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Valore avviamento: limiti all’accertamento fiscale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18871/2025, ha stabilito importanti principi sul valore avviamento. È stato chiarito che l’Amministrazione Finanziaria non può contestare il costo di avviamento dedotto da un’azienda basandosi unicamente sui criteri di valutazione minima previsti per l’accertamento con adesione. La Corte ha accolto il ricorso della società su questo punto, affermando che il Fisco deve fornire prove specifiche, precise, gravi e concordanti per dimostrare che il valore dichiarato è eccessivo, non potendo invertire l’onere della prova. Gli altri motivi del ricorso, relativi a presunti ricavi non contabilizzati, sono stati respinti.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Valore avviamento e accertamento fiscale: la Cassazione fissa i paletti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale per le imprese: quali sono i limiti del potere dell’Amministrazione Finanziaria nel contestare il valore avviamento iscritto in bilancio a seguito dell’acquisto di un ramo d’azienda? La decisione chiarisce che il Fisco non può utilizzare criteri di valutazione forfettari e minimi per rettificare il costo dedotto dal contribuente, ma deve fornire prove concrete e specifiche.

I fatti del caso

Una società operante nel settore delle carni aveva impugnato un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione maggiori ricavi per l’anno 2014. Le contestazioni erano principalmente due:

1. Maggiori ricavi non contabilizzati: L’Ufficio aveva rilevato discrepanze tra il peso della carne indicato nei documenti di trasporto alla partenza e quello registrato all’arrivo, ipotizzando acquisti non fatturati e, di conseguenza, ricavi non dichiarati.
2. Disconoscimento quota di ammortamento: La società aveva acquistato un ramo d’azienda, iscrivendo in bilancio un determinato valore per l’avviamento e deducendone la relativa quota di ammortamento. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato tale valore, ritenendolo eccessivo, e aveva rideterminato l’importo deducibile.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione alla società, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La posizione della Cassazione sul valore avviamento

La Corte di Cassazione ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dalla società. I primi due, relativi alla presunta nullità della sentenza per la determinazione del ricarico e alla violazione delle norme sulla prova presuntiva, sono stati giudicati inammissibile e infondato.

Il cuore della pronuncia risiede nell’accoglimento del terzo motivo, quello relativo alla contestazione del valore avviamento. La Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto legittimo il metodo di calcolo dell’Ufficio, basato sull’art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 460/1996. Questa norma definisce dei criteri di valutazione minima ai fini dell’accertamento con adesione, e secondo i giudici di appello, il suo utilizzo avrebbe esonerato il Fisco da ogni ulteriore onere probatorio.

La Cassazione ha smontato completamente questa tesi, giudicandola errata.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio, ormai consolidato in giurisprudenza e rafforzato da una norma di interpretazione autentica (art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147/2015), secondo cui il valore di un bene (immobile o azienda) definito ai fini dell’imposta di registro non può, da solo, costituire una presunzione di un maggior corrispettivo ai fini delle imposte dirette.

Il Fisco, per contestare il prezzo dichiarato in un’operazione, deve individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino l’esistenza di un valore diverso. Il criterio utilizzato dall’Ufficio, previsto per l’accertamento con adesione, rappresenta una soglia minima che può servire come indizio quando il valore dichiarato è inferiore, ma non può essere usato in modo speculare per contestare un valore dichiarato superiore (e quindi un costo eccessivo). In altre parole, quel criterio è uno strumento a favore del Fisco per contestare i valori al ribasso, non uno scudo che lo esonera dal provare le sue ragioni quando contesta valori al rialzo.

L’errore della sentenza d’appello è stato proprio quello di aver consentito all’Amministrazione di raggiungere la prova di un minor valore effettivo (e quindi di un costo eccessivo dedotto) tramite il semplice richiamo a una norma che fissa una soglia minima per le contestazioni in difetto.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata limitatamente alla questione dell’avviamento, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame. Il principio affermato è di fondamentale importanza: l’onere della prova per contestare il valore di un avviamento dichiarato dal contribuente ricade interamente sull’Amministrazione Finanziaria. Quest’ultima non può avvalersi di automatismi o criteri normativi concepiti per altri scopi (come l’accertamento con adesione), ma deve fondare la propria pretesa su elementi concreti e provati, desumibili dalla specifica situazione aziendale.

L’Agenzia delle Entrate può contestare il valore dell’avviamento dichiarato da un’azienda usando i criteri previsti per l’accertamento con adesione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che i criteri di valutazione minima previsti per l’accertamento con adesione (art. 2, comma 4, d.P.R. n. 460/1996) non possono essere usati per contestare un costo di avviamento ritenuto eccessivo. Tali criteri servono a stabilire una soglia minima per le contestazioni in difetto, non esonerano il Fisco dall’onere di provare la sua pretesa in caso di contestazione per eccesso.

Quale prova deve fornire l’Agenzia delle Entrate per rettificare il valore di un avviamento che ritiene sopravvalutato?
L’Agenzia delle Entrate deve individuare e provare elementi specifici, precisi, gravi e concordanti che dimostrino in modo adeguato che il valore effettivo dell’avviamento è inferiore a quello dichiarato e ammortizzato dal contribuente. Non può basarsi su mere presunzioni o criteri forfettari.

Il valore di un’azienda accertato ai fini dell’imposta di registro può essere usato automaticamente per l’accertamento delle imposte sui redditi?
No. Secondo la normativa di interpretazione autentica (art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147/2015), il valore accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale non è sufficiente, da solo, a presumere l’esistenza di un maggior corrispettivo ai fini delle imposte sui redditi. Servono ulteriori indizi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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