Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3163 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3163 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18472/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LIGURIA n. 147/2023 depositata il 23/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il C.A.D. di La Spezia propose plurimi ricorsi, innanzi alla CTP di La Spezia, avverso gli avvisi di accertamento notificatigli, quale spedizioniere doganale per conto del RAGIONE_SOCIALE, dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Gli avvisi concernevano la rettifica delle dichiarazioni doganali presentate dal C.A.D. e relative a merce (borse e borsette in vari materiali) importata dalla Cina.
La C.T.P. di La Spezia, con le sentenze 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, e 66/4/2009 respinse i ricorsi.
Il C.A.D. impugnò tali decisioni innanzi alla C.T.R. della Liguria la quale, con sentenza n. 1031, depositata il 10.7.2017, previa loro riunione, rigettò i gravami, ritenendo tra l’altro: i. la sussistenza di una responsabilità solidale dello spedizioniere rispetto all’importatore, ii. l’inapplicabilità, in materia doganale, dell’art. 12 della L. n. 212 del 2000, iii. l’insussistenza di un vizio di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati in relazione al valore rettificato.
Avverso tale provvedimento il C.A.D. propose ricorso per cassazione, affidato a otto motivi. Il ricorso venne accolto da questa Corte con ordinanza n. 28372/2019, la quale sul rilievo di un vizio di costituzione del giudice, cassò la sentenza d’appello con rinvio.
Il giudizio è stato riassunto dal C.A.D. dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di II° Grado, che ha accolto il gravame della contribuente.
L’Agenzia affida il proprio ricorso per cassazione ad un solo motivo.
Resiste il C.A.D. con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e ss. Reg. CEE n. 2913/1992 (C.D.C. -Codice Doganale Comunitario) e 150, 151 e 181 bis Reg. CEE n. 2454/1993 (D.A.C. -Disposizioni Attuazione Codice), in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., avendo la CTR erroneamente disconosciuto la legittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio delle Dogane della Spezia con particolare riferimento alla correttezza del metodo di determinazione del valore delle merci adottato dall’Amministrazione finanziaria.
Il motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.
La CTR, in sede di rinvio, testualmente ha rilevato che: ‘ L’Agenzia non indica le voci doganali della merce presa a raffronto (indicate dal CAD nelle sottovoci delle macrovoci 5402 e 3902), limitandosi a definirle come aventi la stessa classificazione doganale, stesse caratteristiche tecniche, stesso materiale, stessa origine, stesso periodo di importazione. Ma fondamentale per verificare la correttezza del metodo seguito dall’Agenzia e, soprattutto, il relativo esito, è l’esame della documentazione prodotta dal CAD in allegato alla memoria illustrativa, ritrascritta nel testo della memoria stessa e già prodotta nei gradi precedenti. Con tale documentazione il CAD ha inteso dimostrare che i valori dichiarati non sono -diversamente da quanto affermato dall’Agenzia pari ad Euro 0,50 per pezzo. In effetti la merce risulta fatturata a prezzi che oscillano da U.S.D. 0,59 (nella sola occasione del 21.2.2006), a U.S.D. 2,00 (nella sola occasione del 18.4.2007), ma nella maggior parte dei casi superiori ad U.S.D. 1,00. In conclusione il prezzo medio di Euro 0,50 preso a raffronto con il risultato dell’analisi eseguita, tenendo anche conto del valore di cambio Euro / Dollaro
americano dell’epoca (oltre un dollaro per un euro), risulta essere del tutto errato per cui le motivazioni dell’Agenzia non assumono valida giustificazione dei valori accertati ‘.
In buona sostanza, nella prospettazione erariale, l’analisi delle importazioni di merce affine, effettuate nel medesimo periodo di riferimento dai maggiori produttori, segnalava che un valore medio dichiarato nel caso di specie sensibilmente più basso. Nel dettaglio, i costi relativi alla manifattura, ai materiali impiegati per la realizzazione del prodotto e alle rifiniture, risultano secondo l’Agenzia superiori al prezzo dichiarato della merce importata. La sottofatturazione, tra l’altro, rinviene conferma, secondo l’Amministrazione, negli esiti delle perquisizioni eseguite presso la RAGIONE_SOCIALE e presso l’abitazione del titolare cinese NOME COGNOME Il metodo di analisi è reputato dall’Agenzia attendibile in quanto incentrato sull’elaborazione dei dati contenuti nella banca dati M.E.R.C.E., che considera importazioni di merce similare effettuate da operatori scelti fra quelli che nel corso degli anni 2006 -2007 hanno effettuato il maggior numero di importazioni nel settore e che, pertanto, avrebbero beneficiato delle migliori condizioni di mercato. Gli esiti dell’analisi conducono, ad avviso dell’Agenzia, ad appurare che a fronte di un valore medio di importazione per singola unità di prodotti di origine e provenienza dalla Cina i valori minimi di importazione sono: Borsa in pelle Borsa in materia plastica Borsa in tessile Anno 2006 11,40 1,94 2,32 Anno 2007 12,08 2,01 1,94 a fronte di un valore medio dichiarato che l’Agenzia indica in Euro 0,50. Data l’enorme differenza, l’Agenzia ha quindi rideterminato i valori sulla base dei valori minimi or ora esposti.
Orbene, ancorché secondo la ricostruzione del giudice di merito consti l’avvenuta dimostrazione, ad opera del CAD, di valori superiori allo 0,50 indicato dall’Ufficio, tre aspetti rimangono inevasi e incerti nel perimetro della decisione: l’uno attiene alla
persistente, non dissipata fondatezza dei dubbi sul valore reale delle merci; l’altro afferisce la perdurante inferiorità, al netto della percentuale specifica riscontrabile, dei valori dichiarati rispetto a quelli reali nonché l’individuazione dei suoi riflessi sul preciso contenuto e ammontare dell’obbligazione tributaria; l’ultimo concerne l’effettività dell” osservanza dei criteri ‘ corretti di attribuzione dei valori.
In buona sostanza, la sentenza impugnata non si è curata di sciogliere i ‘ fondati dubbi ‘ sul valore delle merci. Quand’anche, infatti, la discrasia di 0,50 adombrata dall’Amministrazione non sia riscontrabile secondo quanto opinato dal giudice d’appello, ciò non sgombera chiarisce se i valori dichiarati siano stati o meno esatti o se, per converso, abbiano registrato una divergenza percentualistica da quelli reali.
La discrasia fra valori dichiarati e valori effettivi rimane, in esito alla decisione, un profilo perplesso. Il giudice d’appello sembra, in effetti, appurare che una divaricazione vi sia stata, ma non ne chiarisce l’esatta misura, che pertanto resta approssimativa, generica e indeterminata.
Ciò sebbene il giudice di merito fosse deputato ad attribuire una consistenza e una dimensione precisa ai valori daziabili, sulla scorta dei criteri previsti dalla normativa vigente, tenuto conto che il giudizio tributario è un giudizio di impugnazione/merito. Ed infatti, nel definire i caratteri propri della giurisdizione tributaria, questa Corte ha chiarito, con orientamento ormai sedimentato, che Il processo tributario è annoverabile tra quelli di ‘impugnazione -merito’, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti
posti dalle domande di parte ‘ (Cass. n. 18777 del 2020; v. anche n. 13294 del 2016 e Cass. n. 29364 del 2020).
In altri termini, la circostanza che il CAD, secondo l’apprezzamento svolto dal giudice di merito, abbia dimostrato che i valori dichiarati non sono -diversamente da quanto perorato dall’Agenzia pari ad Euro 0,50 per ‘pezzo’, dacché la merce risulta fatturata a prezzi che oscillano da U.S.D. 0,59 (nella sola occasione del 21.2.2006), a U.S.D. 2,00 (nella sola occasione del 18.4.2007), ma nella maggior parte dei casi superiori ad U.S.D. 1,00, non esclude che la consistenza dettagliata di tali valori andasse puntualmente individuata dalla Corte di Giustizia regionale. Solo tale concreta e specifica ricostruzione, infatti, è suscettibile di consentire di appurare se e in che termini il valore dichiarato in dogana si esponesse ad una rettifica. In ultima analisi, sebbene lo 0,50 prospettato dall’Ufficio non sia stato riscontrato, ciò non toglie che il valore dichiarato faccia permanere i ‘ fondati dubbi’ esposti dall’Agenzia e richiamati dal giudice, al quale, pertanto, spetta trovare il valore daziabile sulla base dei criteri applicabili ai sensi di legge, quindi della normativa vigente per la tipologia di prodotti oggetto delle importazioni in contestazione.
In conclusione, va accolto il ricorso. Pertanto, la sentenza deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II° grado della Liguria, che, oltre a provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, rivaluterà l’appello dell’Amministrazione facendo applicazione dei principi di diritto esposti in sentenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II° grado della Liguria, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10/12/2024.