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Valore doganale: come royalties e commissioni incidono

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del corretto calcolo del valore doganale per le merci importate. Il caso riguardava un’azienda di abbigliamento internazionale a cui l’Agenzia delle Dogane aveva contestato l’omessa inclusione, nella base imponibile, di royalties, commissioni d’acquisto e costi di assistenza tecnica. La Corte ha accolto il ricorso dell’azienda riguardo le commissioni, rinviando alla corte di merito per una nuova valutazione del contratto di agenzia. Ha invece respinto i motivi relativi alle royalties, confermando che queste vanno incluse nel valore doganale quando il licenziante esercita un controllo sulla produzione e vendita, rendendole una condizione di fatto per la vendita stessa.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore Doganale: Royalties e Commissioni Sotto la Lente della Cassazione

La corretta determinazione del valore doganale è un aspetto cruciale per tutte le aziende che operano nel commercio internazionale. Da questo valore dipendono infatti i dazi e l’IVA all’importazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su due elementi spesso controversi: le royalties e le commissioni d’acquisto. La pronuncia chiarisce le condizioni per la loro inclusione nella base imponibile, offrendo importanti indicazioni operative per gli importatori.

I Fatti del Caso: Una Controversia su Dazi e Costi Aggiuntivi

Il caso nasce da un avviso di rettifica dell’accertamento emesso dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di una nota società internazionale che importa prodotti di abbigliamento e di un suo rappresentante doganale. L’Agenzia contestava la mancata inclusione nel valore dichiarato in dogana di tre tipologie di costi relativi a importazioni effettuate nel 2016:
1. Royalties: corrispettivi pagati ai titolari dei marchi.
2. Costi di assistenza tecnica (TAC): spese per design, sviluppo e macchinari.
3. Commissioni di acquisto: somme corrisposte a una società del medesimo gruppo per servizi di sourcing.

La Commissione Tributaria di secondo grado aveva dato ragione all’Agenzia delle Dogane, ritenendo che tutti questi costi dovessero concorrere a formare il valore della merce. Le società importatrici hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte: Tre Motivi di Ricorso

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i tre motivi di doglianza delle società ricorrenti, giungendo a una decisione articolata.

Commissioni d’Acquisto o Spese di Mediazione? Un Rinvio Necessario

Il primo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava la natura dei compensi pagati alla società di sourcing del gruppo. Secondo le ricorrenti, si trattava di commissioni d’acquisto, che per legge sono escluse dal valore doganale. La corte di merito, invece, le aveva qualificate come spese di mediazione, da includere nell’imponibile.

La Cassazione ha ritenuto la decisione di secondo grado viziata, in quanto non aveva analizzato in modo puntuale il contratto di agenzia (Buying Agency Agreement). La qualificazione del rapporto era stata contraddittoria e basata solo sul fatto che ordini e pagamenti avvenivano direttamente tra l’importatore e i produttori. La Corte ha quindi cassato la sentenza su questo punto, rinviando la causa a un’altra sezione della Corte di Giustizia tributaria per un esame approfondito del contratto, al fine di stabilire se la società di sourcing agisse effettivamente come agente per conto dell’importatore.

Inclusione delle Royalties nel Valore Doganale: Il Criterio del “Controllo”

Il cuore della sentenza riguarda il terzo motivo di ricorso, relativo all’inclusione delle royalties. La Corte lo ha ritenuto infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. La normativa europea (in particolare l’art. 32 del Codice Doganale Comunitario) prevede che le royalties siano aggiunte al prezzo della merce se costituiscono una “condizione della vendita”.

La Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, ha ribadito che questa condizione sussiste non solo quando è esplicitamente prevista nel contratto, ma anche quando, nei fatti, l’importatore non potrebbe acquistare la merce senza pagare le royalties. Questo si verifica, in particolare, in rapporti trilaterali (licenziante, importatore-licenziatario, produttore) quando il licenziante esercita un controllo sul produttore. La Corte ha ritenuto che nel caso di specie esistessero numerosi indicatori di tale controllo, che andavano ben oltre una semplice verifica della qualità:

* Il potere di approvare i fornitori e i campioni di pre-produzione.
* Il potere di ispezionare gli impianti e le tecniche produttive.
* La definizione delle caratteristiche specifiche dei prodotti e della tecnologia da utilizzare.

Questi elementi dimostravano un potere di orientamento e costrizione del licenziante sul produttore, tale da rendere il pagamento delle royalties un passaggio obbligato per poter importare e vendere i beni.

I Costi per Campionario: Una Questione di Fatto

Infine, il secondo motivo, relativo ai costi di assistenza tecnica (TAC), è stato dichiarato inammissibile. Le società sostenevano che tali costi si riferissero a campioni non destinati alla vendita. La Cassazione ha però stabilito che questa censura mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La corte di merito aveva già accertato che le merci erano regolarmente fatturate, pagate e sdoganate per la vendita, rendendo irrilevante la loro destinazione a showroom o agenti.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su un’interpretazione sostanziale e non meramente formale delle norme doganali. Per le commissioni, si afferma la necessità di guardare al contenuto effettivo del contratto di agenzia per distinguere tra una vera e propria commissione d’acquisto (esclusa) e un’attività di mera intermediazione (inclusa). Per le royalties, la motivazione centrale risiede nella nozione ampia di “controllo”. Non è necessario un legame societario o una clausola esplicita; è sufficiente che il licenziante, attraverso vari strumenti contrattuali, possa di fatto orientare e condizionare l’attività del produttore, legando indissolubilmente la produzione della merce al pagamento del diritto di licenza. Questo approccio economico-giuridico mira a catturare il valore reale e completo della transazione commerciale.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti lezioni per gli operatori economici. In primo luogo, sottolinea l’importanza di redigere contratti di agenzia chiari e dettagliati, che definiscano in modo inequivocabile il ruolo dell’agente come rappresentante dell’importatore, al fine di poter legittimamente escludere le relative commissioni dal valore imponibile. In secondo luogo, conferma l’orientamento rigoroso in materia di royalties: le aziende devono condurre un’analisi approfondita dei loro accordi di licenza e delle dinamiche della catena di fornitura per verificare se il licenziante eserciti un controllo, anche indiretto, sui produttori. Se tale controllo esiste, le royalties devono essere incluse nel valore doganale per evitare contestazioni e sanzioni.

Quando le royalties pagate a un soggetto terzo devono essere incluse nel valore doganale della merce importata?
Le royalties devono essere incluse nel valore doganale quando costituiscono una “condizione della vendita”. Questo avviene se il licenziante (titolare del marchio) esercita un potere di controllo o di orientamento sul produttore della merce, tale da subordinare di fatto la vendita dei beni al pagamento delle royalties stesse, anche se questo non è scritto esplicitamente nel contratto di compravendita.

Qual è la differenza tra “commissioni d’acquisto” (escluse dal valore doganale) e “spese di mediazione” (incluse)?
Le “commissioni d’acquisto” sono somme pagate da un importatore al proprio agente per il servizio di rappresentarlo nell’acquisto della merce; sono quindi escluse dal valore doganale. Le “spese di mediazione”, invece, si riferiscono a un’attività di intermediazione svolta da un soggetto terzo e imparziale che mette in contatto le parti. La qualificazione dipende dall’analisi del contratto e dal ruolo effettivo svolto dall’intermediario.

Perché il pagamento di royalties può essere considerato una “condizione della vendita” anche se non è esplicitamente scritto nel contratto di compravendita?
Perché la valutazione non è solo formale, ma sostanziale. Se il titolare del marchio ha il potere di controllare aspetti chiave della produzione (come la scelta dei fornitori, l’approvazione dei campioni, le tecniche produttive), può di fatto impedire al produttore di vendere la merce all’importatore se le royalties non vengono pagate. In questa situazione, il pagamento diventa un presupposto implicito e necessario dell’intera operazione commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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