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Valore di transazione: dubbi fondati e prova doganale

Una società importatrice si è vista contestare il valore di transazione dichiarato per merci importate, a causa di ‘fondati dubbi’ sollevati dall’Agenzia delle Dogane sulla reale composizione dei beni. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’amministrazione doganale può legittimamente procedere alla rettifica del valore anche senza un accesso fisico o un’ispezione della merce, a condizione che sia stato garantito al contribuente il diritto di difendersi in un contraddittorio documentale. La sentenza chiarisce che, una volta sorti dubbi fondati, l’onere di provare la correttezza del valore dichiarato si sposta sull’importatore.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore di Transazione: Quando i Dubbi dell’Agenzia Giustificano la Rettifica

Il corretto calcolo del valore di transazione delle merci importate è un pilastro del diritto doganale, poiché determina la base imponibile per l’applicazione dei dazi. Ma cosa accade se l’autorità doganale nutre ‘fondati dubbi’ sulla correttezza del valore dichiarato dall’importatore? È necessaria un’ispezione fisica per procedere a una rettifica? Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione fornisce un’importante chiarimento, stabilendo che un contraddittorio documentale può essere sufficiente per legittimare l’accertamento, invertendo l’onere della prova a carico dell’azienda.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dell’importazione si è vista recapitare due avvisi di accertamento suppletivi da parte dell’Agenzia delle Dogane. L’amministrazione contestava il valore dichiarato per alcune partite di merce provenienti dalla Cina, ritenendolo inferiore rispetto al valore medio di importazione di prodotti simili.

Il sospetto dell’Agenzia nasceva da un’incongruenza: la società aveva dichiarato di importare articoli di biancheria intima in materiale sintetico. Tuttavia, da una successiva bolletta doganale relativa a una fornitura dello stesso tipo e proveniente dal medesimo fornitore, emergeva che la merce era in realtà composta da materiali diversi e di maggior pregio (95% cotone e 5% elastane). Questa discrepanza ha generato un ‘fondato dubbio’ sulla qualità e, di conseguenza, sul corretto valore di transazione delle merci precedentemente importate.

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato ragione alla società, annullando gli accertamenti. In particolare, il giudice d’appello aveva ritenuto l’accertamento privo di prove, valorizzando il fatto che l’Agenzia non avesse mai effettuato un accesso o una verifica fisica sui quantitativi di merce importati. L’Agenzia ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e il corretto valore di transazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Il principio affermato è di fondamentale importanza: la mancanza di un accesso fisico o di un controllo diretto sulla merce non rende di per sé illegittimo l’accertamento sul valore di transazione.

Secondo la Suprema Corte, in presenza di ‘fondati dubbi’, l’autorità doganale è legittimata ad avviare una procedura di verifica basata su un contraddittorio documentale. Se, all’esito di tale procedura, l’importatore non riesce a fugare i dubbi fornendo giustificazioni e prove adeguate, l’Agenzia può respingere il valore dichiarato e procedere alla rettifica utilizzando metodi di determinazione alternativi, come previsto dalla normativa europea.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte fonda la sua decisione su un’attenta analisi della normativa unionale e nazionale. Il cuore del ragionamento risiede nel bilanciamento tra i poteri di accertamento dell’amministrazione e il diritto di difesa del contribuente.

Il Ruolo dei ‘Fondati Dubbi’

La contestazione dell’Agenzia non era arbitraria, ma scaturiva da un elemento concreto: la discrepanza sulla composizione della merce emersa da dichiarazioni doganali successive. Questo, secondo la Corte, costituisce un ‘fondato dubbio’ ai sensi dell’art. 140 del Regolamento (UE) 2015/2447. Tale norma non prescrive forme specifiche per l’avvio del contraddittorio, potendo questo risolversi anche in una semplice richiesta di informazioni supplementari all’importatore.

La Sufficienza del Contraddittorio Documentale

Il punto centrale della pronuncia è che il rispetto del principio del contraddittorio non impone necessariamente un’indagine fisica. È sufficiente che all’interessato sia stata data una ‘ragionevole possibilità’ di far valere il proprio punto di vista e di fornire prove a sostegno del valore dichiarato. Se l’importatore, pur messo in condizione di difendersi, rimane inerte o fornisce spiegazioni non convincenti, l’Agenzia è legittimata a procedere.

L’Inversione dell’Onere della Prova

La sentenza chiarisce la dinamica dell’onere della prova. Spetta all’autorità doganale dimostrare l’esistenza dei ‘fondati dubbi’ che giustificano la richiesta di chiarimenti. Una volta assolto tale onere, la palla passa all’importatore. È quest’ultimo che deve fornire tutti gli elementi necessari a dimostrare che il prezzo dichiarato corrisponde effettivamente all’importo totale pagato o da pagare per la merce. La sentenza impugnata aveva errato invertendo tale logica e ponendo l’intero onere probatorio a carico dell’Ufficio.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione ha rilevanti implicazioni pratiche per gli operatori economici. In primo luogo, sottolinea l’importanza di mantenere coerenza e precisione nelle dichiarazioni doganali, poiché le incongruenze possono facilmente innescare controlli approfonditi. In secondo luogo, chiarisce che le imprese non possono fare affidamento sulla mancanza di un’ispezione fisica per ritenersi al sicuro da contestazioni. Di fronte a una richiesta di chiarimenti basata su dubbi fondati, è essenziale rispondere in modo proattivo e documentato per evitare rettifiche del valore e le conseguenti sanzioni. Infine, la decisione rafforza gli strumenti a disposizione delle autorità doganali per contrastare i fenomeni di sottofatturazione, garantendo al contempo le tutele difensive del contribuente.

L’Agenzia delle Dogane può rettificare il valore dichiarato di una merce senza effettuare un’ispezione fisica?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se l’autorità doganale ha ‘fondati dubbi’ sulla correttezza del valore dichiarato, non è obbligata a eseguire un’ispezione fisica. È sufficiente garantire al contribuente la possibilità di difendersi e fornire chiarimenti attraverso un contraddittorio documentale.

Cosa si intende per ‘fondati dubbi’ in un contesto doganale?
Per ‘fondati dubbi’ si intendono sospetti basati su elementi concreti che mettono in discussione la veridicità del valore dichiarato. Nel caso specifico, il dubbio è sorto dalla scoperta che merci simili, provenienti dallo stesso fornitore, erano state dichiarate in una successiva importazione con una composizione qualitativamente diversa e superiore, suggerendo che anche le precedenti dichiarazioni potessero essere inesatte.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di contestazione del valore di transazione?
Inizialmente, l’Agenzia delle Dogane deve provare l’esistenza di ‘fondati dubbi’. Una volta che questi dubbi sono stati stabiliti e comunicati, l’onere della prova si sposta sull’importatore, il quale deve fornire tutti gli elementi necessari (documenti, giustificazioni) per dimostrare la correttezza del valore di transazione dichiarato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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