties .
7.1 Dai principi sopra esposti, quindi, si evince, in sintesi, che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione (ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice di merito verificare. Qualora (come nel caso in esame) il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ». Può, dunque, ritenersi che il pagamento dei corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties ) dovuti dall’importatore, in relazione alle merci importate, costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica
dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties .
7.2 L’ampia nozione di controllo, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, non richiede necessariamente, come si è già detto, che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato.
Ciò posto, la sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto dell’Ufficio di operare la rettifica delle dichiarazioni doganali presentate dalla RAGIONE_SOCIALE per conto della RAGIONE_SOCIALE, in considerazione del controllo esercitato dal licenziante sull’attività produttiva dei terzi fabbricanti.
8.1 A tale proposito, il giudice di appello ha dato atto di aver esaminato il contenuto dei contratti di licenza e di produzione, ritenendoli strettamente connessi e desumendo dalle principali clausole contrattuali svariati elementi indicatori del potere di orientamento e di condizionamento che esulava dal semplice controllo di qualità e consentiva di ritenere sussistente ‘ la condizione di vendita necessaria affinchè le royalties possano essere aggiunte al valore dichiarato in dogana ‘ (p. 4 della sentenza) ; la CTR afferma, in particolare, anche richiamandosi al contenuto della sentenza di primo grado, che il licenziante poteva incidere ‘ in maniera determinante sull’individuazione di fornitori sia in virtù di pattuizioni specifiche del contratto di licenza sia per mezzo dell’operato dell’importatore, a sua volta controllato dalla licenziante ‘ e che ‘ i contratti di licenza esistenti prevedono che se il canone o costo di licenza non viene
pagato al produttore è vietato produrre e vendere all’importatore i beni che incorporano la proprietà intellettuale del licenziante ‘; altre clausole dei contratti di licenza ‘ consentono al licenziante di controllare la produzione e/o la vendita tra produttore ed importatore’ ; è stato accertato, inoltre, che ‘ Nei contratti analizzati sono previste, altresì, alcune clausole contrattuali che lasciano presumere in modo grave, preciso e concordante un controllo di fatto del licenziante sul produttore che, come si detto, esula dal mero controllo di qualità, ovvero il potere di subordinare la vendita della merce all’approvazione del licenziante dei campioni di pre -produzione e dei materiali accessori, potere del licenziante di estendere a terzi produttori il rispetto degli obblighi derivanti dal contratto di licenza, il potere del licenziante di ispezionare gli impianti, le attrezzature, le tecniche di produzione, assemblaggio e immagazzinamento del licenziatario e dei suoi subcontraenti (produttori e distributori); le merci fabbricate sono specifiche del licenziante con riguardo al marchio di fabbrica ‘ , anche al fine del mantenimento stesso dell’immagine Adidas e della tutela del marchio (pp. 5 – 7).
8.2 Le ricorrenti sostengono che dalle indicate clausole si poteva evincere solo un controllo di qualità del licenziante sui prodotti e non anche un controllo indiretto sui produttori, tale da condizionare la vendita degli stessi al pagamento dei diritti di licenza.
8.3 Ritiene questo Collegio che la CTR abbia fatto corretta applicazione dei principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e di legittimità, atteso che nella specie non rileva un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente -secondo quanto osservato dal menzionato Commento n. 11 – l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento
dell’attività produttiva, che può rinvenirsi anche nel diritto di esigere il soddisfacimento di livelli di qualità normalmente associati ai prodotti commercializzati con il marchio concesso in licenza.
8.4 Peraltro, non possono non rilevare, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 2018, le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (Cass. 10.10.2018, n. 24996).
8.5 La CTR ha, dunque, operato una corretta verifica sulle operazioni di importazioni in esame, accertando, alla luce dei parametri sopra indicati, che i licenzianti avevano un potere di controllo indiretto sulla produzione e sulla distribuzione del prodotto, essendo in grado di incidere, in maniera determinante, non solo sulla qualità dello stesso, ma sull’intero ciclo produttivo e commerciale .
In ultimo, va rilevato che le ricorrenti non hanno proposto un quarto motivo di ricorso con riguardo al profilo sanzionatorio, essendosi
limitate a stigmatizzare la sentenza impugnata nella parte in cui aveva rigettato una loro presunta doglianza sulla illegittimità delle sanzioni irrogate per violazione del principio di proporzionalità, in mancanza di una loro domanda sul punto. Detto rilievo, peraltro, risulta inammissibile, trattandosi di censura in ogni caso incomprensibile.
Va accolto, dunque, il primo motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2024