Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6178 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6178 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2979/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè RAGIONE_SOCIALE
contro
-intimato-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 3518/2019 depositata il 12/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Letta la requisitoria scritta del P.G.
RILEVATO CHE
1.La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento per l’imposta comunale relativa all’annualità del 2010 notificatole dalla RAGIONE_SOCIALE, società di riscossione per il comune di Guidonia Montecelio, concernente le aree edificabili ubicate in zona F4, per le quali era stato determinato il valore venale in comune commercio (euro 170,27 al mq) in base a quanto stabilito dall’art. 59 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 447, richiamato nella delibera comunale n. 23 del 2007.
La CTP accoglieva parzialmente il ricorso rideterminando il valore in comune commercio delle aree in euro 14,70 al mq, dovendosi tenere conto della potenzialità edificatoria dell’area in zona F4, riservata a terreni destinati a servizi pubblici e di viabilità, valore peraltro corrispondente a quello applicato nel corso di una procedura espropriativa intrapresa nell’anno 2014 avente ad oggetto anch’essa un’area ricompresa in zona F4.
La sentenza veniva appellata dalla società di riscossione.
La CTR del Lazio, nel confermare la sentenza di prime cure, respingeva l’appello, statuendo che la mancata impugnazione della delibera comunale non ostava alla contestazione dei valori in essa contenuti in sede di accertamento ICI, non trattandosi di criteri vincolanti, ma offrendo la delibera solo fonti di presunzione desunte dai dati di comune esperienza idonei a costituire supporto razionale alla valutazione del giudice; aggiungendo che l’appellante non aveva offerto argomentazioni che spiegassero le ragioni per le quali l’accordo raggiunto in sede espropriativa in merito al valore delle aree in zona F4 non erano applicabili anche all’annualità 2010.
I giudici di appello affermavano che .
La concessionaria ricorre sulla base di tre motivi avverso la sentenza indicata in epigrafe.
La società contribuente replica con controricorso. Ha depositato, poi, memorie difensive in prossimità dell’udienza.
Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Con la prima censura, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, n. 5, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e 59, lett g), n.1, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 447, nonché degli artt. 2607, 2727 e 2729 cod.civ. e degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., nonché della delibera consiliare del Comune di Guidonia n. 23 del 2007, ex art. 360, primo comma, n.3), cod.proc.civ; per avere il decidente erroneamente rideterminato l’imposta sulla base dell’indennità di espropriazione liquidata dal medesimo Comune, senza considerare che l’imposta per l’annualità 2010 era stata quantificata sulla base dei valori individuati con la delibera citata in rubrica, seguendo il procedimento di cui all’art. 5 del d.lgs. 504/1997 cit., tanto più che il quantum dell’indennità di esproprio non poteva considerarsi prova contraria rispetto alle fonti presuntive relative ai valori individuati con la delibera.
Si sostiene che la misura del valore venale in comune commercio deve essere tassativamente ricavata dai parametri vincolanti dal d.lgs. n. 504/92 cit. che, per le aree fabbricabili, individua quali criteri, l’ubicazione, l’indice di edificabilità, la destinazione d’uso, gli oneri di urbanizzazione, i prezzi ricavati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
La seconda censura prospetta la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 5, n. 5, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 59, lett g), n.1, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 447,
dell’art. 62 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché degli artt. 2607, 2727 e 2729 cod.civ. e degli artt. 113, 115 e 116 cod.proc.civ., nonché della delibera consiliare del Comune di Guidonia n. 23 del 2007, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3), cod.proc.civ.; per avere il decidente erroneamente esercitato il potere discrezionale relativo alla stima delle aree, onerando la concessionaria di provare che l’indennità di esproprio non poteva rappresentare un corretto parametro di riferimento per la determinazione del valore delle aree in comune commercio
Con la terza censura si reitera la denuncia di nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art.112 cod.proc.civ. e dell’art. 2909 cod.civ., per omesso riconoscimento dell’efficacia del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 55/2014 resa dalla CTR Lazio, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4), cod.proc.civ; si deduce che i giudici territoriali hanno trascurato di pronunciarsi sull’eccezione di giudicato della citata decisione relativa al valore delle aree per le annualità di imposta 2003-2006. Si assume che gli avvisi emessi prima della delibera n. 23/2007 avevano individuato il valore delle aree in euro 201,14 al mq, importo maggiore rispetto a quello stabilito dal Comune per l’annualità in contestazione. Si aggiunge che l’eccezione è stata proposta col ricorso in appello e se ne trascrive il contenuto .
4.Merita di essere esaminata, preliminarmente, l’ultima doglianza, in quanto questione pregiudiziale idonea a configurarsi quale causa pregiudiziale rispetto alla decisione della controversia principale proposta, in quanto destinata a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre il rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione della cosa giudicata a tutela di un
interesse giuridico concreto, che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata. Tuttavia, ancorché il giudicato esterno sia rilevabile d’ufficio (v. ex multis, Cass. del 21/04/2022, n. 12754), è comunque imprescindibile che esso risulti dalla documentazione prodotta dalla parte (v. Cass. del 02/03/2022, n. 6886); difatti, (Cass. del 23/08/2018, n. 20974; Cass. del 29/09/202, n. 26310); al contrario, nel caso sub iudice, in sede d’appello, l’impugnante non ha formulato l’eccezione di giudicato, limitandosi a citare – quale elemento indiziario a fondamento della propria tesi -il decisum della menzionata sentenza, relativa, peraltro ad annualità antecedenti all’adozione della delibera comunale n. 23 del 2007, di cui non ha allegato nemmeno il suo passaggio in giudicato.
La censura risulta dunque inammissibile.
5.Le prime due censure non superano il vaglio di ammissibilità.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, «per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre,
essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867; Cass., sez. U, 05/08/2016, n. 16598; Cass.639472023, in motiv.). Il presupposto della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è invece che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle stesse Sezioni unite (Cass., sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34474; C7ass., sez. U, n. 20867/20, cit.).
Le critiche che l’ente ricorrente rivolge alla sentenza si risolvono, in effetti, al di là dell’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito e non è, pertanto, inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892); e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 65, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016, n. 16056;Cass., sez. U, 2018, n. 28220).
6.Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata correttezza dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.
Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la
sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti (Cass., Sez. 6-3, 08/02/2011, n. 3142; S.U. del 21.03.2017, n. 7155; S.U. 23745 del 28/10/2020, n. 23745).
7.Sotto altro profilo, le doglianze si palesano infondate.
In tema di ICI, l’adozione della delibera, prevista dall’articolo 59 del d.lgs. n. 446 del 1997, con la quale il Comune determina periodicamente per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili se, da un lato, delimita il potere di accertamento dell’ente territoriale qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello così predeterminato, dall’altro, non impedisce allo stesso, ove venga a conoscenza o in possesso di atti pubblici o privati dai quali risultano elementi sufficientemente specifici in grado di contraddire quelli, di segno diverso, ricavati in via presuntiva dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche, di rideterminare l’imposta dovuta (Cass., Sez. 5, n. 4605 del 2018). Infatti, le delibere in questione non hanno natura imperativa, benché integrino una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza ed utilizzabili dal giudice quali indici di valutazione anche con riferimento ad annualità anteriori a quella della loro adozione (Cass., Sez. 6-5, n. 3757 del 2014; Cass., Sez. 5, n. 15555 del 2010). In particolare, esse svolgono una funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. n. 69 del 2 marzo 1989, convertito in legge n. 154 del 27 aprile 1989, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis , vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai
bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Cass., Sez. 65, n. 15312 del 2018; Cass., Sez. 5, n. 11171 del 2010). Del tutto coerente con questo orientamento è la decisione n. 11643 del 03/05/2019 nonché quella n. 4605 del 28/02/2018 che attribuendo all’art. 59 cit. la funzione di mera presunzione, consente sia al Comune che al privato di offrire elementi idonei a superarla. Da ciò deriva che ben poteva il Comune applicare, come è accaduto, la delibera n. 23 del 2007, da intendersi alla stregua di un indice di valutazione. Ovviamente, non era preclusa al contribuente la possibilità di contrastare il ragionamento presuntivo sotteso alla delibera; in quest’ottica, errata si rivela l’affermazione, presente nel ricorso per cassazione secondo cui la delibera consiliare avrebbe fissato con “efficacia vincolante” per i contribuenti il valore delle aree edificabili ai fini IMU-ICI, invece giustificandosi un onere di prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (così Sez. 5, Sentenza n. 15633 del 09/07/2014; Cass. del primo giugno 2021, n. 15198; Cass. 12.04.2021, n. 10308, in motiv.), idoneamente assolto, ad avviso della Corte territoriale, attraverso la dimostrazione del diverso corrispettivo corrisposto -in sede espropriativa – per aree con analoga vocazione edificatoria( area F/4).Al riguardo, la CTR non ha gravato la concessionaria dell’onere di provare il valore delle aree, ma ha chiarito che ai fini della stima del valore venale in comune commercio doveva tenersi conto della attuali potenzialità edificatorie dei terreni, i quali ricadono , stabilendo che appariva congruo il valore attribuito dai primi giudici utilizzando quale parametro di riferimento l’indennità di espropriazione relativa all’anno 2014 per aree omogenee; attribuendo a detto elemento la forza di prova contraria rispetto ai valori contenuti nella delibera consiliare del 2007 e precisando che
per beni con identica vocazione edificatoria era ragionevole presumere che l’indennità non poteva discostarsi in maniera eccessiva dal valore di mercato e a tal proposito la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto quanto meno indicare per le quali per beni equiparabili l’indennità era stata liquidata in misura notevolmente inferiore a quanto stabilito nella delibera.
Il ricorso va dunque respinto con aggravio di spese. In applicazione dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la società di riscossione ricorrente alla refusione delle spese di lite che liquida in euro 6.500,00, oltre 200,00 euro per rimborso spese, rimborso forfettario ed accessori come per legge. dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione