Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11161 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11161 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ICI CRITERI DI DETERMINAZIONE DEL VALORE DEI BENI DECADENZA – sul ricorso iscritto al n. 4629/2022 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, in virtù di procura speciale e nomina poste a margine del ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI SENIGALLIA (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale e nomina da intendersi poste in calce al controricorso ed in forza di delibera autorizzativa di Giunta
municipale n. 50 del 9 marzo 2022, dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE dell’Avvocatura comunale.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 782/2/2021 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 5 luglio 2021, non notificata.
UDITA la relazione svolta all’ adunanza camerale del 30 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è la pretesa di cui agli avvisi di accertamento indicati in atti con i quali il Comune di Senigallia liquidò l’ICI per gli anni di imposta 2007/2011, in ragione delle omesse o infedeli dichiarazioni (quanto al valore del bene) relativamente ad un’area fabbricabile di cui il contribuente era comproprietario.
La Commissione tributaria regionale delle Marche, con la suindicata sentenza, decidendo sull’appello proposto dal Comune di Senigallia, lo accolse, osservando -per quanto ora occupa in relazione ai motivi di impugnazione – che:
-non era maturata alcuna decadenza dall’esercizio del potere impositivo, in quanto la dichiarazione relativa all’anno 2007 andava presentata nel 2008 e solo da tale epoca decorrevano i termini quinquennali, con scadenza, quindi, a partire dal 31 dicembre 2013, laddove gli atti impugnati erano stati notificati il giorno 5 marzo 2013 e, quindi, nel suddetto termine;
-sussisteva l’obbligo, per i menzionati anni d’imposta, di presentazione delle dichiarazioni ICI per il possesso dei terreni, siano essi fabbricabili o meno e delle abitazioni e/o
costruzioni in genere, che, nella specie, erano state omesse o rese in maniera infedele;
-non vi era « dubbio alcuno che i terreni, le abitazioni e/o le costruzioni in genere, per cui oggi è causa, devono essere considerati fabbricabili e/o assoggettati all’odierno tributo, prescindendo da qualsiasi altra limitazione» (così nella sentenza impugnata priva di numerazione);
la mancata considerazione, ai fini della determinazione del valore dei beni e quindi della base imponibile, degli « oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno, necessari per la costruzione non sembra dover essere considerato(a) (ndr. ipotesi) di nullità della valutazione, intanto perché l’elenco degli elementi riportati nell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 504/92 non può essere considerato vincolante, ma nemmeno esaustivo, talchè è del tutto giustificato l’inserimento di altri elementi utili alla valutazione così come nel caso, gli aggiunti “parametri di inquadramento urbanistici” e “valore ragguagliato al 1° gennaio di ciascun anno d’imposizione mediante applicazione degli indici ISTAT”» (così nella senza impugnata);
«In definitiva gli elementi di cui al citato art. 5 possono nella operatività subire delle variazioni» (così nella pronuncia in esame), aggiungendo che « anche su questo punto l’appellata si è limitata a proporre eccezioni di carattere esclusivamente formale, mentre nel merito ad esempio avrebbe avuto ogni possibilità di dimostrare, ove esistente, l’effettiva necessità di sostenere spese per l’adattamento del terreno ed in conseguenza richiedere una riduzione del valore assegnato» (così nella pronuncia in esame);
la valutazione del valore dei beni era stata operata utilizzando i dati forniti direttamente dall’Agenzia del Territorio e da quelli in possesso del Comune;
-le altre eccezioni sollevate in sede di ricorso dalla ricorrente era risultate non dimostrate e quindi infondate.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, notificandolo al Comune di Senigallia il 4 febbraio 2022, formulando cinque motivi d’impugnazione, depositando in data 18 gennaio 2025, memoria ex art. 380bis .1, c.p.c.
Il Comune di Senigallia resisteva con controricorso notificato il 10 marzo 2022.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto nel suo primo e terzo motivo per le ragioni che seguono.
Ragioni di priorità logico-giuridica conducono al preliminare esame del quarto motivo di impugnazione, che risulta infondato.
Con esso l’istante ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 161, della legge n. 296/2006, ponendo in rilievo che, per l’ipotesi di insufficiente versamento il termine di decadenza di cinque anni per emettere l’avviso di accertamento ICI per l’anno 2007 decorreva dal saldo dell’imposta, che doveva essere eseguito nel medesimo anno 2007, con conseguente spirare del termine decadenziale al 31 dicembre 2012 e, dunque, tardività della notifica dell’atto impositivo avvenuta nell’anno 2013.
2.1. Il motivo di impugnazione non può ricevere seguito.
Nell’esposizione della vicenda processuale il contribuente ha riferito che su tre particelle (nn. 47, 48 e 704) era stata contestata dal Comune l’infedele dichiarazione, mentre in relazione alla quarta particella (n. 345) l’ente territoriale aveva lamentato l’omessa dichiarazione (v. pagine nn. 4 e 5 del ricorso).
Anche il Comune ha precisato che «l’ufficio ha rettificato la dichiarazione » (v. pagina n. 11 del contro ricorso) ed in tale direzione pure il Giudice dell’appello ha dato conto, nella narrazione del fatto, che gli avvisi erano stati emessi in relazione ad alcuni immobili, « per i quali non era stata presentata la prescritta dichiarazione o presentata con valori inferiori a quelli accertati » (così nella sentenza impugnata).
Quindi, la Commissione regionale ha respinto l’eccezione di decadenza dall’esercizio del potere impositivo per l’anno 2007, considerando, da un lato, che « per il possesso dei terreni, siano essi fabbricabili o non e delle abitazioni e/o costruzioni in genere, vi è l’obbligo della dichiarazione e del relativo versamento » e, per altro verso, che « la dichiarazione per l’anno 2007, andava presentata nell’anno 2008 e solo da quest’ultimo anno decorrevano i termini quinquennali che andavano a scadere il giorno 31 dicembre 2013 » (così nella sentenza impugnata), mentre gli avvisi impugnati erano stati tempestivamente notificati il 5 maggio 2013.
Il contribuente ha ricordato che l’art. 1, comma 161, della legge n. 296/2006 prevede che «gli avvisi di accertamento in rettifica e di ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati».
Va sul punto osservato che il ricorrente ha articolato la doglianza in esame senza contestare, in relazione all’anno che qui interessa (2007), la valutazione del Giudice regionale circa la sussistenza dell’obbligo dichiarativo, anzi dando per presupposta la necessità di tale adempimento, osservando, piuttosto, che « il termine di decadenza non doveva decorrere dall’anno 2008 di presentazione della dichiarazione, bensì dall’anno in cui era stato effettuato il versamento asseritamente insufficiente, ossia nel 2007 » (v. pagina n. 25 del ricorso), con conseguente scadenza del predetto termine quinquennale al 31 dicembre 2012.
Senonché, in siffatti termini, il motivo mostra di non dialogare e di non misurarsi con i contenuti della decisione impugnata, che risulta fondata -come esposto -sul presupposto fattuale dell’omessa ed infedele dichiarazione, laddove la censura in esame si orienta sul diverso aspetto del versamento eseguito, che però è stato ritenuto dal Giudice territoriale, implicitamente quanto chiaramente e (lo si ripete) con valutazione qui non contestata, non incidente sull’obbligo dichiarativo da assolvere nell’anno 2008, con conseguente computo del termine quinquennale di decadenza da tale anno (v., d’altronde, Cass. n. 352/21, secondo cui «Nel caso in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione, per individuare il dies a quo deve invece farsi riferimento al termine entro il quale egli avrebbe dovuto presentarla»).
Per tale ragione, il motivo va dichiarato inammissibile, non essendo calibrato sulle ragioni della pronuncia, non cogliendo cioè la ratio decisoria, sviando, invece, su profili non pertinenti rispetto alla statuizione impugnata, come tali inidonei a confutarla.
Risultano, invece, fondati il primo ed il terzo motivo di ricorso.
Con la prima censura il contribuente ha eccepito, in relazione al canone di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 e 5, c.p.c., la violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 504/1992 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Sotto il primo profilo, l’istante ha lamentato che la sentenza non avrebbe accertato il valore delle aree al 1° gennaio dell’anno di imposta, come previsto dall’art. 5, comma 5, d.Lgs. n. 504/1992, affidandosi invece al valore risultante dal dato acquisito dall’Agenzia del Territorio, che era però riferito ad una compravendita dell’anno 2012, vale a dire successiva agli anni di imposta (2007/2008) oggetto di tassazione.
Per altra via, il contribuente ha ritenuto sussistere la suddetta violazione nella parte in cui la sentenza ha altresì reputato che i parametri indicati nel citato art. 5, comma 5, d.lgs. n. 504/1992, che sovrintendono alla stima della base imponibile, non fossero vincolanti e tassativi, diversamente da quanto invece affermato dalla Corte di cassazione.
Con riferimento all’altro parametro censorio (art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c.), il ricorrente ha dedotto l’omesso esame di fatti decisivi per la controversia che erano stati oggetto di discussione tra le parti, concernenti la mancata emanazione da parte del Comune di Senigallia del piano urbanistico d’area e dei piani attuativi che avevano determinato la retrocessione dei beni da edificabili ad agricoli, per cui il terreno non era poteva dirsi in concreto fabbricabile, con la conseguenza che il suo valore non poteva che ridursi in ragione del minore potenziale edificatorio, reputando dunque sovrastimato il valore considerato dal Comune, peraltro
incomprensibilmente aumentato rispetto a quelli determinati per gli anni 2001/2004, i quali pure erano stati annullati dal giudice tributario.
4.1. Va premesso che il motivo risulta ammissibile anche se formulato sulla base dei due distinti parametri censori di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 e 5, c.p.c.
Nella specie, infatti, la censura non mescola i due argomenti di critica in un’inestricabile commistione tra temi di natura fattuale e giuridica, ma scompone la ragione di impugnazione nella deduzione della violazione di legge, segnatamente dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 504/1992 nella parte in cui ha confutato la decisione della Commissione regionale laddove essa ha ritenuto che l’elenco degli elementi riportati nella predetta disposizione « non può essere considerato vincolante » (v. pagina n. 12 del ricorso), per poi sviluppare il motivo anche sul versante dell’omesso esame dei ‘fatti’ (mancata attuazione degli strumenti urbanistici attuativi del Piano Regolare Generale) segnalati come incidenti sulla potenzialità edificatoria dei beni.
In tale prospettiva, va allora dato seguito all’orientamento di questa Corte che ritiene ammissibile il ricorso, benchè articolato attraverso la proposizione di motivi cd. misti e cioè qualificati dal fatto che le censure sono articolate riconducendo il vizio della sentenza impugnata sotto molteplici paradigmi previsti dall’art. 360 c.p.c., in quanto la sua formulazione permette di cogliere, di isolare le doglianze prospettate onde consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (cfr., sul principio, Cass., Sez. Un., n. 9100/2015; Cass. n. 7009/2017; Cass. n. 26790/2018 e Cass. n. 39169/2021).
La prospettazione “a grappolo” di una pluralità di censure non è, perciò, ragione di pregiudiziale inammissibilità del gravame quando, scandagliandone la formulazione, sia possibile scindere il contenuto cassatorio di ciascuna censura (così Cass. n. 14041/2021), il che è quanto riscontrabile nella fattispecie in rassegna, in cui le due prospettive censorie (violazione di legge ed omesso esame dei dedotti fatti) risultano nettamente distinte, separate, non sovrapposte ed indipendenti, essendo stata la menzionata omissione prospettata quale ulteriore, autonoma, causa che ha condotto ad una valutazione non conforme ai criteri di cui alla citata disposizione, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte.
4.2. Ciò posto, sussiste la dedotta violazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 504/1992, avendo questa Corte più volte affermato che, ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), per determinare la base imponibile, ai sensi della normativa vigente, la misura del valore venale del suolo deve essere ricavata dai parametri vincolanti previsti dall’art. 5, comma 5, d.lgs. 15 novembre 1992, n. 504, che hanno riguardo, per le aree fabbricabili, alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato in riferimento alla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
Pertanto, poiché tali criteri normativamente determinati devono considerarsi tassativi, il giudice di merito, investito della questione del valore attribuito ad un’area fabbricabile, non può esimersi dal verificarne la corrispondenza, tenuto conto dell’anno di imposizione, ai predetti parametri, i quali non possono essere surrogati da valutazioni effettuate sulla
base di un’aprioristica e del tutto indimostrata valutazione basata su altri argomenti (cfr., su tali principi, tra le tante, Cass. n. 27067/2024, Cass. n. 23779/2024; Cass. n. 22591/2024 e le altre ivi richiamate).
4.3. Ebbene, non occorrono soverchie riflessioni per riconoscere che il Giudice d’appello non si sia uniformato a detti principi, avendo espressamente affermato, contrariamente ai principi sopra riportati, che « l’elenco degli elementi riportati nell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 504/92 non può essere considerato vincolante » (così nella sentenza impugnata).
Il motivo di impugnazione va, quindi, accolto e ciò integra una prima ragione di cassazione della sentenza impugnata.
4.4. Nella valutazione che precede resta assorbito l’esame della seconda parte della censura concernente l’omesso esame dei predetti limiti urbanistici (mancata attuazione del piano area e di quello attuativo) asseritamente incidenti sulla potenzialità edificatoria dei beni, trattandosi di temi che coinvolgeranno la rinnovata valutazione del giudice di merito.
Per le stesse ragioni di cui sopra resta assorbito anche l’esame della seconda ragione di contestazione.
Con tale censura la contribuente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., duolendosi dell’erroneo utilizzo della prova presuntiva nella parte in cui il Giudice regionale, a dispetto della intrinseca carenza di gravità, precisione e concordanza, aveva valorizzato, a favore dell’ente impositore, il dato derivante dall’Agenzia del Territorio (la predetta vendita dell’anno 2012), senza considerare e bilanciare la valutazione con le prove indiziarie di segno contrario (vendita dell’anno 2012 stipulata tra società correlate
-una delle quali era interamente partecipata dall’altra ad un prezzo che risentiva di tale connessione e che non era, quindi, ragguagliato ai valori di mercato, annullamento giudiziale delle pretese per gli anni 2001/2004) che concorrevano a dimostrare un valore del terreno da tassare ai fini IMU inferiore a quello presunto dal Comune in termini favorevoli alla tesi del contribuente.
5.1. Ebbene, risulta chiaro che la doglianza attiene al tema della stima del valore dei beni e della corretta determinazione della base imponibile secondo i citati criteri legali, che costituirà l’oggetto del sindacato del giudice del rinvio per le ragioni innanzi esposte, il che rende superfluo l’esame della doglianza in rassegna.
Con la terza censura l’istante ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 132, primo comma, num. 4.c.p.c., sostenendo che la sentenza fosse nulla nella parte in cui aveva liquidato le altre eccezioni sollevate dal contribuente considerandole prive di pregio ed infondate, trattandosi di motivazione astratta ed apodittica, omissiva sin’anche di ogni concreta indicazione circa le eccezioni formulate dall’istante e comunque priva di ogni spiegazione sulle ragioni della loro infondatezza.
6.1. La censura è fondata.
La Commissione regionale si è così espressa sul tema in contestazione: «Per quanto attiene le altre eccezioni sollevate in sede di ricorso, il COGNOME non ha fornito alcuna dimostrazione di quanto affermato, limitandosi ad ininfluenti lamentele, prive di pregio e di qualsiasi fondatezza» (così nella sentenza impugnata).
Va ricordato, sul piano dei principi, che questa Corte (a partire da Cass., Sez. U., n. 8053/2014) ha ripetutamente
precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, essendo corredata da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture, restando, invece, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., tra le tante, Cass., Sez. U., n. 19881/2014; Cass., Sez. U., n. 16599/2016; Cass., Sez. U., n. 22232/2016; Cass. n. 9105/2017; Cass., Sez. U., n. 7667/2017; Cass., Sez. U., n. 14430/2017; Cass., Sez. U., n. 16159/2018; Cass., Sez. U., n. 9558/2018 e Cass., Sez. U., n. 33679 / 2018 ; Cass., n. 23216/2019; Cass. n. 13977/2019; Cass. n. 2689/2023; Cass. n. 21174/2024).
Tanto chiarito, risulta in tali termini non dubitabile che la suddetta motivazione non integri la soglia minima costituzionalmente esigibile, non consentendo di comprendere quali eccezioni del contribuente siano state prese in considerazione, essendo mancato anche il riepilogo delle relative difese, e per quali motivi esse siano state ritenute non dimostrate, così lasciando il ricorrente prima ed ora la Corte nell’impossibilità di recuperare il percorso logico seguito per addivenire al rigetto delle eccezioni.
Con la quinta censura l’istante ha eccepito, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 112 c.p.c. e, segnatamente, per l’omessa pronuncia sul vizio di illegittimità dell’avviso di
accertamento ICI relativamente alla denunciata violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 472/1997, che prescrive l’irrogazione di una sanzione unica allorquando siano coinvolte violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi, tenuto conto, per l’appunto, che la vicenda processuale aveva ad oggetto l’impugnazione di molteplici avvisi di accertamento ICI per anni di imposta dal 2007 al 2011 con irrogazione di separate sanzioni anno per anno, seppure relative a identica vicenda ed a medesime asserite violazioni.
7.1. Il motivo rispetta il requisito di autosufficienza, avendo l’istante allegato di aver proposto tale doglianza sia in primo che in secondo grado, localizzando puntualmente anche gli atti (i numeri di pagine, di paragrafo o righe) in cui la doglianza era stata articolata.
Nondimeno, la rilevanza del cumulo si porrà all’esito della valutazione sulla fondatezza degli avvisi e sull’importo eventualmente rideterminato, per cui l’esame della doglianza resta assorbita nelle valutazioni che conducono alla cassazione della pronuncia.
Alla stregua delle ragioni che precedono, il ricorso va accolto nel suo primo (prima parte della censura, formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c.) e terzo motivo, mentre va dichiarato assorbito l’esame della seconda parte del primo motivo (articolato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c.), nonché della seconda e della quinta doglianza e dichiarato inammissibile il quarto motivo di ricorso.
La causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo delle Marche – in diversa composizione – anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo ed il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito l’esame della seconda censura contenuta nel primo motivo, nonché della seconda e della quinta doglianza e dichiara inammissibile il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche – in diversa composizione anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio