Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21171 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21171 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA ROCCA NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5840/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
PORRETTO CONCETTA;
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PALERMO n. 3545/2018 depositata il 30/08/2018.
Udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME all’udienza pubblica del 9 aprile 2024.
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udita per la ricorrente l’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 3545/1/2018 della Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia che, in parziale riforma della sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Palermo, ha accolto in parte il ricorso della contribuente NOME COGNOME contro l’avviso di accertamento per l’anno 2007 con il quale le era stato imputato il 48% degli utili accertati in capo alla RAGIONE_SOCIALE, pari alla quota di partecipazione della contribuente nella suddetta società, considerata a ristretta base partecipativa.
L’accertamento traeva origine da indagini bancarie sul conto corrente della società e la CTR, senza provvedere esplicitamente sull’istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello relativo al reddito societario pendente nanti la stessa CTR, ha accolto parzialmente l’appello della contribuente osservando che, sebbene la ricostruzione dei ricavi fosse legittima, si sarebbero dovuti considerare i costi presuntivamente sostenuti per realizzare i maggiori ricavi accertati in via presuntiva.
Il ricorso è fondato su quattro motivi.
Resta intimata la contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 per motivazione omessa o apparente, in quanto la sentenza era stata motivata considerando l’avviso di accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e non quello nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Va premesso che non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in
violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; v. anche Cass., n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
1.3. In questo caso la motivazione attinge pienamente il c.d. ‘minimo costituzionale’ e la considerazione dell’accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non è indice di illogicità o apparenza della motivazione ma costituisce applicazione dei principi in materia. In tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, è senz’altro legittima la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci, nel corso AVV_NOTAIO stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, la quale –
fondata sul disposto dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Peraltro, stante l’indipendenza dei procedimenti relativi alla società ed al singolo socio, questa Corte ha già sottolineato la non necessità, nel giudizio promosso dal singolo socio, di impugnazione dell’accertamento a lui rivolto a fini IRPEF, che l’accertamento dei maggiori ricavi in capo alla società sia divenuto definitivo (Cass. 17966 del 2013; Cass. n. 25115 del 2014). Le risultanze dell’accertamento nei confronti della società, quale antecedente logico -giuridico (Cass. n. 2214 del 2011; Cass. n. 16294 del 2014), potranno dunque essere poste a fondamento dell’accertamento nei confronti dei soci, in relazione alla rideterminazione del relativo reddito da partecipazione; l’eventuale maggior reddito accertato a carico dell’ente collettivo, ripercuotendosi sul reddito da partecipazione del socio, comporterà per costui l’onere di contestare non solo la presunzione, ma pure le risultanze dell’accertamento relativo alla società, non ancora definitivo, e la rideterminazione del reddito della società effettuato dall’Ufficio (Cass. n. 386 del 2016; Cass. 25115 del 2014; Cass. n. 17966 del 2013, v. anche, Cass. n. 33976 del 2019, secondo cui « in tema imposte sui redditi di capitale, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo »).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 295 c.p.c. perché erroneamente la CTR non aveva sospeso il giudizio in attesa della definizione di quello avente ad oggetto il reddito societario pendente davanti alla CTR della Sicilia a seguito di sentenza della CTP di Palermo n. 291/10/13 che aveva rigettato il ricorso.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se disposta, può essere proposta subito istanza di prosecuzione ex art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, comma 2, c.p.c. (Cass. sez. un. n. 21763 del 2021). Spetta al giudice della causa dipendente, ove la causa pregiudicante sia stata decisa con sentenza in primo grado, scegliere se conformarsi alla predetta decisione, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, attraverso il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata (cosi, anche Cass. n. 9470 del 2022).
2.3. Lo stesso principio ha trovato recentemente applicazione proprio in un caso di accertamento nei confronti del socio per utili extracontabili di società a ristretta base, affermandosi che la
sospensione della causa dipendente (quella relativa al socio), ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (che trova nel processo tributario norma corrispondente nell’art. 39 comma 1 bis d.lgs. n. 546/1992 nella versione applicabile ratione temporis ), può essere disposta allorché la causa pregiudicante (quella relativa alla società) sia ancora pendente in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, opera la sospensione facoltativa di cui all’art. 337, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che, in tale ultimo caso, il giudice della causa pregiudicata può, alternativamente, sospendere il giudizio e attendere la stabilizzazione della sentenza con il passaggio in giudicato oppure proseguire il giudizio medesimo ove ritenga, sulla base di una valutazione prognostica, che la decisione possa essere riformata (Cass. n. 7952 del 2024). Quest’ultima evenienza è occorsa nella specie, in cui il giudice del merito ha quindi esercitato legittimamente un suo potere discrezionale secondo i principi sopra richiamati.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., laddove la CTR ha ridotto i maggiori imponibili accertati a seguito del riconoscimento di una percentuale di costi.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 c.c., laddove la CTR ha riconosciuto l’abbattimento degli utili con il riconoscimento di una percentuale di costi in assenza di prova da parte del contribuente, su cui incombe il relativo onere.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, essendo strettamente connessi, e sono infondati.
5.1. A seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi
non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da accertamenti bancari, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti (Cass. n. 18653 del 2023; Cass. n. 6874 del 2023).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è da provvedere sulle spese atteso che la contribuente è rimasta intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 09/04/2024.